Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-06-2011) 30-06-2011, n. 25799

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

IN FATTO La Corte di appello di Cagliari, con sentenza in data 11.6.2010, confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari, in data 13/7/2004, appellata da C.M., ritenuto colpevole del reato di ricettazione di un assegno bancario di provenienza illecita e, concesse le attenuanti generiche, condannato alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione e Euro 600 di multa. Proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione di legge e difetto di motivazione non avendo la Corte, con motivazione illogica e contraddittoria, disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale perchè venissero sentiti i testimoni S.A. e C.M.R. che avrebbero potuto deporre sulle modalità con cui il ricorrente aveva ricevuto l’assegno e per aver dato credito alla dichiarazione della parte offesa Z. V., nonostante le contraddizioni e incertezze nella sua deposizione;

b) mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità in quanto la parte offesa non ha fornito alcuna indicazione del tempo e del luogo in cui avrebbe smarrito il portafogli contenente il libretto degli assegni, nè ha dato spiegazioni sulla presenza del timbro ZO.ZE.SCI sugli assegni.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) Con riferimento al primo motivo di ricorso, appare congrua e logica – anche in relazione agli elementi probatori acquisiti – la motivazione che ha portato la Corte territoriale a ritenere non carente il materiale probatorio raccolto e sufficiente per poter decidere. Si deve, d’altronde, rilevare che la difesa del ricorrente non ha fornito a questa Corte di Cassazione alcuna indicazione dei motivi per i quali l’escussione dei testi eventualmente presenti all’atto del controllo, a suo giudizio, avrebbe potuto ribaltare o comunque modificare la decisione impugnata; e ciò, naturalmente, soprattutto in relazione a quanto rilevato dalla Corte territoriale e non tenuto in considerazione dal ricorrente, che nel giudizio di primo grado la difesa dell’imputato non aveva presentato richiesta di sentire testi di cui è stata richiesta l’assunzione con l’atto di impugnazione e non avendo mai l’imputato fornito alcuna indicazione sulla persona che gli aveva consegnato il titolo, ritenendo non verosimile, trattandosi di un assegno emesso per un importo elevato che il Cao avesse dimenticato in quali circostanze e per quali ragioni avesse ricevuto un assegno di tale importo.

Questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa -o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede, (si vedano: Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. -dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud. – dep. 10/04/2003 – Rv. 224634).

La Cassazione ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che atteso il carattere eccezionale della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione in tanto può essere censurato in sede di legittimità in quanto risulti dimostrata, indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di "decidere allo stato degli atti", come previsto dall’art. 603 c.p.p., comma 1. Ciò significa che deve dimostrarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento o da altri atti specificamente indicati (come previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello. (Si vedano: Sez. 1, Sentenza n. 9151 del 28/06/1999 Ud. – dep. 16/07/1999 – Rv. 213923; Sez. 5, Sentenza n. 12443 del 20/01/2005 Ud. – dep. 04/04/2005 -Rv. 231682).

Quanto sopra è sufficiente per dichiarare l’inammissibilità del motivo di ricorso, sul punto, trattandosi, con evidenza, di giudizio di merito sottratto all’esame di questa Corte di legittimità se ben sorretto – come è nel nostro caso – da un’adeguata motivazione.

2) In relazione alla presunta inattendibilità della parte offesa Z.V., va ribadito che, in linea generale è costante insegnamento di questa Corte che le dichiarazioni del soggetto offeso dal reato – in tema di valutazione della prova – possono essere poste a base del convincimento del giudice anche se costituiscano l’unica fonte di accertamento del fatto e manchino riscontri esterni.

A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità.

Peraltro va considerato l’interesse di cui il soggetto può essere portatore, di modo che il controllo sulle sue dichiarazioni deve essere più rigoroso, specie sotto il profilo della credibilità oggettiva e soggettiva, atteso che la sua posizione non può essere meccanicamente equiparata a quella del testimone estraneo. Quando, comunque, il controllo di cui si è detto viene correttamente effettuato dal giudice di merito, nel contesto delle emergenze processuali, non v’è spazio per rilievi in sede di legittimità, anche se la detta deposizione sia stata assunta come sola fonte di prova.

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno evidenziato come non vi fossero ragioni per dubitare dell’attendibilità della persona offesa che aveva presentato denuncia di smarrimento, in data e luogo o imprecisati, del proprio portafoglio al cui interno era custodito, con altri documenti, un carnet di assegni del Banco di Napoli contenenti otto moduli in bianco, ad eccezione della firma di emissione, ove era già stato apposto il timbro della società SO.GE.SCI di Zedda Vincenzo & C., s.n.c..

Prive di pregio, al fine di ritenere l’inattendibilità del teste, sono state ritenute le circostanze sulla mancata indicazione del tempo il luogo in cui il teste avrebbe smarrito il portafogli contenente il libretto degli assegni, senza fornire alcuna spiegazione sulla presenza del timbro ZO.ZE.SCI sugli assegni, trattandosi del timbro della propria società apposto sullo spazio di traenza.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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