Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-06-2011) 30-06-2011, n. 25830

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Pescara, con sentenza in data 13.6.2008, dichiarava V.C. colpevole del reato di ricettazione di un assegno recante l’importo di L. 1.800.000, provento di furto e condannato, con la diminuente del rito, alla pena di mesi venti di reclusione e Euro 530,00 di multa. La Corte di appello di L’Aquila, con ordinanza in data 13.5.2010, dichiarava inammissibile l’appello per mancata specificazione dei motivi Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato rilevando come, sia pure in forma stringata, con i motivi di gravame era stata richieste la riduzione della pena ai minimi edittali e censurata la sentenza di primo grado.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

I motivi di appello sono generici, a fronte delle argomentazioni svolte dal Tribunale, senza la presentazione di alcuna argomentazione contraria alla motivazione del predetto Giudice.

Il Tribunale, ancorchè con motivazione sintetica, ha motivato in ordine alla responsabilità del prevenuto, non avendo fornito alcuna giustificazione sul possesso dell’assegno di provenienza furtiva.

A tal proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (si vedano: Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud. – dep. 10/04/2003 – Rv. 224634).

Le ulteriori richieste del ricorrente, formulate nell’atto di appello, sono generiche, mancando, nell’atto di gravame, come già evidenziato, i motivi di ricorso con riferimento alle doglianze formulate.

Nei motivi di appello, come ritenuto dalla Corte territoriale con motivazione coerente e logica, viene omessa l’indicazione, in modo specifico, delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto a sostegno del gravame, in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c).

Mancano, quindi, nell’atto di gravame i motivi specifici di ricorso;

per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il fatto che nessuna argomentazione sia svolta nel ricorso in appello, in ordine alle valutazioni e determinazioni espresse dal Tribunale, determina l’inammissibilità del ricorso, perchè i motivi sono da considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione. Infatti il ricorso non può ignorare le affermazioni del Giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che porta, in forza dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità. (Si vedano, sul punto, fra le tante:

Sez. 4, sent. n. 5191 del 29.3.2000 dep. 3.5.2000 rv 216473; Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 rv 230634).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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