Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 28-06-2011, n. 25717

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 25.07.2005, il Tribunale monocratico di Napoli ha condannato: 1) Z.P. alla pena di anni tre di reclusione, esclusa l’aggravante del fine di mafia, riconosciute le attenuanti generiche, la continuazione tra i reati e la diminuente per il rito;

2) B.S. alla pena di anni tre di reclusione riconosciute le attenuanti generiche, la continuazione tra i reati e la diminuente per il rito;

3) B.M. alla pena, per il solo capo B), di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro mille di multa ritenuta la continuazione tra i reati e la diminuente per il rito;

4) V.S. e 5) V.P. alla pena, ciascuno, di anni tre di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche, la continuazione tra i reati e la diminuente per il rito;

6) Ba.Ma. alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche e la diminuente per il rito;

7) Ma.Ra. alla pena, per il solo capo B), di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro mille di multa, ritenuta la continuazione tra i reati e la diminuente per il rito;

8) M.M. alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche e la diminuente per il rito;

9) A.G. alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione ed Euro 2000,00 di multa riconosciute le attenuanti generiche, la continuazione tra i reati e la diminuente per il rito;

peri reati:

– di associazione per delinquere di stampo mafioso volta alla produzione e commercio di merce con marchi contraffatti per Z. P. (al quale è stata esclusa l’aggravante del fine di mafia), B.S., V.S., V.P., Ba.Ma., M.M.; – di produzione e commercio di merce con segni distintivi falsi, aggravato dal fine di mafia, per Z.P., B.S., B.M., V. P. e S.. La sentenza indicata in epigrafe ha confermato la sentenza eliminando per A.G. l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e rideterminando la pena infintagli in anni due di reclusione ed Euro 1400,00 di multa.

1) Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre Ma.Ra. in proprio e le difese degli altri imputati, deducendo a motivo:

Z.P.:

a) La nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), d) ed e) perchè i giudici dell’appello si sono limitati a riportare le singole conversazioni telefoniche senza operare il vaglio critico delle prove raccolte; hanno sostanzialmente riprodotto la motivazione della sentenza di primo grado, solo rimaneggiandola, ma lasciandone inalterato il contenuto valutativo; hanno tralasciato di prendere in esame e rispondere alle precise censure avanzate con i motivi di appello. Con il primo motivo il ricorrente lamenta che la motivazione fa ampio rinvio a quella di prime cure, omettendo l’esame dei motivi di appello e del materiale probatorio addotto dalla difesa dell’imputato: evidenzia una serie di brani che sono la mera trasposizione di parti della motivazione di primo grado e si duole del fatto che i giudici dell’appello, invece di procedere alla disamina puntuale dei motivi di impugnazione si sono limitati a riprodurre le stesse argomentazioni svolte dal giudice del grado precedente, in totale assenza di una autonoma valutazione dei fatti. b) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 416 bis, 473 e 517 c.p. perchè è stata ritenuta la partecipazione all’associazione criminale in carenza dei presupposti previsti dalla norma per ritenerne la sussistenza. In particolare non è stata dimostrata la consapevolezza di aver fondato con carattere di permanenza, o di farne parte, associazione criminale con predisposizione di uomini e mezzi per l’attuazione del programma criminoso. Nelle dichiarazione dei collaboratori, nelle intercettazioni telefoniche, nelle pronunce giurisdizionali già emesse in ordine all’associazione criminale "Alleanza di Secondigliano" non si rinvengono elementi di prova a carico di Z. P. mentre la condanna si pone in contrasto con la sentenza di assoluzione n. 5724/08 pronunciata sui medesimi fatti dalla sesta sezione della Corte d’appello partenopea.

Le conversazioni intercettate dello Z. si riferiscono esclusivamente all’attività commerciale dallo stesso gestita. c) Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c) in relazione all’art. 322 ter c.p.p., D.Lgs n. 74 del 2000, art. 2 e L. n. 244 del 2007, art. 143, comma 1 essendo stato disposto il sequestro con riferimento alla totalità dei beni patrimoniali dell’imputato. Lamenta il ricorrente che sia stata disposta la confisca indiscriminata di tutti i beni patrimoniali della Zinzi s.a.s., anche se era stata dimostrata la legittima provenienza degli stessi al patrimonio aziendale.

La Corte d’appello non ha tenuto in considerazione la consulenza tecnica prodotta dalla difesa che attesta un andamento costante dell’attività dell’azienda con rendimenti positivi costanti negli anni dal 1980 al 1999. La consulenza contabile ha anche dimostrato che, raddoppiato il capitale sociale allargato ad un nuovo terzo socio, con gli affidamenti bancari l’attività imprenditoriale si era rafforzata.

Sul punto la Corte d’appello, rifacendosi al reato di cui all’art. 416 bis c.p., e senza entrare nell’esame dei dettagli tecnico economici dell’indagine, ha reso una motivazione meramente apparente, estendendo la confisca anche ai beni provento della lecita attività imprenditoriale pure svolta dall’imputato, così contravvenendo allo specifico insegnamento della Corte di Cassazione. Del tutto immotivatamente la confisca è stata estesa alle quote sociali di Ai.Ca. e Z.A., persone estranee al reato. La difesa a tal proposito aveva dimostrato la lecita provenienza dei beni, l’assenza di interposizione fittizia, la proporzione tra i redditi prodotti ed il tenore di vita della famiglia Z.. Non è controverso, invero, che Z.P. sia il proprietario di tutti i beni e pertanto non può ravvisarsi la situazione di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies. Nel caso in esame la Corte d’appello avrebbe dovuto dar conto della derivazione diretta delle possidenze confiscate dall’illecita attività contestata all’imputato ed invece si è sottratta all’obbligo di tener conto delle emergenze probatorie offerte dalla difesa.

B.S.:

a) La nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, n. 1, lett. c) e d) in riferimento alla prova certa di colpevolezza per i fatti ascritti a B.S. e comunque il difetto di motivazione.

Deduce il ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata è carente di analisi in merito alla conciliabilità delle versioni fornite dai diversi collaboratori in ordine alla attività svolta da B.S.; nè il giudice di merito ha fornito una chiara indicazione sulla regola di giudizio a cui si è ispirato nel considerare ininfluenti le predette divergenze. Il giudice d’appello, inoltre, non prende neanche in considerazione la doglianza relativa all’aver tralasciato le evidenze probatorie raccolte dalla difesa. Le dichiarazioni testimoniali e la documentazione raccolta dalla difesa rendono possibile una diversa lettura dei fatti attribuiti al B.. Anche delle conversazioni intercettate è possibile configurare una diversa interpretazione e la Corte d’appello avrebbe dovuto tenere presente e confutare le considerazioni articolate nell’appello mentre, invece, in più punti è illogica e lacunosa.

Anche il sequestro dei beni del B., ed in particolare dell’immobile di vico Zuroli, non è sorretto da idonea motivazione perchè la Corte ha omesso di motivare sulla provenienza illecita dei beni.

B.M.:

b) La nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, n. 1, lett. c) e d) in riferimento alla prova certa di colpevolezza per i fatti ascritti a B.M. e comunque il difetto di motivazione.

La motivazione è carente in ordine alla prova della responsabilità del B. perchè si limita ad affermare che B.M., in quanto rappresentante della società Sintex Pelle s.a.s. è necessariamente correo nella commercializzazione di merce con marchi contraffatti. In realtà gli unici elementi emersi a carico del B. riguardano l’episodio del sequestro di macchine recanti il marchio Canomatic operato dalla Polizia francese e la conversazione telefonica intercorsa tra At.Ga., proprietario del deposito ove la merce è stata sequestrata e lo stesso B. che si premura di tranquillizzarlo sulla liceità della provenienza della merce sequestrata.

– Nullità della sentenza nella parte relativa alla confisca dei beni del B. l’assenza di prove in ordine alla responsabilità penale del B. si riverbera sulla confisca dei beni del B. che non è sorretta da adeguata motivazione sull’an e sul quantum.

V.S. e V.P.:

a) Con due distinti ricorsi, aventi lo stesso contenuto per entrambi gli imputati, la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), il vizio di motivazione per mancanza e manifesta illogicità e l’erronea applicazione della legge penale. In particolare afferma il ricorrente che l’accusa di produrre merce con marchi contraffatti, per conto dell’associazione camorrista "Alleanza di Secondigliano", che poi rivendeva all’estero la predetta merce attraverso una propria rete di venditori "magliari" è stata ritenuta dai giudici di merito senza tener conto delle prove a discolpa fornite dagli stessi imputati e dalla difesa; dai primi con un memoriale depositato subito dopo l’arresto e dalla seconda con copiosa documentazione relativa alla genesi dell’attività imprenditoriale, la registrazione e l’utilizzo dei marchi ed i continui controlli fiscali subiti dalla Guardia di Finanza.

In particolare le prove ritenute a carico dei due imputati, sono assai esigue mancando chiamate in correità di collaboratori di giustizia ad eccezione di quelle di A.P. che ha riferito, solo in termini perplessi, di aver sentito il cognome V.. b) Le conversazioni telefoniche non evidenziano elementi di responsabilità per i due imputati e le conversazioni con B. M. e C.A. del 30.06.2000 dimostrano la liceità dell’attività imprenditoriale organizzata dai V., riscontrata anche dalla raccomandata inviata dai V. alla ditta dei concorrenti per intimargli la cessazione delle scorrette pratiche concorrenziali. I giudici di merito non avrebbero fatto buon governo della regola insita nell’art. 192 c.p.p., comma 2 e della rigorosa valutazione della prova in termini di certezza. c) Non sarebbero state analizzate neanche le prove a discapito prodotte all’udienza del 28.11.2008 a dimostrazione del fatto che il marchio "GV" dei due imputati è stato registrato fin dal 1997 in campo internazionale ed il consulente di parte ha escluso la confusione con altri marchi. Manca inoltre la prova che i V. abbiano agito, nei termini richiesti dalla giurisprudenza della Corte Suprema, allo specifico scopo di agevolare l’associazione criminale. Infine il ricorrente afferma che la sentenza è censurabile anche per il profilo relativo alla quantificazione della pena, perchè non motivata.

Ba.Ma.:

a) La nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 8 in applicazione della pronuncia della Corte Costituzionale n. 336 del 2008 ed il vizio di motivazione per mancanza e manifesta illogicità.

Il ricorrente reitera l’eccezione di nullità dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. e di tutti gli atti successivi, per omessa consegna alla difesa dei supporti magnetici recanti le conversazioni intercettate, costituenti la prova della responsabilità del B.. La Corte di merito avrebbe respinto l’accezione affermando che all’epoca dei fatti la norma processuale dell’art. 415 bis c.p.p. non consentiva l’interpretazione datagli dalla difesa e che la norma ha assunto valenza solo in seguito alla modifica legislativa: tuttavia rileva il ricorrente che la sentenza della Corte Costituzionale n. 336 del 2008, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 268 c.p.p. deve avere applicazione retroattiva, ai sensi della L. n. 87 del 1953, art. 30. b) rileva, inoltre, il ricorrente la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui fa rinvio alla pronuncia di primo grado che, però, non aveva affrontato lo specifico profilo della pronuncia della Corte Costituzionale.

Ma.Ra.:

a) La nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), il vizio di motivazione in relazione alla aggravante del fine di mafia, ritenuta in motivazione anche in assenza della prova rigorosa della sua sussistenza solo per gli accertati rapporti commerciali intrattenuti con At.Ga..

M.M.:

a) La nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), il vizio di motivazione per mancanza e manifesta illogicità e l’erronea applicazione della legge penale perchè i giudici dell’appello avrebbero fatto rinvio alla motivazione della sentenza di prime cure senza prendere in esame le censure manifestate con l’atto di appello ed avrebbero anche dato alla conversazione del 05.03.1999 un significato non conforme alla realtà, attribuendo all’imputato la consapevolezza della latitanza del L..

A.G.:

a) La nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), il vizio di motivazione per mancanza e manifesta illogicità e l’erronea applicazione della legge penale perchè i giudici dell’appello non hanno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione nè hanno fornito una corretta interpretazione degli stessi. In particolare nell’affermare la responsabilità per il reato di riciclaggio non hanno valutato l’esistenza di una cartellina, negli uffici dell’ A., a lui intestata e contenente le fatture ed i conteggi in dare e avere relativi alle somme movimentate, che dovevano essere ricondotte allo svolgimento dell’attività commerciale.

Motivi della decisione

2.1 Il ricorso di Z.P. è manifestamente infondato.

2.1 In ordine al primo motivo, che postula il riconoscimento del vizio di motivazione apparente, si rileva che il ricorrente, pur lamentando il mancato esame delle censure articolate nel relativo atto di gravame e nei motivi aggiunti, non specifica mai quali aspetti della vicenda, devoluti alla cognizione del detto giudice, sarebbero stati ignorati, rinviando alla lettura dei predetti atti la possibilità di individuare la sussistenza della censura. Allo stesso modo, si duole della riproposizione delle stesse argomentazioni formulate dal giudice di prime cure, quasi una materiale trasposizione di brani donati dalla motivazione della sentenza di primo grado, ma si limita ad indicare una sequela di pagine che attesterebbero tale riproduzione, sollecitando la Corte a prenderne direttamente contezza e dimenticando che la Corte di legittimità ha già elaborato il principio giurisprudenziale dell’autosufficienza del ricorso secondo il quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso. Rv. 248192. 2.2 L’onere della indicazione specifica dei motivi di ricorso non può essere assolto con la semplice affermazione dell’esistenza del vizio, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità. Nè può avere maggiore rilevanza, ai fini dell’impugnazione, il fatto che il ricorrente trascriva un brano della sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 6397, se poi non indica i punti della sentenza qui impugnata che si riferiscono alla predetta sentenza ed in che cosa si sostanzi il vizio di motivazione invocato, ma con specifico riferimento alla sentenza qui all’esame. La Corte di legittimità ha affermato che, a pena di inammissibilità, l’atto di ricorso deve essere autosufficiente, nel senso che deve contenere la precisa prospettazione della ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica, cosa che, all’evidenza, non è stato fatto con riguardo al primo motivo di ricorso.

2.3 Quanto al secondo motivo, che lamenta l’assenza di una motivazione personalizzata in ordine alla partecipazione di Z. P. alla associazione criminale camorristica e all’uso puramente espositivo delle conversazioni telefoniche intervenute tra i vari adepti, senza un’analisi critica degli aspetti incriminanti di tali conversazioni, va osservato che la sentenza della Corte di merito riposa su un iter argomentativo che da conto del diretto coinvolgimento di Z.P. nell’associazione criminale.

La struttura della sentenza è semplice e di immediata comprensione:

l’estensore innanzitutto, per dare contezza dell’esistenza e dell’operatività del consesso criminale, analizza il copioso materiale probatorio costituito dalle numerose sentenza di condanna passate in giudicato che hanno riconosciuto l’esistenza dell’organizzazione criminale "Alleanza di Secondigliano", ne hanno individuato le famiglie aggregate ed i singoli partecipi, ricostruito gli obiettivi criminali e le modalità di azione, e sanzionato nel tempo le specifiche attività criminali succedutesi, mettendo in rilievo l’acquisita certezza che l’organizzazione ha un carattere spiccatamente transnazionale, un’anima decisamente imprenditoriale ed una struttura assolutamente accentrate e dirigista.

2.4 In altri termini, per i fini che qui interessano, la sentenza delinea la rete di punti vendita di abbigliamento recante marchi falsi, tutti rigorosamente gestiti da affiliati alle varie famiglie di cui si compone l’organizzazione, merce che viene tutta esclusivamente prodotta nel territorio di Secondigliano, produzione del pari rigorosamente controllata dall’organizzazione stessa.

Dopo aver dato atto dell’estensione mondiale di tale rete di vendita (Francia, Portogallo, Spagna, Germania, Danimarca, Finlandia, Belgio, Irlanda, Inghilterra, Jugoslavia, Paesi Arabi, Cina, Cuba e Canada), con l’asettica ed efficace riproposizione di brani di interrogatori di adepti, anche qualificati nella scala del comando, diventati collaboratori di giustizia, e delle risultanze delle attività investigative svolte a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo all’acquisizione di conversioni intercettate tra gli adepti impiegati nell’attività commerciale corrente, di peculiare valore per ricostruire le dinamiche dirigenziali dell’attività, le scelte imprenditoriali ed i motivi interni all’associazione che li hanno determinati, la sentenza passa ad analizzare le singole posizioni degli imputati nel processo in esame.

2.5 Analizzando il materiale probatorio di cui dispongono, i giudici dell’appello individuano i legami di Z.P. con la famiglia Licciardi, una delle componenti dell’"Alleanza di Secondigliano", risalenti ed attestati già nelle indagini condotte dalla Polizia tedesca del 1990 ed in particolare il suo riferirsi a L. P., del quale cura, nei rapporti con la gerarchia del gruppo, gli interessi operativi (vedi ricostruzione della chiusura, in Germania, del magazzino di Vi.Vi., contiguo ad altra consorteria camorrista, voluta da L.P. e gestita da P.V. e Z.P. – pag. 47/53)..; ne ricostruiscono la funzione peculiare di uomo di fiducia del boss L.P. (pag. 75) svolta, nel corso degli anni, anche quando quest’ultimo era latitante.

2.6 Dalle conversazioni dallo Z. intrattenute con gli altri adepti all’impresa criminale, ovvero intercorse tra altri adepti tra di loro, tutte individuate ed inserite in motivazione con logica inerenza ai concetti che vengono svolti e tutte puntualmente commentate in modo da formare un contestuale riscontro documentale alla ricostruzione critica delle vicende illecite, i giudici di merito hanno tratto il fondato convincimento che l’imputato ha gestito sistematicamente gli interessi economici di L. P., esponente di assoluto rilievo dell’organizzazione criminale de quo, controllando le iniziative commerciali sviluppate dagli altri partecipi dell’impresa criminale, in Italia (pag. 43 e 52-53), Germania (vedi pag. 58-61-62) in Francia (vedi pag. 75 e sgg.) in Australia (vedi pag. 153), tutte finalizzate ad attuare il programma criminoso, consistente proprio nella commercializzazione di merce recante marchi contraffatti.

2.7 Nessuna censura sul piano della congruità della motivazione merita la tecnica di redazione della sentenza, di cui si duole la difesa, con riferimento alle trasposizioni pedisseque delle conversazioni della struttura operativa dell’impresa multinazionale della concorrenza sleale, proprio perchè i dialoghi sono tutti strettamente connessi alla essenza dell’impresa stessa e costituiscono il vivido riscontro documentale dell’attività illecita.

2.8 A fronte degli elementi compiutamente individuati dai giudici di merito, di primo e secondo grado, perchè le motivazioni si integrano formando un unico contesto motivazionale, la difesa ha sviluppato, sia in appello che in questa sede di legittimità, motivi non puntuali e, per questa fase meramente ripetitivi e, pertanto, inidonei a scardinare l’impianto accusatorio.

Questa Corte di legittimità ha già ritenuto che: "E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità. Rv. 210157. 2.9 Va comunque ricordato che la verifica che la Corte di cassazione può compiere sulla correttezza della motivazione non va confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, nè con la possibilità di formulare un giudizio, diverso da quello espresso dai giudici di merito, sull’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori o sull’attendibilità delle fonti di prova. Il controllo di legittimità è limitato alla congruità e coerenza delle valutazioni compiute, sicchè, una volta accertato che il processo formativo del convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento negativo di un procedimento induttivo contraddittorio o illogico, ovvero di un esame incompleto o impreciso, le valutazioni compiute si sottraggono al sindacato di legittimità Rv. 205643. 3.4 Anche il terzo motivo di ricorso, relativo alla confisca dei beni, è manifestamente infondato.

Z.P. è stato condannato ai sensi dell’art. 416 bis c.p..

Il delitto di partecipazione ad associazione a delinquere di tipo mafioso comporta la confisca obbligatoria delle emergenze economiche, in qualunque modo riconducibili all’appartenenza all’associazione criminale ed alla attività comunque espletata dalla stessa, sia in via diretta (prezzo-profitto) che conseguente (prodotto-impiego).

L’art. 416 bis c.p., comma 7, infatti, dispone che: "nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzoli prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego". E’ di tutta evidenza che l’attenzione del legislatore è stata massima nell’escludere dal circuito del lecito godimento dei beni quelli conseguiti con modalità mafiose e più in generale l’intenzione di precludere ogni possibilità di contaminazione del circuito legale della ricchezza, da tutto ciò che proviene da produzione o acquisizione di ricchezza, con le predette modalità.

Di conseguenza nessun pregio può avere rivendicare, come fa il ricorrente, l’origine lecita della società Zinzi sas, se poi, nel tempo, essa è diventata, come si legge nella motivazione della sentenza impugnata "…strumentale alla illecita attività posta in essere da Z.P." ovvero se nella società sono stati reimpiegati, come si rileva in sentenza, gli ingenti capitali derivanti dalla attività illecita da lui posta in essere.

Solo per completezza va ancora rilevato che il ricorrente fa riferimento, per escludere la provenienza illecita del patrimonio confiscatogli ad una consulenza contabile di parte ed a documentazione, che non allega e della quale non fornisce alcun riferimento, dimenticando che questa Corte, con decisione che il collegio condivide e fa propria, ha già deciso che la previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), nel testo novellato ad opera dalla L. n. 46 del 2006, nel fare riferimento – ai fini della deduzione del vizio di motivazione – ad atti del processo che devono essere specificamente indicati dal ricorrente detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell’art. 581, comma 1, lett. c), per la quale nell’atto di impugnazione sono indicati i motivi con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Ne consegue che il ricorrente – accanto all’onere di formulare motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell’art. 581 cod. proc. pen. – ha anche l’onere peculiare di inequivoca individuazione e specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, onere da assolvere nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti dedotti (integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice, ecc.) Rv.

234721. Per altro verso il motivo è contraddittorio perchè affermando che Z.P. è il solo proprietario dei beni confiscati, ammette l’intestazione fittizia delle quote formalmente intestate agli stretti congiunti.

3.5 Il ricorso di Z.P., per i suddetti motivi, deve essere dichiarato inammissibile.

B.S..

4. Anche il ricorso di B.S. è manifestamente infondato.

4.1 Il ricorso, infatti, è fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, in nulla sostanziandosi in critiche mirate alle argomentazioni sviluppate dalla Corte di merito e pertanto dovendosi tali motivi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, che non può prescindere dalle argomentate motivazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità. Rv. 210157. 4.1 Il ricorso, inoltre, tenta di accreditare una alternativa lettura degli elementi probatori acquisiti. A tale proposito è stato più volte chiarito che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato è – per espressa disposizione legislativa – rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, non fondate su dati contrastanti con il "senso della realtà" degli appartenenti alla collettività ed infine esenti da vistose ed insormontabili incongruenze tra di loro. In altri termini – in aderenza alla previsione normativa che attribuisce rilievo solo al vizio della motivazione che risulti "dal testo del provvedimento impugnato" – il controllo di legittimità si appunta esclusivamente sulla coerenza strutturale "interna" della decisione, di cui saggia la oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico- argomentativo e, tramite questo controllo, anche l’accettabilità da parte di un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento e da osservatori disinteressati della vicenda processuale.

B.M..

5. Il ricorso di B.M. è manifestamente infondato perchè prospetta solo motivi in fatto, volti ad accreditare un diverso valore del materiale probatorio.

5.1 Al giudice di legittimità è invece preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

V.S. e V.P..

6. Il ricorso, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, deve essere dichiarato inammissibile.

6.1 I ricorrenti, infatti, attraverso la pretestuosa deduzione di un’asserita carenza di motivazione della sentenza impugnata, ha tentato di ottenere una rivalutazione delle prove, nonchè degli elementi considerati dai giudici del secondo grado per l’applicazione in concreto della pena, che si risolverebbe in un sostanziale nuovo giudizio sul fatto; e tale giudizio, per costante giurisprudenza di questa Corte, è sottratto, come tutte le valutazioni di merito, al sindacato di legittimità della Cassazione. La sentenza, invero, con una motivazione ampia ed esaustiva, da conto dello specifico ruolo che i due V., figli di V.C., anch’egli socio di L.P., Z.P. e B.M. nel commercio internazionale di marchi contraffatti, con la loro Gruppo V srl, hanno nell’ambito della organizzazione imprenditoriale camorrista. Essi, prima producono e poi diventano fortissimi importatori dalla Cina di abbigliamento, utensili ed altro, recanti i marchi falsi. Nell’organigramma dell’impresa criminale i V. si collocano pertanto, a monte della congerie di associati che si dedicano, nei punti vendita internazionale del prodotto, sia presso i punti vendita sia nel commercio itinerante dei "magliari". Nell’ampio panorama del materiale probatorio raccolto di particolare rilievo è l’analisi che la Corte fa di una produzione documentale difensiva (vedi pag. 207) relativa alla controversia sorta con C. A., altro associato produttore, per l’utilizzo di un marchio simile, controversia che i vertici dell’associazione ha deciso di soffocare sul nascere. Di tale soluzione forzosa V.C. si lamenta, a denti stretti, con Z.P. in una delle conversazioni intercettate e adeguatamente commentata in motivazione alla pag. 206 e V.P. con La.Al. nella conversazione riportata a pag. 210, che, alla semplice lettura, restituisce una colorita testimonianza di come vadano le cose nell’organizzazione criminale imprenditoriale.

6.2 Il ricorso tenta di accreditare una alternativa lettura degli elementi probatori acquisiti. A tale proposito è stato, però, più volte chiarito che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato è – per espressa disposizione legislativa – rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, non fondate su dati contrastanti con il "senso della realtà" degli appartenenti alla collettività ed infine esenti da vistose ed insormontabili incongruenze tra di loro. In altri termini – in aderenza alla previsione normativa che attribuisce rilievo solo al vizio della motivazione che risulti "dal testo del provvedimento impugnato" – il controllo di legittimità si appunta esclusivamente sulla coerenza strutturale "interna" della decisione, di cui saggia la oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico- argomentativo e, tramite questo controllo, anche l’accettabilità da parte di un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento e da osservatori disinteressati della vicenda processuale.

Va, infine rilevato che molte delle doglianze prospettate in ricorso ripropongono le stesse argomentazioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi, pertanto ritenere i suddetti motivi non specifici La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità. Rv. 210157.

Ba.Ma..

7. Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.

7.1 Per la verità la corte di merito, esaminando l’eccezione di nullità dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., per avere il P.M., nel corso delle indagini preliminari rigettato la richiesta del difensore di ottenere di copia dei supporti magnetici relativi alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, diversamente da quanto affermato in ricorso ha rigettato l’eccezione sia perchè la pronuncia della Corte Costituzionale riguarda solo l’avvenuta notifica o l’emissione di ordinanza applicativa di misura cautelare, sia perchè, con il deposito degli atti contestualmente alla richiesta di rinvio a giudizio, avvocati ed imputati avevano avuto a disposizione le registrazioni ed il loro contenuto (pag. 252-253).

7.2 Come correttamente rilevato dalla Corte di merito, la pronuncia n. 336 del 2008, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità, in riferimento all’art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., dell’art. 268 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione dei dati digitali ovvero la traccia fonica delle conversazioni intercettate poste a fondamento del provvedimento restrittivo, enuncia un principio relativo solo allo specifico sub procedimento cautelare ed in nessun modo estendibile ad altre e diverse situazioni processuali. Infatti, la stessa Corte Costituzionale ha precisato che: "in caso di richiesta ed applicazione di misura cautelare personale – le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria. La lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., comma 2, si presenta quindi nella sua interezza, giacchè la limitazione all’accesso alle registrazioni non è bilanciata da alcun altro interesse processuale riconosciuto dalla legge". 7.3 Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Ma.Ra..

Il ricorso è manifestamente infondato.

I motivi dedotti sono la mera riproposizione delle doglianze già prospettate con l’appello e pertanto prescindono dalla necessaria argomentata critica alle valutazioni contenute nella sentenza. Sono, pertanto, inammissibili per genericità perchè, "riproducendo le censure già prospettate in secondo grado si finisce per richiedere al giudice di legittimità una nuova cognizione della materia dedotta nel precedente giudizio, senza fornire indicazioni dei punti controversi della pronuncia impugnata e senza formulare alcuna critica alle risposte fornite dalla decisione stessa, sicchè il giudice dell’impugnazione non può esercitare il potere di controllo che gli è proprio". Mass. n. 173594; mass. n. 163728; mass. n. 164531.

M.M..

Il ricorso, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente, infatti, attraverso la pretestuosa deduzione di un’asserita carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine agli elementi favorevoli alla difesa, peraltro neanche indicati, ha tentato di ottenere una rivalutazione delle prove, e degli elementi emersi dalle investigazioni condotte in Germania e Svizzera sull’attività commerciale gestita dal M., che si risolverebbe in un sostanziale nuovo giudizio sul fatto. Tale giudizio, per costante giurisprudenza di questa Corte, è sottratto, come tutte le valutazioni di merito, al sindacato di legittimità.

In realtà la motivazione della Corte di appello non merita censure, perchè congrua, logica e coerente: vi si da atto del rapporto di affinità che corre tra il M. e R.V., socio al 50% di L.P., nella "Riso Licciardi GBR", proprietaria del magazzino di Francoforte, riconducibile all’attività commerciale del sodalizio criminoso al pari del magazzino avente sede in (OMISSIS), che nel 1998 era ancora gestito dallo stesso R..

Successivamente all’arresto di quest’ultimo, il magazzino di (OMISSIS) veniva preso in gestione dal M.; quest’ultimo, inoltre, nel 2003, a seguito ad accertamenti fatti dalla Polizia Cantonale di Zurigo, risultava operare anche presso la ditta "Bella Moda Italia GMBH", struttura economica, anch’essa facente capo all’organizzazione camorristica "Alleanza di Secondigliano". Le intercettazioni delle conversazioni telefoniche del M., poi, davano contezza della sicura consapevolezza da parte di quest’ultimo, della riferibilità degli esercizi commerciali a L.P., dello stato di latitanza di quest’ultimo, e che l’attività commerciale che lui stesso gestiva in Germania apparteneva all’associazione criminale. E dalla convergenza di tale elementi nell’attestare una partecipazione al sodalizio criminoso la Corte ha coerentemente dedotto la conferma dell’affermazione di responsabilità dichiarata in primo grado.

A.G..

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorrente, infatti, nel lamentare che il giudice d’appello non avrebbe preso in considerazione le censure articolate nel relativo atto di gravame, non specifica quali aspetti della vicenda, devoluti alla cognizione del detto giudice, sarebbero stati ignorati. L’onere della indicazione specifica dei motivi di ricorso non può essere assolto con il semplice rinvio alle doglianze formulate nel pregresso atto di appello, senza indicarne, sia pure sommariamente, il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità. L’atto di ricorso deve cioè essere autosufficiente, nel senso che deve contenere la precisa prospettazione della ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica, così come prescritto dall’art. 581 c.p.p..

In ogni caso, la sentenza di merito riposa su un iter argomentativo logico, congruo e coerente, che da conto del diretto coinvolgimento di A.G. nell’attività di riciclaggio delle somme ricavate in Australia dalla vendita della merce con marchi contraffatti. Tali somme venivano rispedite in Italia da F. G., su disposizione di Z.P., con la modalità dei bonifici frazionati e distribuiti su più soggetti, in modo da mantenere l’importo del singolo bonifico e quello dell’importo globale, per singolo percettore, sempre al disotto della soglia prevista per l’obbligatoria comunicazione antiriciclaggio all’autorità di controllo. A. era uno dei percettori delle somme, come hanno dimostrato le indagini bancarie.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Vanno condannati tutti i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 3500,00, alla parte civile Federconsumatori Campania, che è soggetto danneggiato non solo dalla specifica attività di commercio di merce con marchi contraffatti ma anche dall’organizzazione criminale, costituita dai partecipanti e dai mezzi, di cui si avvale l’associazione a delinquere.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1000,00 ciascuno alla Cassa delle ammende.

Condanna altresì i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile Federconsumatori Campania liquidate in complessivi Euro 3500,00 oltre spese generali iva e cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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