Cons. Stato Sez. V, Sent., 05-07-2011, n. 4034 Commercio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con istanza dell’8.2.2010 il sig. B. A., titolare dell’esercizio sito in Roma, alla via del Moro n. 10 – già autorizzato, sulla scorta del titolo conseguito ai sensi dell’art. 3, comma 6, lett. d), della legge n. 287/1991, allo svolgimento di attività di somministrazione di alimenti e bevande congiuntamente alla prevalente attività di intrattenimento e svago, chiedeva, ai sensi della norma transitoria di cui all’art. 25, comma 2, della legge regionale n. 21/2006, la conversione del titolo in suo possesso in autorizzazione all’attività di somministrazione di alimenti e bevande ai sensi degli artt. 10 e 11 della legge medesima e, in via subordinata, il rilascio di una nuova autorizzazione allo svolgimento di detta attività.

Con le note impugnate in prime cure il Comune di Roma respingeva entrambe le domande.

Con riferimento alla domanda di conversione l’amministrazione comunale poneva a fondamento della determinazione reiettiva il rilievo che "la disposizione contenuta al comma 3 dell’art. 25 prevede che soltanto le autorizzazioni di cui all’art. 5 della L. 287/91 attivate in uno stesso locale si considerano un unico titolo autorizzatorio e non anche quelle rilasciate ai sensi dell’art. 3 della Legge 287/91 che, evidentemente, continuano ad essere sottoposte a differenti prescrizioni".

Quanto alla domanda di nuova autorizzazione il Comune considerava ostativa la disciplina recata dal regolamento comunale per l’esercizio dell’ attività di somministrazione di cui alla deliberazione n. 35/2010, ed in particolare gli artt. 10 ed 11, laddove si prevede che negli ambiti territoriali ivi indicati non possano essere rilasciate autorizzazioni, nonché il disposto dell’ art. 6 della delibera 36/2006, nelle quali è fatto divieto assoluto di aprire attività diverse da quelle tutelate entro taluni ambiti territoriali che includono la sede dell’esercizio in parola.

Con la sentenza impugnata i Primi Giudici hanno accolto il ricorso di primo grado proposto avverso dette note dal B., reputando fondate le censure volte a contestare la legittimità del provvedimento di diniego della conversione mentre hanno ritenuto assorbite le doglianze articolate avverso la nota reiettiva adottata a fronte dell’istanza finalizzata al conseguimento di nuovo titolo autorizzatorio.

Il Comune di Roma propone appello con il quale contesta gli argomenti posti sostegno del decisum di prime cure.

Resiste l’odierno ricorrente.

Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.

All’udienza del 5 aprile 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Il Giudice di primo grado ha fondato la statuizione di accoglimento sulla disciplina transitoria recata dall’art. 25, c. 2, della legge regionale n. 21/2006, secondo cui " coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono titolari di autorizzazione o di altri titoli rilasciati ai sensi delle leggi e dei regolamenti statali per l’esercizio di somministrazione hanno diritto ad estendere la relativa attività. Il comune provvede alla conversione d’ufficio delle autorizzazioni senza obbligo di comunicazione da parte del titolare." Il Tribunale ha, in particolare, reputato che la norma transitoria di che trattasi, riprodotta in modo pedissequo dall’art. 28 del regolamento comunale di cui alla delibera n, 35/2010, conferisce la possibilità ai titolari di autorizzazioni alla somministrazione – ossia a tutti i titolari a qualsiasi titolo autorizzati – di estendere l’ operatività dello stesso in corrispondenza dell’ entrata in vigore di una profonda riforma del sistema autorizzatorio del settore della somministrazione. Il Collegio ha anche osservato che detta norma transitoria, applicabile anche al caso, che qui viene in rilievo, di soggetto autorizzato all’attività di somministrazione congiunta a prevalente attività di intrattenimento e svago, non può essere confusa con la diversa norma transitoria di cui al comma 3 della legge regionale, che invece considera unico titolo le diverse autorizzazioni già facenti capo al medesimo locale.

3. La Sezione, in adesione ai rilievi svolti dall’appellante, reputa che la parabola argomentativa calibrata dalla sentenza appellata sia viziata dall’erroneo presupposto dell’applicabilità della norma transitoria di cui al comma 2 dell’art. 25 della legge regionale n. 21/2006, anche al fine di ottenere una conversione sostanziale di titolo autorizzatorio abilitante allo svolgimento di attività di somministrazione di alimenti e bevande in via subvalente rispetto a quella poziore di intrattenimento e svago in autorizzazione all’esercizio, in via esclusiva o prevalente, di attività di somministrazione di alimenti e bevande.

Reputa, infatti, il Consiglio che detta modificazione qualitativa del titolo legittimante esorbiti, sul piano teleologico e sistematico, dal campo di applicazione della norma transitoria di che trattasi.

3.1. Si deve muovere dal rilievo che, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 287/1991, i pubblici esercizi di cui alla legge sono distinti in:

a) esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari);

b) esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcoliche di qualsiasi gradazione, nonché di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffé, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari);

c) esercizi di cui alle lettere a) e b), in cui la somministrazione di alimenti e di bevande viene effettuata congiuntamente ad attività di trattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari;

d) esercizi di cui alla lettera b), nei quali è esclusa la somministrazione di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione.

Si deve soggiungere che, ai sensi del precedente art 3, comma 6, lettera d,. della medesima legge le attività di somministrazione congiunta ad una prevalente attività di intrattenimento e svago sono comprese nel novero delle attività di somministrazione sottratte ai limiti numerici stabiliti, in sede programmatoria, dalla Regione dal Comune ai sensi dei precedenti commi 4 e 5.

Ne deriva una profonda differenza qualitativa delle attività di somministrazione di carattere secondario rispetto a quelle di natura principale, legata all’emancipazione delle prime dagli stringenti vincoli programmatici alle quali soggiacciono le seconde. Si può quindi dire che le attività di somministrazione subvalenti sono interessate, già nell’impianto di cui alla legge n. 287/1991, ad un regime liberalizzato che invece non permea le attività ordinarie di somministrazione, soggette ad un regime autorizzatorio imperniato su di una logica programmatoria legata alla fissazione di tetti numerici.

Detta profonda differenziazione sopravvive anche al disegno riformatore di cui al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 50, di attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi del mercato interno, che all’articolo 64, comma 7, ha confermato, in sede di modifica del comma 6 dell’art. 3 della citata legge n. 287/1991, la sottrazione alla programmazione amministrativa, tra le altre, delle attività di somministrazione di alimenti e bevande relative effettuate in esercizi in cui sia prevalente l’attività congiunta di trattenimento e svago.

Inoltre, ai sensi del comma 2 dell’art. 64 della medesima normativa dette attività sono svincolate dal regime autorizzatorio in quanto, in coerenza con un disegno di liberalizzazione che viene confermato e potenziato, sono soggette a semplice denuncia di inizio attività ad effetto immediatamente legittimante ai sensi dell’art. 19, comma 2, secondo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo ratione temporis vigente.

3.2. La profonda diversità di regime che connota, in seno alla legislazione nazionale, le attività di somministrazione secondarie dalle principali consente di accedere ad una corretta esegesi della disciplina regionale.

L’art. 10 della legge regionale n. 21/2006, ha, in primo luogo, stabilito, al comma 1, che lo svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, rientra nell’unica tipologia di esercizio di somministrazione, come definita dall’articolo 3, comma 1, lettera c). Ne deriva l’abolizione delle quattro tipologie di autorizzazioni di cui all’art. 5 della legge n. 287/1991 (ristorante, bar, somministrazione congiunta e prevalente sull’intrattenimento e bar con esclusione di bevande alcoliche), interessate da un processo di reductio ad unitatem. Ne consegue ulteriormente che, a regime, le relative autorizzazioni, a carattere omnicomprensivo, legittimano all’espletamento di tutte, indifferentemente, le attività di somministrazione di alimenti e bevande, un tempo interessate da regimi di diverse autorizzazioni specifiche. L’articolo 6 della legge regionale continua invece, in coerenza con il prima ricordato quadro normativo nazionale, a trattare in modo peculiare le attività di somministrazione svolte congiuntamente ad altra attività prevalente, quale quella di spettacolo, intrattenimento, svago, sport, cultura, avente carattere non occasionale o stagionale, intendendo per prevalente quella in cui la superficie dei locali utilizzati per essa è pari ad almeno tre quarti della superficie della struttura complessivamente a disposizione per lo svolgimento delle attività, esclusi magazzini, depositi, uffici e servizi igienici. In armonia con la scelta del legislatore nazionale di assoggettare dette attività a semplice denuncia di inizio attività immediatamente abilitante, il primo comma dell’art. 6 ha stabilito che tali esercizi non soggiacciono al potere comunale, di cui al precedente art. 5, di fissare i criteri per lo sviluppo degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande indicando, anche per singole zone del territorio comunale, le condizioni per il rilascio di nuove autorizzazioni.

Va per completezza aggiunto che, ai sensi del comma 2 dell’art. 6, il Comune di Roma può far rientrare nei criteri di cui all’articolo 5 le attività di somministrazione di alimenti e bevande di cui al comma 1, lettera a), nonché, limitatamente alle medie strutture di vendita, le attività di cui alla lettera l) dello stesso comma., e che il Comune ha usufruito di detta deroga (art. 13 delibera del consiglio comunale n. 35/2010).

3.3. L’esame del quadro normativo nazionale e regionale consente di approdare ad una corretta lettura della disciplina transitoria recata dall’art. 26, comma 2 della legge regionale n. 21/2006, ove si dispone che "coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono titolari di autorizzazioni o di altri titoli rilasciati ai sensi delle leggi e dei regolamenti statali per l’esercizio di somministrazione hanno diritto ad estendere la relativa attività", aggiungendo che" il comune provvede alla conversione d’ufficio delle autorizzazioni senza obbligo di comunicazione da parte del titolare".

Detta prescrizione transitoria, letta in combinazione con la nuova normativa regionale che, a regime, abolisce la distinzione tra le varie tipologie di esercizi di somministrazione, consente l’estensione oggettiva anche delle precedenti autorizzazioni concernenti specifiche attività di somministrazione, prevedendo all’uopo una conversione d’ufficio che imprime anche alle autorizzazioni già rilasciate quella portata omnicomprensiva che l’ordinamento conferisce ai futuri titoli da rendere alla stregua dello jus superveniens.

La norma non interessa invece le attività di somministrazione subvalente, non toccate dalla nuova disciplina di regime che la norma transitoria vuole estendere anche al passato, in quanto soggette ad una disciplina speciale affrancata dai criteri programmatici valevoli per le normali attività di somministrazione.

Giova rilevare che una diversa opzione ermeneutica, che consentisse la conversione dei titoli relativi ad attività di somministrazione secondaria in attività di somministrazione principale mediante l’estensione automatica a tutto il locale dell’attività di somministrazione prima conchiusa entro precisi limiti percentuali, oltre ad essere contraddetta dall’assenza di qualsivoglia soluzione di continuità nel regime di dette attività di somministrazione, condurrebbe al risultato incongruo di consentire in via automatica l’esercizio di attività di somministrazione prevalente senza il rispetto dei criteri programmatici che, nonostante l’abolizione dei limiti numerici, hanno sempre connotato dette attività nella legislazione nazionale e regionale.

E’ quindi convincente la soluzione interpretativa sostenuta dall’amministrazione appellante che lega la portata del comma 2 dell’art. 26 alla disciplina recata dal comma 3 successivo che, questa volta facendo esplicitamente riferimento alle autorizzazioni di cui all’articolo 5 della l. 287/1991, attivate in uno stesso locale, prevede che le stesse si considerano un unico titolo autorizzatorio.

Si introduce così un principio di concentrazione che si atteggia a precipitato del venir meno delle distinzioni tipologiche che, ai sensi del precedente comma 2, giustifica l’estensione della portata delle autorizzazioni già rilasciate.

3.4. Le considerazioni che precedono mettono in evidenza la legittimità della determinazione comunale che ha negato la conversione del titolo relativo all’ attività di somministrazione secondaria svolta dall’appellato che conserva la natura e le caratteristiche impresse dal titolo originario che la considera subvalente rispetto alla principale attività di intrattenimento e svago senza che la disciplina transitoria possa legittimare l’estensione di dette attività di somministrazione a tutta la superficie del locale.

4. L’appello deve allora trovare accoglimento con conseguente reiezione del ricorso di primo grado nella parte volta a censurare le lagittimità del diniego di conversione.

5. Venendo ai motivi del ricorso di primo grado riproposti in appello, relativi al diniego di nuova autorizzazione, risulta sufficiente, al fine di giustificare la legittimità del diniego, il richiamo all’art. 6 della delibera del Consiglio comunale n. 36/2006 che impedisce, per taluni ambiti territoriali tra cui è compresa via de Moro, l’apertura di attività diverse da quelle precedentemente svolte oggetto di tutela.

Va rammentato che la deliberazione del Consiglio comunale n. 36 del 6 febbraio 2006, all’art. 6, comma 2 – recante un piano di tutela di alcune attività tradizionali per la città storica, suddiviso a sua volta in tessuti territoriali, zone di rispetto e zone omogenee – consente, in caso di cessazione delle attività commerciali tutelate, la sola attivazione, per l’arco temporale di cinque anni, di una o più delle medesime attività appartenenti al medesimo settore alimentare o non alimentare.

La Sezione, con decisione 10 maggio 2010, n. 2758, meritevole di condivisione, ha ritenuto che detta delibera consiliare sfugge, a sua volta, ai rimproveri mossi al suo indirizzo dall’appellante sotto il duplice profilo della mancanza di una base normativa di legittimazione e del contrasto con i principi, nazionali e comunitari, in materia di liberalizzazione degli esercizi commerciali.

Sotto la prima angolazione, la Sezione, con motivazione condivisibile, ha messo in rilievo che, nel perseguire la finalità istituzionale di salvaguardia dei caratteri tradizionali dei centri storici contrastando il rischio di degrado e snaturamento, il Comune ha esercitato una sua competenza che trova alimento nelle previsioni legislative regionali di massima per la tutela dei centri storici del Lazio mediante localizzazioni di strutture di vendita tradizionali (legge della Regione Lazio n. 33/1999, art. 20) e del centro di Roma in particolare (L.R. n. 22/2001); nonché, sul piano statale, nelle disposizioni che richiamano le competenze delle regioni per la tutela dei centri storici attraverso la salvaguardia e la riqualificazione delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di vicinato (artt. 6 e 10 del D.Lgs. n. 114/1998 cit.).

La normativa regolamentare comunale risponde, peraltro, agli indirizzi impartiti della Regione Lazio nella delibera 6.11.2002 n. 131 del Consiglio Regionale, il cui art. 8 statuisce che i comuni possono limitare nei centri storici l’insediamento di attività che non siano tradizionali e/o qualitativamente rapportabili ai caratteri storici, architettonici e urbanistici dei centri medesimi.

Il piano risponde, altresì, ai principi generali e di programmazione di cui alle delibere C.C. 29.9.2003 n. 187 e 27.3.2002 n. 41.

Si deve allora convenire che la delibera consiliare n. 36/2006 è adeguatamente sorretta da normativa di ordine superiore (statale e regionale), da regolamentazione e programmazione locale vigente e dall’esigenza di salvaguardare le tradizioni di vendita nei centri urbani.

Le finalità e la portata delle misure pianificatorie di cui è stata fatta applicazione con il provvedimento impugnato consentono di confutare anche le censure che mettono l’accento sull’incompatibilità delle scelte comunali con le norme nazionali di liberalizzazione in materia commerciale e con i principi comunitari e costituzionali che le sorreggono.

La normativa del cd. "decreto Bersani" ( D.L. n. 223/2006) mira, infatti, alla liberalizzazione delle attività commerciali, escludendo che agli esercizi autorizzati possano essere posti limiti quantitativi e qualitativi di vendita delle merci (art. 3), ma non osta alla possibilità che i Comuni tutelino le attività tradizionali nei centri storici con disposizioni che non impediscono l’esercizio nei centri storici di attività diverse da quelle tradizionali anche se riservano a queste ultime i locali in cui erano svolte in precedenza.

Gli stessi principi costituzionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa economica e di tutela della concorrenza non escludono che esigenze di tutela di valori sociali di rango parimenti primario possano suggerire condizionamenti e temperamenti al dispiegarsi dei diritti individuali. Detti limiti sono vieppiù costituzionalmente compatibili, oltre che in ragione dei confini temporali che li perimetrano, anche in virtù della considerazione che al titolare dell’esercizio dell’attività cessata non è imposto un puntuale sbarramento merceologico in quanto gli è consentito di intraprendere da subito qualsiasi attività appartenente al medesimo genere, alimentare o non alimentare, di quella venuta meno.

Va soggiunto che le misure in esame, senza imporre limitazioni quantitative e qualitative incompatibili con la disciplina nazionale, perseguono la concorrente finalità di tutelare il consumatore garantendo la permanenza, negli ambiti territoriali tutelatiti, di un’offerta variegata di beni e servizi che non sia depauperata di attività tradizionali altrimenti a rischio di estinzione.

Le stesse argomentazioni sono estensibili anche al fine di giustificare la disciplina limitativa impressa dalla sopravvenuta deliberazione n. 35/2010

6. Le considerazioni che precedono giustificano l’accoglimento dell’appello e la conseguente reiezione del ricorso di primo grado.

Sussistono giusti motivi, alla luce della complessità delle questioni di diritto affrontate, per disporre la compensazione integrale delle spese dei due gradi di giudizio

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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