Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 28-06-2011, n.Falsità 25744

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 3.8.2010, il Tribunale della Libertà di Milano rigettava l’istanza di riesame proposta da L.V. D. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal gip dello stesso Tribunale il 5.7.2010 per i reati di falso e favoreggiamento personale aggravato ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 nei confronti di M.A. e L.P., personaggi inseriti nella cosca ndranghetista denominata "arena" e già destinatari, all’epoca dei fatti in contestazione, di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del tribunale di Catanzaro il 6.4.2009 per i reati di associazione mafiosa e omicidio ed eseguita il successivo (OMISSIS).

Secondo l’accusa, il ricorrente, durante il periodo in cui i due latitanti si erano sottratti al provvedimento restrittivo, aveva fornito loro carte di identità, rilasciate dal Comune di Crotone, in cui figuravano i dati anagrafici di B.D. e B. A.D., contraffatte con l’apposizione delle foto del L.P. e del M.; aveva inoltre consegnato a quest’ultimo, una patente di guida riportante gli stessi dati anagrafici della carta di identità.

Il tribunale ricorda che le indagini avevano preso l’avvio dalle indicazioni emerse dall’attività intercettativa sui movimenti di V. e F.P., P.A., C. F. e Ba.Ma., risultati in contatto, intorno alla metà del mese di (OMISSIS), con V.L., che avrebbe dovuto consegnare loro "qualcosa" da parte dell’indagato, conosciuto come "(OMISSIS)" e nell’occasione indicato come " (OMISSIS)".

L’oggetto delle interlocuzioni veniva chiarito in altre conversazioni, in cui compariva l’esplicito accenno a "documenti", termine di cui gli inquirenti avevano dapprima supposto un significato convenzionale riferibile ad altri oggetti illeciti, ma che le circostanze dell’arresto di L.P. e del M. avevano infine consentito di ritenere corrispondente al suo significato letterale, negli accenni degli interlocutori, dal momento che i due latitanti erano stati trovati appunto in possesso di documenti di identità contraffatti. L’implicazione del ricorrente nella vicenda, con un ruolo di primo piano, era desunta dai giudici territoriali sulla base di una serie di conversazioni telefoniche, a partire da quella del 20.5.2009 tra V.L., che stazionava in (OMISSIS), ad (OMISSIS), e P.A., in cui compariva per la prima volta il riferimento a L.V. D., che doveva incontrarsi con il V., e che viene indicato dagli interlocutori come "(OMISSIS)".

Le successive conversazioni telefoniche avevano quindi rivelato, secondo i giudici territoriali, che il ricorrente era incaricato di recapitare ai suoi interlocutori documenti "compromettenti", per la consegna dei quali tutti i personaggi coinvolti mostravano di ritenere necessarie le opportune cautele, e di temere eventuali controlli di polizia. Durante l’intrecciarsi dei contatti telefonici e personali tra i protagonisti dell’operazione, compariva ben presto la figura di L.P., associata a quella di V. C., che nella complessiva operazione di supporto ai latitanti si sarebbe incaricato fra l’altro, secondo i giudici del riesame, di procurare agli stessi un’autovettura. La questione sarebbe stata risolta da La.Al., che aveva preso a nolo una "(OMISSIS)" a sette posti. Nella tarda mattinata del (OMISSIS), il L.P. e il M. erano stati infine accompagnati presso la struttura B&B gestita da I.G., ma la sera della stesso giorno erano stati sorpresi dalle forze dell’ordine mentre cenavano all’interno del ristorante "(OMISSIS)" e venivano quindi arrestati.

Ne seguiva uno scambio di informazioni all’interno degli ambienti criminali interessati, a partire dalla conversazione tra il V. e il La. intercettata alle ore 2,20, in contesti comunicativi in cui il tribunale riteneva implicato anche il ricorrente, informato dell’accaduto dal fratello di L.P. e a sua volta attivo nel diffondere la notizia dell’arresto dei due latitanti (il tribunale cita le conversazioni delle ore 10,25 del (OMISSIS) tra il ricorrente e il L.F.; e quella delle ore 22,11 dello stesso giorno, intercorsa con Br.Pa.).

Ricorrono i difensori dell’indagato deducendo, con un unico motivo la nullità dell’ordinanza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 111 Cost. comma 6, art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c bis, per mancanza, contraddittorietà o, comunque, manifesta illogicità della motivazione.

I giudici territoriali si sarebbero in sostanza limitati ad un mero richiamo delle argomentazioni dell’ordinanza cautelare senza dar conto delle contrarie deduzioni difensive, giungendo comunque all’affermazione del pieno, consapevole ed assolutamente in equivoco ruolo dell’imputato nel contesto delle fattispecie concorsuali contestategli, in termini mal conciliabili con l’effettiva portata degli elementi indiziati a carico del ricorrente.

La difesa sottopone quindi a puntuale analisi critica il contenuto delle intercettazioni telefoniche che riguardano, o riguarderebbero, il ricorrente, sottolineando che la conclusione che secondo i giudici del riesame se ne dovrebbe ricavare, cioè del ruolo di intermediario assunto dal L. tra gli autori materiali della falsificazione dei documenti (peraltro mai identificati) e le persone che "gestivano i latitanti, appare davvero una forzatura. Rileva peraltro la difesa che nei confronti dell’indagato sarebbe stata emessa sentenza di non luogo a procedere per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., ciò che dimostrerebbe l’estraneità del L. a cointeressenze di stampo mafioso, imponendo di ritenere una diversa connotazione dei rapporti personali dallo stesso intrattenuti nel corso delle vicende processuali, con la conseguente inconsistenza della contestazione dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Le deduzioni difensive si basano essenzialmente sulla proposta di una diversa lettura di merito delle risultanze istruttorie attentamente ed adeguatamente analizzate dal Tribunale, che a proposito del contenuto delle conversazioni intercettate sottolinea, ad es., con argomentazione sicuramente efficace, che proprio grazie ad esse fu possibile pervenire all’arresto di L.P. e M. A.; ma sottolinea, anche, che il L. seguì le vicende successive all’arresto, venendone tempestivamente informato e informandone altri (vedi pag. 7 dell’ordinanza impugnata, sui contatti telefonici tra il ricorrente e L.F.R. delle ore 10,25 del 6.6.2009, e tra il ricorrente e Br.Pa. delle ore 22,11; non infondatamente deducendo da questi e dagli altri elementi di prova esaminati, la piena consapevolezza del ricorrente circa termini della propria condotta di aiuto ai latitanti e circa la figura di questi ultimi. Ma anche sulla questione dell’interpretazione dell’espressione "documenti" che figura in lacune conversazioni e che secondo l’accusa sarebbe riferibile ai documenti falsi consegnati ai latitanti, i giudici territoriali non mancano di interloquire con incisive notazioni (pag. 10), a confutazione delle diverse tesi difensive. Quanto all’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7, essa è stata correttamente ritenuta dal Tribunale in assenza di indicazioni alternative realmente plausibili circa il movente della condotta di favoreggiamento dell’imputato, e considerando il suo attivo coinvolgimento nella vicenda anche relativamente alle fasi successive all’arresto dei latitanti, a conferma di un’implicazione non occasionale nè inconsapevole, in nessun modo svalutata dall’esclusione della partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa, che certo non può mai di per sè condizionare la valutazione dell’aggravante in questione.

Ed appare francamente "di stile" non la motivazione dell’ordinanza impugnata, articolata, coerente ed esaustiva, nella risposta (anche implicita) ai rilievi difensivi, ma proprio la relativa doglianza del ricorrente, essendo comunque inevitabile, nella decisione di conferma di un provvedimento giudiziario sottoposto allo scrutinino di un giudice sovraordinato, il richiamo o la "duplicazione" delle argomentazioni condivise.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro mille, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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