Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-06-2011) 30-06-2011, n. 25797 Attenuanti comuni generiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Arezzo, con sentenza in data 25/9/2007, dichiarava M.A. colpevole del reato di rapina aggravata in concorso con un complice, ai danni di S.D. a cui sottraeva la somma di Euro 400 e, esclusa l’aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 3, lo condannava alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione Euro 1000 di multa, con le pene accessorie di legge, dichiarando condonate interamente la pena pecuniaria e la pena detentiva nella misura di anni tre.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza in data 7/5/2010, in parziale riforma della sentenza, appellata dell’imputato e dal PM, ritenuta sussistente l’aggravante contestata di cui all’art. 628 c.p., comma 1, riconosciute le attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante contestata, confermava, quanto alla pena, la sentenza impugnata. Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione e inosservanza delle norme processuali con riferimento all’art. 584 c.p.p., non essendo stato l’atto di appello del PM notificato ne all’imputato nè al suo difensore, chiedendo di essere rimesso in termini per l’impugnazione incidentale:

b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 628 c.p., comma 3, non essendo emerso, con riferimento all’aggravante delle più persone riunite, quale fosse stato il ruolo del secondo soggetto albanese che avrebbe partecipato alla rapina;

c) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta credibilità della parte offesa, ritenendo sussistere travisamento dei fatti nella valutazione dei giudici di merito;

d) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 62 c.p., n. 6, artt. 62 bis e 69 c.p., non avendo la Corte territoriale valutato, ai fini della concessione dell’attenuante del risarcimento del danno, l’offerta messa a disposizione della persona offesa prima del rinvio a giudizio, da valutare anche quale indice di resipiscenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1) Con riferimento al primo motivo di ricorso, va rilevato che l’omessa notificazione alla parte privata dell’impugnazione proposta da altra parte non da luogo all’inammissibilità del gravame, ma solo all’obbligo della cancelleria di provvedere alla notifica non eseguita, salvo che risulti altrimenti, in capo al destinatario di essa, la conoscenza dell’atto di impugnazione (Sez. U, Sentenza n. 12878 del 29/01/2003 Cc. (dep. 20/03/2003) Rv. 223724, Sez. 6, Sentenza n. 30980 del 08/02/2007 Ud. (dep. 30/07/2007) Rv. 237416).

Nel caso di specie dall’omessa notifica nessun pregiudizio è derivato all’imputato, che aveva avuto comunque conoscenza dell’atto all’udienza dibattimentale di secondo grado durante la relazione della causa, come dallo stesso affermato, ben potendo in tale sede chiedere termine per eventuali memorie, avendo già proposto appello contro la medesima sentenza.

2) La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di più persone riunite desunta dalle dichiarazioni della parte offesa che ha affermato che entrambi i giovani si erano scagliati contro di lui, avendo, quindi, anche il complice partecipato attivamente alla aggressione, così come confermato dalle iniziali dichiarazioni della parte offesa, ritenuta successivamente intimorita, valutate attendibili dal giudice di merito.

L’aggravante delle più persone riunite trova giustificazione, ove sussista la maggiore idoneità dell’azione a produrre gravi effetti, sia fisici che psicologici, in danno del soggetto passivo, tendendo ad elidere o diminuire la sua capacità di resistenza, purchè sussista la percezione, da parte del soggetto passivo, come nella fattispecie, della minaccia realizzata nei suoi confronti da più persone, anche per il maggior effetto di intimidazione esercitato sulla vittima.

3) Coerente e logica e anche la valutazione della Corte territoriale con riferimento alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni, nella immediatezza dei fatti, dalla parte offesa.

E’ indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa (Cass., sez. 3, 5 marzo 1993, Russo, m. 193862; Cass., sez. 4, 26 giugno 1990, Falduto, m. 185349).

Sicchè, la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva (Cass., sez. 1, 28 febbraio 1992, Simbula, m. 189916;

Cass., sez. 6, 20 gennaio 1994, Mazzaglia, m. 198250; Cass., sez. 2,26 aprile 1994, Gesualdo, m. 198323; Cass., sez. 6, 30 novembre 1994, Numelter, m. 201251; Cass., sez. 3, 20 settembre 1995, Azingoli, m. 203155), non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (Cass., sez. 6, 13 gennaio 1994, Patan, m. 197386, Cass., sez. 4, 29 gennaio 1997, Benatti, m. 206985, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208912, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208913, Cass., sez. 2, 13 maggio 1997, Di Candia, m. 208229, Cass., sez. 1, 11 luglio 1997, Bello, m. 208581, Cass., sez. 3, 26 novembre 1997, Caggiula, m. 209404). A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità.

Nel caso di specie i Giudici di merito hanno sottoposto ad attento controllo le dichiarazioni della vittima, valutate nel contesto delle emergenze processuali, segnatamente evidenziando il maresciallo Rossi la paura della parte offesa nel rendere la versione modificata, per poi ribadire, nel corso dell’incidente probatorio e poi al dibattimento, nei punti salienti, la prima versione. Anche il teste S.P. risulta essere stato intimorito, come risulta anche dalla deposizione del teste F..

L’utilizzazione della fonte di prova è stata, quindi, condotta dai Giudici del merito nella corretta osservanza delle regole di giudizio che disciplinano la valutazione della testimonianza della persona offesa dal reato e con adeguata motivazione, che si sottrae a censura in questa sede. E’ appena il caso di aggiungere che l’esattezza delle suddette valutazioni, non può formare oggetto di contestazione in sede di legittimità, essendo notoriamente preclusi a questa Corte l’esame degli elementi fattuali e l’apprezzamento fattone dal giudice del merito al fine di pervenire al proprio convincimento.

In conclusione si tratta di reiterazione delle difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici di secondo grado, oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.

4) Con riferimento all’ultimo motivo di ricorso, correttamente è stata negata dalla Corte di merito, che ha tuttavia concesso le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, l’attenuante del risarcimento del danno, non avendo valutato congrua l’offerta risarcitoria da parte dell’imputato, peraltro neanche specificata nei motivi di ricorso e che, sul punto devono ritenersi generici. La "ratio" dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, introdotta dal legislatore nel preminente interesse della vittima del reato, va individuata nell’incentivo ad un pronto e totale ristoro del danno risarcibile derivato dal reato; correttamente la Corte territoriale ha escluso la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, avendo già i primi giudici ritenuto l’offerta non satisfattiva dell’integrale danno subito dalla parte offesa.

Tali considerazioni derivano evidentemente dalla tradizionale collocazione della circostanza nel novero delle attenuanti soggettive, come tale correlata alla resipiscenza del soggetto ed all’entità del sacrificio compiuto con il risarcimento in relazione alla consistenza complessiva del patrimonio. Trattasi di conclusione che non tiene conto dell’evoluzione giurisprudenziale e della "ratio" dell’attenuante, introdotta dal legislatore nel preminente interesse della vittima del reato, quale incentivo ad un pronto e totale ristoro del danno risarcibile derivato dal reato, incentivo che sarebbe evidentemente vanificato se, nei confronti del colpevole non abbiente, la prevista diminuzione di pena potesse operare solo in limiti assai più contenuti di quelli edittalmente previsti. Una lettura costituzionalmente orientata che tenga conto del bilanciamento degli interessi coinvolti impone di ritenere l’attenuante di natura soggettiva solo quanto agli effetti, ai sensi dell’art. 70 c.p., ma non anche ai fini del suo contenuto, l’analisi del quale deve invece indurre a qualificarla come essenzialmente oggettiva. Infatti a favore della qualificazione dell’attenuante in senso oggettivo, sotto l’aspetto contenutistico, depongono concordi argomenti testuali, logici e sistematici. In primo luogo, nessun elemento, nella formulazione normativa, conduce a ritenere che il legislatore abbia assunto come fine dell’attenuante il ravvedimento del reo. Dal punto di vista logico, il fatto che il risarcimento debba essere integrale e che non sia quindi ammessa una riparazione parziale è, al contrario, indice non solo della irrilevanza degli stati psicologici o dell’atteggiamento interiore del reo, ma del preminente risalto che si intende dare alla figura della persona offesa e all’esigenza che il pregiudizio da questa subito a causa del comportamento criminoso del colpevole sia interamente ristorato. La considerazione dell’integrante del risarcimento è talmente esclusiva che nemmeno il più evidente tra gli indici di ravvedimento, quale in astratto potrebbe essere il trasferimento spontaneo di tutti i beni dell’imputato a favore della persona offesa, varrebbe a rendere operante l’attenuante se il riequilibrio patrimoniale non risultasse pieno. E’ questo il segno che nel conflitto di interessi tra reo e vittima del reato, regolato dall’art. 62 c.p., n. 6, prima parte, l’interesse della vittima non lascia alcuno spazio a pur eloquenti manifestazioni di ravvedimento del reo, per le quali soccorrono oggi altri istituti del diritto penale (Corte Cost. 20/23.4.1998 n. 138).

La pena inflitta, peraltro, non solo non appare sproporzionata rispetto all’entità del fatto, ma anzi appare mite in relazione alla gravità della condotta posta in essere dall’imputato.

Conclusivamente il ricorso va rigettato Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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