Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 28-06-2011, n. 25716

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Hanno proposto ricorso per cassazione P.H. e A. L., per mezzo dei rispettivi difensori, avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 12.2.2009, che in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Cuneo il 22.4.2008, nei confronti di entrambi, per il delitto di estorsione tentata in danno di B.F., commesso il 29.3.2007, e nei confronti del solo P. per il delitto di estorsione consumata continuata in danno della stessa persona offesa commesso dall’anno 2004 al marzo del 2007, e per la contravvenzione di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, mandò assolto il P. dalla contravvenzione e riconobbe a suo favore l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 per l’estorsione consumata; escluse, inoltre, la recidiva contestata all’ A., e l’aggravante della minaccia commessa da più persone riunite, e ridusse le pene inflitte agli imputati rispettivamente, ad anni tre di reclusione ed Euro 900 di multa per il P., e ad anni uno e mesi due di reclusione per l’ A., eliminando le pene accessorie applicate al P., e confermando, nel resto, la decisione di primo grado.

Secondo l’accusa originaria, entrambi gli imputati avevano ripetutamente estorto al B., titolare di un distributore di carburanti, somme di importo variabile e forniture gratuite di benzina e gasolio, e poco prima di essere arrestati avevano tentato di ottenere la consegna di altro denaro, riuscendo solo parzialmente nell’intento a causa dell’intervento delle forze dell’ordine.

Per raggiungere il loro scopo, i due avrebbero minacciato di rivelare alla moglie del B. una relazione extraconiugale intrattenuta da quest’ultimo, recapitandole alcune videocassette che documentavano la tresca; avrebbero inoltre minacciato di dar fuoco all’abitazione della persona offesa e della figlia, e di attentare all’incolumità fisica del B. con una baionetta.

La Corte territoriale ricordava che le indagini avevano preso l’avvio dalla denuncia sporta presso gli uffici della squadra mobile di Cuneo da O.O., zio, del B., al quale quest’ultimo aveva confidato di essere da tempo vittima delle pressioni estorsive del P.. Il demandante aveva inoltre riferito di avere appreso che lo stesso imputato si sarebbe recato la mattina del 29.3.2007 presso il distributore del B. per riscuotere altre somme. Era stato così predisposto, dagli inquirenti, un servizio di osservazione che aveva infine condotto all’arresto del P. nella stessa mattinata del 29.3.2007. Quanto al coinvolgimento dell’ A. nei fatti del 29.3.2007, i giudici di appello lo desumevano dal contenuto di una conversazione intercettata che avrebbe rivelato la piena sincronia e sinergia di entrambi nel perseguimento dei vantaggi estorsivi. Il difensore del P. deduce con unico motivo, il vizio di mancanza ed illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla conferma del giudizio di responsabilità del ricorrente per i reati estorsivi di cui al capo a) della rubrica accusatoria. Le censure investono in sostanza la valutazione dell’attendibilità intrinseca del B., che sarebbe irrimediabilmente minata dalla sua situazione di pesante indebitamento verso terzi, anteriore ai fatti, essendo plausibile che accusando il P., egli volesse giustificare agli occhi dei suoi familiari, il proprio dissesto economico.

Peraltro, la Corte territoriale avrebbe trascurato gli elementi di conferma della diversa versione dei fatti sostenuta dall’imputato con l’indicazione di un proprio credito nei confronti della persona offesa, in dipendenza della cessione a quest’ultima di un quantitativo di monete d’oro, dichiarazioni indirettamente confermate da alcuni testi, concordi nel sottolineare l’impegno dell’imputato nel commercio di monete auree straniere. Sarebbe infine illogica la sopravvalutazione, da parte della Corte territoriale dell’elemento di prova a carico dell’imputato costituito dalla presunta manipolazione, ad opera dello stesso, dei nastri contenenti le registrazioni delle intercettazioni ambientali effettuate nei suoi confronti.

Il difensore dell’ A. deduce a sua volta, con tre articolati motivi, tutti incentrati sul tema della responsabilità penale del ricorrente, il vizio di manifesta illogicità della motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), e il vizio di violazione di legge in relazione all’erronea applicazione del principio secondo cui la responsabilità penale deve essere affermata quando sia raggiunta la prova della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, per avere i giudici di appello ritenuto il suo coinvolgimento nel tentativo di estorsione essenzialmente sulla base della telefonata intercettata il 29.3.2007, senza considerare il fatto che essa era stata effettuata mentre l’imputato si trovava in viaggio a bordo del suo camion, con la conseguenza che la ricezione era disturbata e a tratti interrotta.

Non sarebbero poi rilevanti gli accertati rapporti personali dell’ A. con il P., per confermare l’incerta prova desumibile dal contenuto dell’intercettazione. Soprattutto con il terzo motivo la difesa si diffonde nella ricostruzione della vicenda processuale, analizzando più dettagliatamente il contenuto della conversazione telefonica del 29.3.2007; rilevando che dalla deposizione della teste B.R. si ricaverebbe che nessun contenuto intimidatorio poteva ormai avere, all’epoca dei fatti, la minaccia della rivelazione delle relazioni extraconiugali della persona offesa, ormai note nel suo ambiente familiare; stigmatizzando alcune contraddizioni nella motivazione della sentenza impugnata;

contestando la svalutazione, da parte della Corte territoriale, delle deduzioni difensive del ricorrente, alla stregua delle quali egli avrebbe potuto essere coinvolto a sua insaputa nella vicenda, attraverso la telefonata del 29.3.2007, e avrebbe potuto del pari ignorare le finalità estorsive del P.; denunciando, infine, l’illogicità della valorizzazione, da parte della Corte territoriale del sostegno che l’imputato avrebbe dato alla tesi difensiva del P. circa i suoi rapporti di compravendita di monete d’oro con la persona offesa, essendosi l’imputato limitato a riferire al riguardo, quanto appreso dal presunto complice.

Motivi della decisione

1. Le deduzioni difensive nell’interesse del P. ripropongono in gran parte questioni già attentamente e adeguatamente analizzate dai giudici di appello. Esse si incentrano soprattutto sulla ricostruzione alternativa dei rapporti finanziari tra l’imputato e la persona offesa, e sul possibile movente di iniziative calunniose del B.. Riguardo al primo punto, però, i giudici di appello hanno fornito congrua dimostrazione logica dell’assoluta implausibilità della tesi secondo cui il P. fosse creditore del B. per avergli venduto 500 monete polacche del valore complessivo di Euro 25.000, sottolineando il mancato ritrovamento delle monete nell’abitazione della persona offesa; l’assoluta mancanza di indicazioni, da parte dell’imputato, delle concrete caratteristiche delle monete; l’eccessivo valore alle stesse attribuito, in sè e con riferimento alla provenienza delle monete da mercatini rionali ecc..

(vedi amplius, la sentenza impugnata, pagg. 21 e ss.). Su tale attenta analisi la difesa nemmeno indugia particolarmente, essendosi più che altro limitata a sottolineare che in giudizio è emersa la prova che il P. fosse realmente impegnato nel commercio di monete antiche, circostanza che però dice nulla sulla (non necessaria) conseguenza che l’imputato ne avesse vendute anche al B.. Quanto al secondo aspetto, appare del tutto priva di qualunque supporto probatorio l’affermazione che il B. avesse inscenato false accuse per giustificare di fronte ai propri familiari il suo grave dissesto economico, attribuendone l’origine ad inesistenti condotte estorsive del ricorrente. Ma i giudici di appello ricordano al riguardo anche l’incipit del procedimento, nato non da iniziative dirette del B., ma da quelle dei suoi familiari, a seguito delle angosciate confidenze ricevute da parte della persona offesa. E’ ovvio poi che la questione è legata anche alla smentita processuale delle presunte ragioni creditorie del ricorrente, che nel rafforzare significativamente l’accusa confuta al contempo l’ipotesi della calunnia, una volta che l’indiscutibile sussistenza di rapporti economici tra le parti non sia riconducibile ad alcuna causale lecita. Si può infine incidentalmente notare al riguardo, che secondo e stesse deduzioni difensive le false estorsioni non avrebbero giustificato che in parte le difficoltà economiche del B. agli occhi dei suoi familiari, considerato che l’entità de dissesto sarebbe stata di valore triplo rispetto all’importo delle somme consegnate al P.; la calunnia sarebbe stata, insomma, "per due terzi" inutile…. Le altre notazioni difensive appaiono alquanto marginali, come ad es. quelle relative alla genuinità delle registrazioni delle conversazioni tra la persona offesa e il P.. Considerate le numerose convergenze probatorie sul tema d’accusa, quel che conta infatti, secondo le giuste osservazioni dei giudici di appello, è che la neutralità del contenuto delle conversazioni, comunque mai riferito a commerci di monete, e processualmente svalutata, a monte, dalla circostanza che l’iniziativa di procurarsi a documentazione fonografica dei colloqui, peraltro in sè intrinsecamente anomala nella logica di comuni rapporti commerciali, era stata assunta proprio dal ricorrente, che certo non intendeva precostituire prove contra se.

2. Ugualmente infondato è il ricorso dell’ A.. Esso si basa, in larga parte sull’assunto non dimostrato della pressochè assoluta incomprensibilità delle conversazioni intercettate che rivelano lo stretto e indubbiamente più che significativo, collegamento dell’imputato con il P. durante gli avvenimenti del 29.3.2007 che portarono all’arresto di quest’ultimo. Quanto alla presunta, pregressa conoscenza, da parte della moglie del B., della relazione extraconiugale della persona offesa che avrebbe costituito il principale argomento di persuasione estorsiva, essa non è in realtà nlevabile dall’inciso della deposizione della figlia del B. riportata in ricorso, dalla quale appare peraltro evidente che in occasione delle sue interlocuzioni con il P. essa si preoccupò di rintuzzare comunque le pretese estorsive dello stesso imputato, minimizzando la minaccia sottostante. In conclusione, si deve ritenere la sostanziale tenuta della sentenza di appello allo scrutinio di legittimità anche nei confronti dell’ A., pur in riferimento ai valori costituzionali invocati dalla difesa e al principio del ragionevole dubbio. Alla stregua delle precedenti considerazioni, i ricorsi vanno pertanto rigettati, con le conseguenti statuizioni sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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