Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-06-2011) 30-06-2011, n. 25795

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Svolgimento del processo

La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza in data 6/2/2009, confermava la sentenza del Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, in data 13.2.2004 appellata da G.K., ritenuta colpevole dell’ipotesi lieve ricettazione di un telefono cellulare di illecita provenienza e condannata alla pena di mesi due di reclusione e Euro 100 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputata deducendo i seguenti motivi:

a) mancanza dell’elemento soggettivo del reato, mancata derubricazione nel reato di incauto acquisto e conseguente dichiarazione di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione;

b) contraddittorietà e illogicità della motivazione per aver ritenuto la responsabilità della prevenuta anche in mancanza della certezza della provenienza illecita del telefonino;

c) mancata concessione delle attenuanti generiche e difetto di motivazione, sulla mancata riduzione della pena;

d) mancata declaratoria di prescrizione del reato.

Motivi della decisione

1) I primi due motivi di ricorso sono inammissibili perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4A sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

La Corte di Appello di L’Aquila, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, evidenzia l’irrilevanza, ai fini della ricettazione, della circostanza che il telefono fosse stato rubato al proprietario o fosse stato smarrito, potendosi ravvisare la ricettazione anche quando il reato presupposto sia un reato punibile a querela (appropriazione indebita di così smarrite) e questa non sia stata proposta.

L’imputata non ha fornito una spiegazione plausibile in ordine all’acquisto, al possesso o alla detenzione del telefonino di illecita provenienza, non essendo mai stata interrogata ed essendo rimasta contumace al dibattimento. La Corte ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni riferite dalla stessa al verbalizzante, avendo affermato di aver acquistato il telefono da un amico al prezzo di L. 100.000, non avendo fornito alcun elemento di identificazione di tale "amico", anzi la circostanza che la stessa stesse cercando di vendere ai passanti il cellulare, riferita dal medesimo verbalizzante, conferma che era pienamente consapevole della illecita provenienza del bene, avendo tentato di disfarsene.

A tal proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (si vedano: Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud. – dep. 10/04/2003 – Rv. 224634).

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

2) Anche il terzo motivo concernente il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche è l’entità della pena inflitta va disatteso, stante la genericità della doglianza espressa nei motivi di appello e avendo, comunque, i primi giudici comminato una pena assai vicina al minimo edittale (due mesi di reclusione), adeguata alla entità del fatto, con motivazione implicita relativa al rigetto delle attenuanti generiche e delle riduzione della pena inflitta.

3) Anche l’ultimo motivo segue la sorte dei precedenti.

Essendo stata la sentenza di primo grado emessa in data 12.3.2004, sono applicabili le previgenti disposizioni sulla durata della prescrizione del reato ascritto alla G..

Quindi, essendo la pena prevista per il capoverso dell’art. 648 c.p. quella di sei anni, la prescrizione è di dieci anni aumentata a quindici per effetto degli eventi interruttivi e tale termine si matura – seppure si partisse dalla data dell’agosto del 1998, nell’agosto 2013.

Sul punto questo Supremo Collegio ha costantemente affermato il principio, condiviso dal Collegio, che in tema di prescrizione del reato, la disciplina transitoria prevista dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, nella parte in cui esclude per i processi già pendenti l’applicabilità dei termini che risultino più brevi per effetto delle nuove disposizioni, va interpretata nel senso che l’esclusione investe tutte le disposizioni che comunque comportino una abbreviazione dei termini. (Sez. 3, Sentenza n. 15177 del 14/02/2007 Ud. – dep. 16/04/2007 – Rv. 236813). Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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