Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-06-2011) 30-06-2011, n. 25802 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino, con sentenza in data 15/4/2008, dichiarava P.A. responsabile di appropriazione indebita aggravata e continuata, così riqualificato il reato di peculato originariamente contestato, per essersi appropriato, quale direttore dell’ufficio postale di (OMISSIS), di denaro depositato nelle casse dell’ufficio postale e, quindi nella sua disponibilità, sostituendo l’ammanco con assegni privi di copertura e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione e Euro 400 di multa con i doppi benefici di legge.

La Corte di appello di Torino, con sentenza in data 20.11.2009, in parziale riforma della sentenza appellata dall’imputato, concessa l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 ritenuta, unitamente alle già concesse attenuanti generiche, prevalente sull’aggravante, riluceva la pena a mesi due di reclusione e Euro 200 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione di legge per inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, ai sensi degli artt. 266 e 270 c.p.p., trattandosi di intercettazioni disposte nel 2004 in un procedimento per rapina a carico di altri imputati e non potendo essere utilizzate quali prove del reato di appropriazione indebita che non consente l’autorizzazione delle intercettazioni telefoniche;

b) manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del dolo specifico previsto dall’art. 646 c.p., avendo il ricorrente agito con la certezza della possibilità di restituzione degli importi a seguito della commutazione di assegni bancari con le relative somme in contanti.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1) Con il primo motivo di ricorso viene eccepito l’illegittimo utilizzo delle intercettazioni che non avrebbero potuto essere autonomamente disposte per il reato di appropriazione indebita; va osservato, al riguardo, che le intercettazioni furono disposte nell’ambito di un separato procedimento e i presupposti di legittimità di tale autorizzazione vanno valutati ad quem e non a quo, come, invece ritenuto dal ricorrente.

Anche se i risultati delle intercettazioni disposte per l’accertamento di un reato, in separato procedimento, non sono utilizzabili in riferimento al altro procedimento definito con la derubricazione dell’originaria imputazione che consentiva il ricorso alle intercettazioni (peculato) in altro reato (appropriazione indebita) per il quale non sussistano le condizioni di legge per l’autorizzazione alle intercettazioni, ai fini della legittimità dell’utilizzazione, delle intercettazioni telefoniche, prevista dall’art. 270 c.p.p., comma 1, delle notizie acquisite in altro procedimento "salvo che risulti indispensabile per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza" è irrilevante che la originaria imputazione sia stata successivamente derubricata in una ipotesi criminosa senza obbligo di cattura, poichè si tratta di condizione processuale, la cui sussistenza va accertata nel momento dell’acquisizione nel procedimento ad quem degli atti assunti in diverso procedimento.

Non può, quindi, essere sostenuta l’illegittimità dell’utilizzazione poichè disposta in riferimento all’imputazione di peculato poi modificata in quella di appropriazione indebita, che non prevede l’arresto in flagranza. Peraltro secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "anche in sede di legittimità può procedersi alla cosiddetta prova di resistenza, nel senso di valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente – circostanza, nella specie, comunque da escludersi – abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, controllando in particolare la struttura argomentativa della motivazione al fine di stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa anche senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di per sè sufficienti a giustificare l’identico convincimento". (Cass. Sez. 1^ sent. 1495 del 2.12.1998 dep. 5.2.1999 rv 212274. V. anche Cass. Sez. 5^, sent. 569 del 18.11.2003 dep. 12.1.2004 rv 226972: "Allorchè con il ricorso per cassazione si lamenti l’illegale assunzione di una prova (nella specie dichiarativa), è consentito procedere in sede di legittimità alla c.d. prova di resistenza, e cioè valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, mediante il controllo della struttura della motivazione, al fine di stabilire se la scelta di una certa soluzione sarebbe stata la stessa senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute sufficienti".

Nel caso di specie, peraltro, i fatti addebitati alla ricorrente debbano ritenersi pacifici, in quanto incontestabilmente accertati sulla base delle sue stesse ammissioni, nonchè in forza delle risultanze dell’inchiesta effettuata dagli organi di vigilanza interna di Poste Italiane, indipendentemente dalle risultanze dell’intercettazione.

2) Anche il secondo motivo di ricorso va disatteso.

La Corte territoriale, con valutazione coerente e logica, ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita ritenendo mancare, al momento dell’abuso del possesso, la certezza della possibilità di restituzione, rilevando come l’imputato non potesse nutrire tale convinzione in ordine alla regolare copertura di tutti gli assegni bancari indebitamente monetizzati, in quanto contraria alle più elementari regole di prudenza che devono ispirare nel direttore dell’ufficio postale il maneggio di denaro dell’Ente, rilevando come anche la persona apparentemente più solvibile possa attraversare crisi di liquidità comportanti l’assenza di adeguata provvista sul conto corrente, avendo agito l’imputato nella piena consapevolezza di appropriarsi di denaro delle Poste Italiane, senza alcuna certezza della copertura degli assegni bancari illecitamente utilizzati, rimanendo indifferente, sul piano dell’elemento soggettivo, l’asserita intenzione di restituzione della somma, cioè di copertura dell’ammanco.

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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