Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-06-2011) 30-06-2011, n. 25798

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Firenze, con sentenza in data 15.7.2008, dichiarava E.R. colpevole di ricettazione di un assegno bancario e condannato, con la continuazione tra i predetti reati e con la sentenza n. 11/04 del Tribunale di Firenze in data 12/1/2004, divenuta irrevocabile il 4/2/2004, ritenuto più grave il reato di cui al capo a), alla pena di anni due di reclusione e Euro 2000 di multa.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza in data 11/6/2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, appellata dall’imputato, assolveva lo stesso dal reato di falso di cui al capo c) perchè il fatto non sussiste; ravvisata l’ipotesi di cui all’art. 648 cpv. c.p., ritenuta la continuazione con i reati di cui alla citata sentenza n. 11/04, rideterminava la pena in anni uno, mesi 10 di reclusione e Euro 1800 di multa, confermando, nel resto, la sentenza appellata.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione stante l’assoluta incertezza sull’identità del soggetto che avrebbe posto all’incasso l’assegno;

b) mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato di falso di cui al capo b) avendo il testi escussi escluso che fossero stati eseguiti accertamenti sul supporto cartaceo del documento esibito per l’incasso;

c) prescrizione dei reati dopo la pronuncia della sentenza della Corte di appello di Firenze.

Motivi della decisione

1) In ordine logico va, preliminarmente, esaminato il motivo di ricorso relativo alla dedotta prescrizione del reato.

L’ipotesi attenuata di ricettazione prevista dall’art. 648 c.p., comma 2 non configura una autonoma previsione incriminatrice, quanto una circostanza attenuante speciale, destinata ad incidere sul regime sanzionatorio del reato-base, secondo quel rapporto di "specie" a "genere" che si realizza fra la fattispecie circostanziata e quella semplice di reato, per la presenza di qualche requisito specializzante (nella specie, la particolare tenuità del fatto criminoso). Ne discende che, ai fini dell’applicazione del nuovo regime della prescrizione, quale risultante dal testo novellato dell’art. 157 c.p. (che impone di aver riguardo "alla pena stabilita per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale"), bisogna aver riguardo alla pena stabilita per il reato base, e non per l’ipotesi attenuata.

Quindi, ai fini della prescrizione, si deve far riferimento alla pena di otto anni prevista per la ricettazione semplice di cui all’art. 648 c.p., comma 1, aumentata fino a 10 anni in forza degli eventi interrottivi, ex art. 160 c.p., comma 3.

Sicchè non può ritenersi maturata alcuna prescrizione, alla data odierna, indipendentemente dall’esito del ricorso.

Il reato di falso si prescrive nel termine massimo di 7 anni e sei mesi (sei anni aumentati di % per le cause interattive) e, essendo stato commesso in data 20.2.2003 il relativo termine, anche senza valutare eventuali cause di sospensione della prescrizione, è maturato in data 20.8.2010, in epoca successiva alla sentenza della Corte di Appello.

Il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le norme sulla prescrizione del reato, pur essendo maturati i relativi termini, dal momento che – secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., ovvero alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., maturate successivamente alla sentenza della Corte d’Appello, (cfr.:

Cass. Sez. Un., sent. n. 21 del 11.11.1994 dep. 11.2.1995 rv 199903;

Cass. Sez. Un., sent. n. 32 del 22.11.2000 dep. 21.12.2000 rv 217266). 2) Gli ulteriori motivi di ricorso sono inammissibili perchè propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4A sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

La Corte di Appello di Firenze, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, evidenzia, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la persona che si era presentata in banca ad incassare il titolo, risultato falso, aveva esibito un documento che riportava la fotografia,di cui è stata fatta una fotocopia, poi risultata essere dell’imputato, altrimenti il cassiere non avrebbe proceduto al pagamento dell’assegno.

Il maresciallo G. ha riconosciuto con certezza l’imputato nella fotografia nell’ambito di altre indagine avente ad oggetto condotte simili, ritenendo la Corte territoriale irrilevante, stante l’avvenuto riconoscimento dell’imputato, che la carta d’identità fosse a nome di R.M. o R.M.. 3) In relazione al secondo motivo di ricorso concernente il reato di falso contestato sub capo b) la Corte di merito ha logicamente dedotto, stante la accertata falsificazione della carta d’identità esibita presso la banca e la circostanza che la fotografia non corrispondeva all’effettivo intestatario del documento, raffigurando, invece, l’imputato, che fosse evidente, al di là di ogni incertezza, rendendo superfluo ogni ulteriore accertamento, l’avvenuta falsificazione del documento ad opera del prevenuto che lo ha utilizzato, essendo stato riconosciuto dal maresciallo G..

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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