Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-05-2011) 28-06-2011, n. 25682 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con istanza tempestivamente presentata T.O.M. chiedeva alla Corte di Appello di Roma la liquidazione ai sensi degli artt. 314 e segg. c.p.p. della riparazione per l’ingiusta detenzione subita in carcere dal 9.12.2002 al 20.1.2003 e poi fino al 5.4.2003 agli arresti domiciliari nell’ambito di un procedimento penale instaurato nei suoi confronti in ordine al delitto di associazione per delinquere finalizzata all’organizzazione dell’immigrazione clandestina e di falso continuato e definito poi con sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto in quanto le conversazioni intercettate, poste a base della misura cautelare, apparivano compatibili con la tesi difensiva che fossero dirette a risolvere problemi personali. La Corte di appello, con provvedimento in data 27.5.2010, rigettava l’istanza ritenendo che il richiedente avesse contribuito, con un comportamento altamente imprudente e superficiale, all’emissione del provvedimento restrittivo nei suoi confronti e che, pertanto, non poteva essere liquidata alcuna somma a titolo di riparazione per ingiusta detenzione.

Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il richiedente, tramite il suo difensore di fiducia, deducendo la violazione di legge in relazione all’art. 314 c.p.p. ed il vizio motivazionale, circa i presupposti negativi ritenuti dalla Corte territoriale per ritenere il contributo della condotta del richiedente all’ingiusta detenzione;

circa la gravità della colpa e circa l’omessa analisi del comportamento tenuto dopo l’applicazione della misura cautelare ai fini del "giusto" mantenimento della stessa. Il Procuratore Generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

E’ stata depositata una memoria nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il ricorso è infondato e va respinto.

La Corte di Appello, invero, correttamente rileva come anche il fatto di aver commissionato al coimputato R.H.A., noto falsario, una patente falsa (irachena o iraniana che fosse) che avrebbe potuto utilizzare in Italia, delinei, quanto meno, un comportamento altamente imprudente e superficiale del T., il quale, effettuando le intercettate conversazioni telefoniche compromettenti, ancorchè non decisive per una affermazione di penale responsabilità, ed attivandosi con una persona nota come falsario per ottenere una falsa documentazione, ha accettato il rischio di apparire coinvolto nell’organizzazione criminale che procurava ai clandestini falsi documenti, come ipotizzato nel capo di Imputazione.

Pertanto, correttamente il giudice di merito, senza effettuare alcuna illegittima rivalutazione della sentenza penale di assoluzione ma rilevando solo la sussistenza di elementi che hanno dato causa all’emissione della misura cautelare e configuranti la colpa grave a norma dell’art. 314 c.p.p., comma 1, ha escluso il diritto del ricorrente alla riparazione, essendo stata la condotta dell’istante idonea concausa a determinare l’emissione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare a suo carico (nè risultano, diversamente da quanto adombrato dal ricorrente, univoci elementi che avrebbero dovuto indurre ad escludere fin dalla fase delle indagini preliminari la necessità del mantenimento della custodia cautelare).

E tale risoluzione appare in perfetta linea con l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui la nozione di colpa grave di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1 va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale (tra le altre, Cass. pen. Sez. 4^, 15.2.2007, n. 10987, Rv. 236508).

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese relative al presente giudizio in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore del Ministero ricorrente delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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