Cons. Stato Sez. VI, Sent., 05-07-2011, n. 4035

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo della Lombardia, sede di Brescia, rubricato al n. 11484/03, il sig. D. E. Y., cittadino marocchino residente in Italia da oltre quattordici anni, impugnava il provvedimento n. K10/43799/R emesso in data 12 giugno 2003, con il quale il Ministero dell’Interno aveva respinto la sua istanza di concessione della cittadinanza italiana sulla base della nota n. 300/C1826/J4/2002/3 Div./32/R del Dipartimento della pubblica sicurezza, che rilevava la "esistenza di elementi tali da non ritenere opportuna la concessione della cittadinanza".

L’interessato lamentava vari profili di eccesso di potere, per non essere stato descritto né in altro modo reso conoscibile il contenuto della nota del Dipartimento e per non avere l’Amministrazione tenuto conto della sua condotta irreprensibile, e chiedeva quindi l’annullamento del provvedimento impugnato.

Nel corso del giudizio di primo grado:

– il Presidente del TAR, con l’ordinanza n. 68 del 29 marzo 2004, ha ordinato il deposito della nota richiamata nel provvedimento impugnato;

– il TAR, con l’ordinanza collegiale n. 999 del 19 ottobre 2005, ha richiesto all’Amministrazione chiarimenti circa gli elementi posti a base del diniego;

– il Presidente del TAR ha sollecitato l’esecuzione della misura istruttoria, con l’ordinanza 18 aprile 2006, n. 36.

Non avendo l’Amministrazione eseguito tali ordinanze, con la sentenza n. 248 del 2007 il TAR ha rilevato il difetto di motivazione del contestato diniego, per la mancata emersione di concreti elementi giustificativi, ed ha annullato il provvedimento impugnato, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese del giudizio.

2. Avverso la predetta sentenza propone appello, rubricato al n. 5249/07, il Ministero dell’interno, chiedendo la sua riforma ed il rigetto del ricorso di primo grado, previa sospensione.

Con ordinanza n. 4104 in data 31 luglio 2007 è stata accolta l’istanza cautelare.

Si è costituito in giudizio il sig. D. E. Y., chiedendo il rigetto dell’appello.

3. Con l’ordinanza n. 281 del 6 luglio 2010, la Sezione – con considerazioni che il collegio condivide e fa proprie nella fase decisoria del secondo grado del giudizio – ha rilevato che "l’appello dell’Amministrazione si basa sull’affermazione dell’amplissima discrezionalità ad essa spettante in materia di concessione della cittadinanza italiana e dell’insussistenza dell’onere probatorio, ad essa accollato dai primi giudici, in quanto i documenti sulla cui mancata esibizione si è basata la decisione impugnata non possono essere prodotti in giudizio, essendo classificati riservati.

Quanto al primo profilo, il Collegio concorda sul riconoscimento dell’amplissima sfera di discrezionalità, vantata dall’Amministrazione (in termini, da ultimo, C. di S., VI, 26 gennaio 2010, n. 282), ma osserva che tale riconoscimento non consente di escludere l’esercizio del sindacato giurisdizionale, come preteso dall’appellante, e nemmeno di escludere la presenza del vizio di eccesso di potere".

"Osserva poi il Collegio, sotto il secondo profilo, che la qualifica di "riservatò non giustifica la mancata esibizione in giudizio di un documento, in violazione dell’ordine impartito dall’Autorità Giurisdizionale".

"L’art. 42, ottavo comma, della legge 3 agosto 2007, n. 124, detta univocamente il regime giuridico degli atti classificati riservati, stabilendo che "qualora l’Autorità Giudiziaria ordini l’esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato, gli atti sono consegnati all’autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia’".

"La qualifica "riservatò non giustifica, quindi, il rifiuto di esibizione dei documenti richiesti dal’Autorità Giudiziaria (in termini, di questa Sezione, ordinanza 23 ottobre 2009, n. 47, e la conseguente decisione, resa nel medesimo giudizio, 26 gennaio 2010, n. 282, sopra citata); può soltanto giustificare particolari cautele".

"Al riguardo, è evidente che le cautele in questione riguardano soprattutto la tutela della riservatezza di terzi, che assume rilievo in qualsiasi procedimento di accesso ai documenti dell’Amministrazione e riveste particolare delicatezza nelle questioni che in qualsiasi modo coinvolgano la difesa della sicurezza pubblica".

"Di conseguenza l’Amministrazione, destinataria dell’ordine di esibizione di documenti riservati, dovrà individuare la documentazione da esibire, giustificando eventuali omissioni".

"Il plico così formato dovrà essere depositato presso la segreteria del giudice che ne ha ordinato l’esibizione in doppia busta, che a cura della segreteria dovrà essere aperta di fronte ai difensori delle parti, che hanno diritto di prenderne visione ma non di estrarne copia, e successivamente richiusa, verbalizzando le operazioni compiute".

"La busta dovrà essere nuovamente aperta dal giudicante in camera di consiglio, onde consentire la decisione".

"Con specifico riferimento al caso di specie, deve essere osservato come sia palese che l’esibizione non potrà consentire l’accesso a nominativi di soggetti che abbiano fornito informazioni confidenziali, ovvero la descrizione di circostanze utili ad identificarli."

"In conclusione, afferma il Collegio che l’Amministrazione ha l’onere di depositare in giudizio gli atti necessari alla sua definizione, depurandoli dei dati sensibili ed osservando le cautele di cui sopra".

"Atteso che, nel caso di specie, la controversia non può essere definita senza prendere visione degli atti presupposti alla nota n. 300/C1826/J4/2002/3 Div./32/R del Dipartimento della pubblica sicurezza, ordina quindi al Direttore centrale del Dipartimento della Pubblica sicurezza presso il Ministero dell’interno di depositare in giudizio gli atti sulla base dei quali ha espresso parere contrario alla concessione della cittadinanza italiana all’odierno appellato con le cautele di cui sopra entro trenta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, o dalla sua notificazione a cura della parte più diligente."

4. Rileva il Collegio che tale ordinanza n. 281 del 2010 è stata solo parzialmente eseguita, con il deposito di note dell’Amministrazione che si sono limitate a richiamare quelle precedenti.

La Sezione ha quindi emanato le ulteriori ordinanze istruttorie n. 376 del 26 ottobre 2010 e n. 502 del 10 dicembre 2010, con cui ha chiesto il deposito di una documentazione dalla quale si potesse in qualche modo desumere la plausibilità dei fatti posti a base del diniego.

A seguito della ancora solo parziale esecuzione di tali ordinanze (con l’ulteriore trasmissione di una nota che ha richiamato le precedenti), con l’ordinanza n. 1671 del 22 febbraio 2011 la Sezione ha così disposto:

– "rilevato che il provvedimento impugnato in primo grado si è basato sulla constatata decisiva circostanza per cui l’appellato ha "assidui rapporti con elementi simpatizzanti dei movimenti radicali islamici dell’area magrebina, gravitanti nell’ambito dei centri islamici di Brescia e Milano’";

– "vista l’ordinanza istruttoria n. 502 del 29 dicembre 2010, che ha disposto incombenti istruttori, richiamando altresì l’attenzione del Ministero dell’Interno sulla possibilità che, analogamente a quanto è avvenuto in primo grado, sia valutato il suo complessivo comportamento processuale sulla mancata indicazioni di elementi tali da giustificare l’emanazione del provvedimento impugnato in primo grado";

– "vista la nota con cui il Ministero appellante ha trasmesso in allegato una busta sigillata, visionabile solo dal Collegio";

– "esaminato il contenuto della busta sigillata trasmessa dal Ministero, sigillato poi nuovamente per la sua custodia nella cassaforte nella disponibilità della Sezione";

– "rilevato che anche dalla lettura del contenuto della medesima busta non è emerso alcun elemento di fatto, neanche genericamente indicato, tale da suffragare l’effettiva sussistenza della circostanza posta a base del provvedimento impugnato in primo grado, ovvero tale da chiarire in cosa consistano o siano consistiti i sopra indicati "assidui rapporti’, ovvero in quali luoghi o circostanze, o in quale epoca, essi siano stati riscontrati";

– "considerato che, richiamando anche i principi desumibili dall’art. 24 della Costituzione, la sentenza gravata ha ritenuto attendibili le deduzioni dell’interessato, sulla insussistenza della circostanza posta a base del provvedimento;

– "rilevato – ai fini della emanazione della presente ordinanza e impregiudicata ogni statuizione – che, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa, il provvedimento impugnato in primo grado può essere considerato legittimo ove risulti in qualche modo corroborata o, valutate le circostanze, quanto meno attendibile l’affermazione posta a sua base";

– "ritenuto quindi necessario che il Ministero – ad integrazione di quanto già trasmesso – fornisca comprovati chiarimenti, la cui mancata produzione, nel rispetto della normativa vigente, potrebbe essere presa in considerazione dal Collegio ai sensi dell’art. 64, comma 4, del codice del processo amministrativo";

– "rilevato che analoga sollecitazione è stata più volte inutilmente effettuata dal TAR nel corso del giudizio di primo grado";

– "ritenuto quindi necessario chiedere al Direttore centrale del Dipartimento della Pubblica sicurezza, presso il Ministero dell’interno, di depositare in giudizio i comprovati chiarimenti entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione della presente ordinanza, o dalla sua notificazione a istanza di parte, restando sospesa, nel frattempo, ogni pronuncia in rito, nel merito e sulle spese".

La Sezione ha conseguentemente rinviato la definizione del secondo grado del giudizio all’udienza del 19 aprile 2011, richiamando ancora una volta l’attenzione del Ministero appellante sulla possibilità che sia complessivamente valutato il suo comportamento processuale (anche ai sensi dell’art. 64, comma 4, del Codice del processo amministrativo).

5. La causa è stata nuovamente assunta in decisione alla pubblica udienza del 19 aprile 2011.

6. Dopo la spedizione della causa in decisione, l’Avvocatura dello Stato ha depositato presso la segreteria della Sezione una busta chiusa (non sigillata), chiedendo che essa sia presa in considerazione dal Collegio.

Il Presidente – avendone avuto notizia dalla segreteria – sentito il relatore – ha quindi convocato una ulteriore camera di consiglio per il 23 giugno 2011, onde valutare la pertinenza della documentazione prodotta, esaminarne se del caso il contenuto e decidere sull’eventuale necessità di fissare una ulteriore udienza pubblica di discussione.

7. Nel corso della camera di consiglio del 23 giugno 2011, l’incaricato della segreteria ha consegnato nelle mani del relatore la busta depositata dalla Avvocatura dello Stato.

Il relatore ha aperto la busta ed ha estratto la documentazione, di cui il Collegio ha preso visione.

La medesima documentazione dopo l’esame, seduta stante, è stata collocata in una busta ed è stata immediatamente consegnata all’incaricato della segreteria per esser conservata in cassaforte.

8. Dalla esposizione svolta ai paragrafi che precedono, risulta come la Sezione – così come già valutato dal TAR per la Lombardia – abbia ritenuto indispensabile ottenere dall’Amministrazione chiarimenti circa gli accertamenti svolti sulla effettiva natura dei rapporti intercorrenti tra l’appellato e appartenenti alla comunità islamica

9. Al riguardo, è pacifico in causa che l’appellato abbia frequentato e frequenti luoghi di culto ed altri luoghi di ritrovo insieme a connazionali.

10. L’appellato, sotto tale profilo, ha rilevato come sia del tutto consentito che egli non interrompa i legami con il suo Paese di origine, continui a praticare la propria religione e mantenga i rapporti parentali ed amicali.

11. Ritiene al riguardo il Collegio che:

– i comportamenti effettivamente risultanti dalla documentazione acquisita costituiscono esercizio di diritti fondamentali, tutelati dalla Costituzione italiana;

– la frequentazione di una comunità pur non composta anche da cittadini italiani, in assenza di elementi evidenzianti profili di pericolosità sociale, non può costituire di per sé un elemento negativo, in sede di valutazione della concessione o meno della cittadinanza;

– l’Amministrazione può formulare un giudizio di pericolosità ovvero di non meritevolezza della concessione della cittadinanza italiana, qualora risultino elementi oggettivi;

– l’Amministrazione, qualora neghi la cittadinanza perché ha formulato in concreto il giudizio di pericolosità o di non meritevolezza, deve rendere attendibili le affermazioni poste a base della propria determinazione, affinché il giudice amministrativo – in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa e sia pure senza formalismi – possa valutare la legittimità del suo atto.

12. Va a questo punto rilevato che, nel corso dei due gradi del giudizio, l’Amministrazione non ha fornito elementi di qualsiasi natura per suffragare l’attendibilità di quanto è stato posto a base del diniego.

Essa, pur depositando più volte le note in cui si ribadiva la sussistenza del presupposto del diniego, non ha fornito ai giudici amministrativi la documentazione più volte richiesta, in primo grado con tre ordinanze e in secondo grado con altre quattro ordinanze.

L’Amministrazione non ha esibito gli atti, malgrado essi non siano stati segretati, ma qualificati riservati, ai sensi dell’art. 42, ottavo comma, della legge 3 agosto 2007, n. 124, e malgrado la Sezione abbia espressamente disposto che l’esibizione sarebbe potuta avvenire con le cautele previste dalla stessa disposizione, nonché con quelle ulteriori che la stessa amministrazione avrebbe potuto determinare.

Nonostante ciò, e nonostante il Consiglio di Stato abbia espressamente rilevato come la mancata esecuzione di ordinanze istruttorie possa essere considerata ai fini dell’applicazione dell’art. 64, comma 4, del Codice del processo amministrativo (ricognitivo di un preesistente principio, già applicato dal TAR), le ordinanze sopra richiamate non sono state eseguite.

13. Come si è esposto nel paragrafo 6, dopo l’udienza di discussione e la conseguente camera di consiglio per la decisione del gravame, l’Amministrazione appellante, per il tramite dell’Avvocatura, ha fatto pervenire alla segreteria della sezione una busta chiusa, non sigillata, chiedendo l’esame del suo contenuto e rilevando che in tal modo si è data esecuzione agli incombenti istruttori più volte ordinati.

14. A seguito della fissazione dell’ulteriore camera di consiglio da parte del presidente, il Collegio – conseguentemente riunitosi – ha ritenuto di accogliere l’istanza dell’Amministrazione volta all’esame della documentazione contenuta nella busta, per la delicatezza degli interessi coinvolti, malgrado l’irritualità della produzione, e ciò al fine di verificare la pertinenza degli atti ai fatti rilevanti nel giudizio (ferma restando ogni valutazione all’esito dell’esame, per la salvaguardia del principio della parità delle parti).

Pertanto, nel corso della camera di consiglio del 23 giugno 2011 il relatore ha aperto la busta, prendendo visione del suo contenuto, unitamente agli altri componenti del Collegio.

15. Rileva la Sezione che la menzionata busta risulta contenere una nota il cui contenuto non è dissimile da quello degli atti già in precedenza depositati: l’Amministrazione ha ribadito la legittimità del proprio diniego e la sussistenza del presupposto posto a sua base, senza fornire al riguardo elementi di qualsiasi natura per evidenziarne l’attendibilità.

16. Poiché nel corso dei due gradi del giudizio non è emerso alcun elemento giustificativo della valutazione posto a base del diniego, e in considerazione della mancata esecuzione delle ordinanze istruttorie, l’appello va respinto, con conferma della sentenza di annullamento del provvedimento impugnato in primo grado, salvi gli ulteriori e motivati atti della autorità amministrativa.

Le spese del secondo grado, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 5249/07, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma la sentenza gravata, salvi gli ulteriori e motivati provvedimenti della autorità amministrativa.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’appellato, di spese ed onorari del presente grado del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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