Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 04-07-2011, n. 471

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 12 novembre 1999, la ricorrente ECODEP S.p.A. stipulava con il Comune di Licata un contratto per l’acquisto di un lotto di terreno nell’area industriale ex Halos, in forza del quale, in particolare, il Comune si obbligava, oltre che a trasferire l’area necessaria per la costruzione di uno stabilimento industriale, a fornire i servizi di depurazione ed idonei quantitativi di acqua potabile e di acqua per usi industriali rapportati al fabbisogno dello stabilimento, a fronte dell’impegno della società di provvedere alla realizzazione ed alla manutenzione delle opere di smaltimento delle acque bianche e nere nelle reti fognanti, nonché al loro trattamento depurativo preliminare, se occorrente e prescritto.

Ottenuta dal Comune, in data 23 dicembre 1999, la concessione edilizia, la società ricorrente aveva realizzato l’opificio industriale, la cui attività consisteva nella produzione di impianti di depurazione e nella zincatura a caldo di carpenterie metalliche e lo aveva messo in funzione, seppur a regime minimo. A tale scopo, aveva altresì provveduto a realizzare le opere necessarie per lo smaltimento, previo trattamento depurativo, delle acque bianche e nere prima della immissione nella rete fognaria. Così concepito, peraltro, il progetto era stato ammesso al finanziamento pubblico a valere sui fondi statali contemplati dalla legge n. 488/1992. Ultimati i lavori di costruzione e messa in opera dell’edificio e degli impianti, al fine di ottenere il certificato di agibilità, l’impresa odierna appellante, con nota acquisita al prot. il 12 febbraio 2001 con il numero 7985, aveva chiesto al Comune di Licata il rilascio della autorizzazione agli scarichi nella pubblica fognatura, nonché l’allacciamento idrico. Nelle more, al fine di ottenere l’agibilità, anche provvisoria, aveva provveduto allo scarico in fossa IMHOFF degli scarichi civili. Peraltro non aveva potuto avviare il regime produttivo completo, stante la mancata fornitura del servizio di scarico delle acque reflue nella pubblica fognatura e la mancata erogazione dei quantitativi di acqua necessari alla propria attività.

In mancanza di riscontro alla propria nota del 12 febbraio (seguita da altre del 2 novembre 2001, del 16 maggio 2003 e del 17 luglio 2003) procedeva, con istanza notificata l’11 dicembre 2003, a reiterare le proprie richieste. Trascorsi inutilmente i sessanta giorni, con atto notificato il 20 febbraio 2004 aveva diffidato formalmente il Comune ad adottare i provvedimenti richiesti.

Formatosi il 21 marzo 2004 il silenzio rifiuto, aveva proposto ricorso giurisdizionale, in accoglimento del quale era intervenuta la sentenza del TAR Sicilia Palermo, sezione II, n. 2100 del 28 settembre 2004, con la quale era stato accertato l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere. Non avendo, però, tale sentenza avuto esecuzione, aveva proposto istanza giurisdizionale, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della L. n. 205/2000, per la nomina di un commissario ad acta.

Giunti a questo punto, il Comune, con nota prot. n. 43244 del 24 novembre 2004, chiedeva la seguente documentazione:

1) il progetto di allaccio alla pubblica fognatura, ex D.L. n. 152/99, con relativi elaborati grafici; nonché

2) l’indicazione del fabbisogno d’acqua ad uso potabile ed industriale.

La richiesta documentazione veniva soddisfatta dalla ECODEP con nota acquisita al protocollo del Comune con il n. 46257 il 14 dicembre 2004.

Perdurando il silenzio del Comune, con istanza del 29 marzo 2005, notificata il 5 aprile 2005, la società ricorrente procedeva a reiterare la richiesta di autorizzazione allo scarico delle acque reflue nella rete fognaria cittadina, oltre che dei provvedimenti necessari per garantire adeguati quantitativi di acqua. Quindi, dopo avere nuovamente invitato il Comune a provvedere con atto del 17 giugno 2005, aveva notificato, in data 26 luglio 2005, un ulteriore ricorso al TAR, affinché, dichiarata la illegittimità del silenzio-rifiuto, si statuisse l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere sulla istanza in questione.

A ridosso della data fissata (22 novembre 2005) per la discussione in camera di consiglio del ricorso da ultimo indicato, con nota prot. n. 41240 del 25 ottobre 2005, l’Amministrazione intimata si attivava, provvedendo nei termini seguenti:

– per le acque reflue domestiche accumulate nella fossa IMHOF già autorizzata, lo smaltimento in parte per subirrigazione ed in parte con prelevamento dei fanghi di supero con auto espurgo;

– per le acque di scarico provenienti dal ciclo produttivo, lo scarico al di fuori della pubblica fognatura;

– per l’approvvigionamento idrico, l’uso di autobotti comunali per acqua potabile e ad uso antincendio;

– per l’acqua industriale, il rinvio della individuazione delle fonti di approvvigionamento ad un momento successivo a quello della conoscenza delle "caratteristiche del ciclo produttivo di riferimento".

Non ritenendo tali misure capaci di soddisfare la propria richiesta, la società ECODEP proponeva ricorso giurisdizionale al TAR Sicilia Palermo, che, con ordinanza n. 164/06, aveva accolto la relativa istanza cautelare ai fini del riesame. Poiché anche tale ordinanza era rimasta inevasa, la ricorrente chiedeva la nomina di un commissario ad acta, ai sensi dell’art. 3, comma 7, della L. n. 205/2000.

A seguito dell’atto sollecitatorio, con nota prot. n. 15209 del 6 aprile 2006, il Comune provvedeva a rilasciare l’autorizzazione allo scarico in pubblica fognatura, e, successivamente, con nota prot. n. 1387 del 10 gennaio 2007, a disporre l’allacciamento idrico, che era stato reso operativo il 9 marzo 2007.

A questo punto della vicenda, con ric. n. 1246/2007 al TAR Palermo, la società ECODEP chiedeva la condanna del Comune di Licata al risarcimento dei danni subiti per effetto del colpevole ritardo nel rilascio delle autorizzazioni necessarie per l’avvio della propria attività industriale. In altri termini, si denunciava:

– che i comportamenti frapposti dall’Ente al rilascio dei provvedimenti richiesti avesse costretto per sei anni la società ricorrente ad operare sul mercato con un regime produttivo ridotto e molto meno competitivo rispetto a quello previsto;

– che la colposa inerzia del Comune avesse negativamente inciso anche sul diritto della società ricorrente a mantenere le somme a suo tempo ottenute in forza della legge n. 488/1992. A causa di questi comportamenti, si assumeva di aver subito un danno complessivo, in termini di mancato guadagno, pari alla somma di Euro 6.744.820,76, del quale si chiedeva il riconoscimento, oltre la liquidazione delle spese del giudizio.

La richiesta di risarcimento veniva contestata dal Comune di Licata, il quale, con memoria depositata in vista dell’udienza, dopo aver preliminarmente evidenziato l’esistenza, nei confronti della società ricorrente, di un procedimento penale per i reati di emissione e utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti e truffa aggravata nei confronti dello Stato, sulla base di indagini, iniziate nel 2003, della Guardia di Finanza, nonché la conseguente adozione del decreto n. 156926 del 10 maggio 2007, con il quale il Ministro dello Sviluppo Economico aveva revocato i finanziamenti, concessi ai sensi della L. n. 488/1992, con i quali era stato realizzato l’opificio in questione – nel merito, deduceva, tra gli altri motivi:

– che nessuna prova del danno consistente nel mancato guadagno era stata fornita dalla società ricorrente, non potendosi all’uopo ritenere sufficiente un mero raffronto tra bilancio di previsione a regime e bilancio effettivo, ai fini della quantificazione della differenza tra risultato economico previsto e realizzato, non solo per i dubbi sulla attendibilità dei dati emergenti dalle indagini della Guardia di Finanza, ma anche e soprattutto per il riferimento a dati teorici e previsionali;

– che l’allaccio alla rete idrica non era, peraltro, di competenza del Comune, ma dell’EAS, alla quale la società ricorrente non aveva mai inoltrato alcuna richiesta;

– che in seguito alla avvenuta revoca del finanziamento, si potrebbe verosimilmente prospettare la risoluzione del contratto di assegnazione dell’area sulla quale era stato realizzato l’opificio;

– che, comunque, la richiesta di risarcimento dovesse essere circoscritta al periodo intercorrente tra giugno del 2005 e marzo del 2007, non essendo il danno per l’ulteriore arco temporale indicato in ricorso sussistente o dimostrato.

Il TAR Sicilia – Palermo, Sez. I, con sentenza n. 2000/2009, oggetto del presente gravame, respingeva la richiesta di risarcimento nei termini prospettati dalla società ECODEP, sulla quale venivano addossati altresì le spese del giudizio per la somma di Euro 3.000,00.

Il giudice di prime cure, in particolare, ha ritenuto infondata la richiesta di risarcimento del danno, nei termini prospettati dal ricorrente, sotto due profili: riguardo ai danni causati per il ritardato allacciamento idrico, in considerazione della evitabilità dei medesimi attraverso la l’autonoma richiesta di allacciamento all’EAS da parte della società ricorrente, e la conseguente operatività dell’art. 1227, co. 2°, c.c.; inadeguatezza della prova del danno, fornita sulla base di mera documentazione contabile.

Contro tale decisione, l’odierna appellante, con il ricorso in esame, ha proposto un articolato motivo di gravame teso a ribadire l’imputabilità alla Amministrazione del ritardo nel provvedere all’allacciamento idrico sulla rete; la conseguente legittimità della richiesta di risarcimento del danno avanzata in sede di giudizio di primo grado, nella misura determinata, ove occorra, mediante consulenza tecnica contabile ovvero attraverso valutazione equitativa; oltre che la condanna della parte appellata alle spese in entrambi i gradi del giudizio.

Motivi della decisione

Il ricorso va accolto per le ragioni e nei limiti qui di seguito evidenziati.

La richiesta di risarcimento del danno va ricondotta e commisurata nei suoi fondamenti al contratto, concluso il 12 novembre 1999, tra l’impresa odierna appellante ed il Comune di Licata, con il quale, in particolare, l’Amministrazione, oltre che alla vendita delle aree destinate alla costruzione dell’opificio, si impegnava a fornire i servizi pubblici necessari per l’esercizio dell’attività d’impresa, e tra questi "i servizi di depurazione e di erogazione di idonei quantitativi di acqua potabile e di acque per usi industriali rapportati al fabbisogno dello stabilimento" (art. 5); mentre, da parte dell’impresa acquirente dell’area, ci si obbligava a provvedere, a sua cura e spese, alla realizzazione e manutenzione delle opere di smaltimento delle acque bianche e nere e del loro trattamento depurativo al fine di poterne effettuare lo scarico nelle reti fognati (art. 5, ult. cpv.).

In realtà, al di là delle prestazioni specificamente concordate, con il contratto in questione l’Amministrazione si obbligava con l’impresa controparte ad adottare tutte le iniziative utili o rilevanti per consentire la fruizione in concreto dei servizi di depurazione e di erogazione delle acque necessarie all’esercizio dell’impresa, attesa la particolarità del ciclo produttivo della medesima e la possibilità, per il tramite del suo tempestivo e regolare svolgimento, di soddisfare l’insieme di interessi personali e sociali, di incremento dell’occupazione, delle entrate fiscali e, in genere, della crescita produttiva del territorio, dei quali l’ente locale deve a vario titolo reputarsi soggetto esponenziale in sede di governo dell’economia locale e di buon fine dei finanziamenti pubblici a ciò deputati, anche se fruiti da un soggetto privato.

In questo senso, gli obblighi di cooperazione così evocati si fondono, per un verso, sulla causa concreta del contratto, secondo il suo iter storico e logico di formazione e conclusione di strumento per consentire il trasferimento di un terreno industriale attrezzato per lo svolgimento effettivo della specifica attività d’impresa organizzata dalla società ECODEP e, per altro verso, si precisano nel loro oggetto secondo quanto disposto dagli art. 1175 e 1375 c.c. a proposito di quelle prestazioni strumentali o accessorie, che risultano dovute da entrambi i contraenti e/o dai soggetti del rapporto obbligatorio, sulla base di criteri di buona fede e correttezza, al fine di realizzare pienamente l’interesse del creditore (o controparte) alla prestazione, secondo modalità di esecuzione che definiscono doveri di rispetto, di protezione, di informazione ecc., tanto più frequenti ed intensi quando il rapporto abbia uno svolgimento nel tempo. Relativamente ai comportamenti ed alle vicende, anche giudiziarie, che hanno segnato l’esecuzione del tipo di contratto concluso tra il Comune di Licata e con l’impresa odierna appellante, la puntuale ricostruzione in fatto compiuta dal giudice di prime cure ha già sottolineato i difetti di cooperazione ed i reiterati inadempimenti della Amministrazione – salvo, poi, in sede di delibazione della domanda di risarcimento del danno avanzata dall’odierna appellante, dichiararne il rigetto in parte per la mancanza di prova del danno subito nella misura denunciata dall’impresa; in parte perché, relativamente all’allaccio idrico, il ritardo – e le relative conseguenze dannose sul pieno funzionamento del ciclo produttivo sarebbero da imputare alla negligenza della stessa impresa, per non aver essa stessa provveduto, pur avendone la possibilità, ad inoltrare l’istanza all’Ente regionale all’epoca competente (l’ex EAS): evitando così, secondo quanto previsto dall’art. 1227, comma 2, c.c., i danni che altrimenti essa imputa all’inerzia dell’Amministrazione. Ritiene questo Consiglio che, per quanto attiene la prova del danno subito, i fatti e la misura allegati dall’impresa parte appellante in effetti non sono sufficienti a fondare un nesso di causalità adeguata, nei termini "di conseguenza immediata e diretta" prescritti dall’art. 1223 c.c., per come ha giustamente argomentato sul punto il giudice di prime cure, alla cui esauriente argomentazione qui senz’altro si può rinviare.

Diverso è il discorso, viceversa, che a giudizio del Consiglio deve farsi per il riconoscimento ed il risarcimento del danno comunque determinato dalla condotta elusiva e capziosa tenuta dall’Amministrazione anche in ordine alla realizzazione degli allacciamenti idrici, altrimenti necessari per il pieno sviluppo del particolare ciclo produttivo dell’impresa. Dalla narrativa dei fatti che hanno segnato i rapporti tra le parti del presente giudizio, risulta infatti che, anche ad ammettere la incompetenza del Comune in ordine agli allacciamenti idrici, in quanto oggetto di autorizzazione dell’Ente regionale (l’ex EAS), ciò non esclude che lo stesso Comune in adempimento delle ragioni di interesse che sostenevano il complesso degli obblighi contrattuali assunti con la controparte privata all’atto della stipula del contratto di cessione dell’area, era tenuto o a provvedere esso stesso a trasmettere all’EAS l’istanza di allacciamento, ovvero a comunicare tempestivamente alla impresa controparte l’eventuale sua incompetenza a favore dell’EAS, sollecitando quest’ultima a provvedere di conseguenza. Viceversa, la Amministrazione, pur essendo tenuta ad avere, ovvero dimostrando con la propria condotta di essere nel possesso dell’informazione circa la sua incompetenza, ha preferito omettere ogni iniziativa sia nell’una che nell’altra direzione: salvo, poi, opporla come argomento per invocare a proprio beneficio l’esimente posto dall’art. 1227, co. 2, c.c., addossando esclusivamente sull’impresa la responsabilità per la mancata autorizzazione all’allacciamento idrico e per i danni da ciò derivati al pieno sviluppo dell’iniziativa economica intrapresa.

In questo senso, anche il consenso prestato dal giudice di prime cure a tale argomento non appare condivisibile, sul punto in cui, dopo aver riconosciuto "che può giustificarsi il richiamo all’art. 5 del contratto intercorrente tra le parti … (per) sostenere che doveva essere l’amministrazione a farsi parte diligente e ad inoltrare l’istanza all’EAS…" lo stesso giudice esclude poi, ai sensi dell’art. 1227, co. 2, c.c., la pretesa risarcitoria connessa a tale inadempimento per il fatto che, comunque "la società ricorrente avrebbe potuto evitare il danno derivante dal ritardato allacciamento idrico inoltrando personalmente l’istanza all’EAS e non aspettando che il Comune di Licata trasmettesse la relativa istanza". Il vizio logico di tale argomentazione risulta evidente. Se, infatti, si ritiene il contratto idoneo a fondare l’obbligo del Comune circa la tempestiva richiesta dell’autorizzazione all’EAS, allo stesso modo deve ammettersi in capo all’impresa una pretesa verso tale iniziativa da parte dell’Amministrazione obbligata, a nulla rilevando, per ciò stesso, il fatto che avrebbe astrattamente potuto inoltrare essa stessa la richiesta, evitando così i danni determinati dalla condotta omissiva tenuta dall’Amministrazione. D’altra parte, dagli atti versati in causa risulta che il provvedimento di autorizzazione all’allacciamento idrico rilasciato all’impresa dal Comune di Licata (nota prot. 387/10.01.2007) ha avuto come presupposto la richiesta avanzata dal Comune di Licata all’EAS (n. 15266 del 7 aprile 2006) per la fornitura idrica dell’intera area industriale, nella quale era allocata l’impresa appellante. La quale, dunque, anche a volersi fare parte diligente, non aveva comunque la competenza a richiedere all’EAS un provvedimento che poteva essere sollecitato, con il contenuto sopraindicato, soltanto dall’Amministrazione comunale a servizio dell’intera area industriale. Da quanto sopra detto, ne deriva allora che in punto di esclusione del risarcimento per i danni cagionati dal ritardato allacciamento idrico, l’esimente contemplato dall’art. 1227, comma 2, c.c., appare improprio rispetto al modo con cui è stato richiamato ed applicato dal giudice di prime cure; mentre risulta ulteriormente confermata la responsabilità dell’Amministrazione per il ritardo nell’allacciamento e nell’avvio regolare del ciclo produttivo. La determinazione del danno peraltro non può essere condotta sulla base dei risultati economici sperati, ed allegati dall’impresa appellante, come giustamente ha messo in chiaro il giudice di prime cure; ma in quella misura che, ai sensi dell’art. 1226 c.c., il Consiglio in via equitativa ritiene di stabilire d’ufficio in complessivi Euro 100.000,00 (centomila/00), in considerazione della obiettiva difficoltà di una precisa quantificazione.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Esistono giuste ragioni per condannare l’Amministrazione appellata al pagamento delle spese nella misura stabilita nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando accoglie l’appello per le ragioni e nei limiti stabiliti in motivazione e, per l’effetto annulla la sentenza del TAR Sicilia – sede di Palermo, sez. I, n. 2009/2000.

Condanna l’Amministrazione appellata al risarcimento del danno nella misura stabilita in motivazione, oltre al pagamento delle spese del presente giudizio, che fissa nella misura di Euro 5.000,00 (cinquemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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