Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-05-2011) 30-06-2011, n. 25783

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.F.:

Impugnava per cassazione la sentenza della Corte di appello di Catania del 21.10.2010 che aveva confermato la decisione emessa in primo grado dal Tribunale della stessa città con la quale era stato riconosciuto colpevole del reato di rapina, aggravata dall’uso di un taglierino e dalla recidiva, reato commesso ai danni della Banca Antonveneta di (OMISSIS), nonchè del reato di porto di taglierino; fatti del (OMISSIS);

l’imputato era stato condannato alla pena di anni 5 di reclusione ed Euro 3.000 di multa, oltre pene accessorie e spese, nei motivi proposti si deduce:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e).

1)- Il ricorrente censura la decisione impugnata perchè, nonostante l’opposizione della Difesa, aveva accolto la richiesta del PM di allegare al fascicolo del dibattimento la perizia dattiloscopica esperita dal Consulente del Pubblico Ministero durante indagini preliminari;

– la sentenza aveva errato nel ritenere che l’accertamento in questione non rientrava nel novero degli accertamenti tecnici ripetibili, in violazione degli artt. 348 e 349 c.p.p.;

– in realtà non si verteva nell’ipotesi di attività di mero accertamento, consentita alla PG ed acquisibile nel fascicolo del dibattimento, bensì in attività di confronto e valutazione che, anche se operato dalla PG, andava espletata nell’ambito del contraddittorio e non poteva essere sostituita dal semplice esame dibattimentale del verbalizzante;

2) – la decisione era da censurare anche per avere negato le attenuanti generiche in violazione dei criteri dettati dall’art. 133 c.p.;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il primo motivo è stato formulato senza tenere conto dei principi consolidati espressi in materia dalla Giurisprudenza di legittimità, anche di questa sezione, che ha affermato come la raccolta delle impronte digitali a opera della polizia giudiziaria, per il suo carattere di urgenza, trova la sua disciplina nel disposto dell’art. 354 c.p.p., comma 2, ed è sottratta alla disciplina del contraddittorio.

Per quanto attiene, poi, alla comparazione delle impronte prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria, trattasi di attività che non richiede particolari cognizioni tecnico- scientifiche e si risolve in un mero accertamento di dati obiettivi ai sensi del richiamato art. 354 c.p.p., per cui il suo svolgimento non postula, parimenti, il rispetto delle formalità prescritte dall’art. 360 c.p.p..

Ne deriva che, qualora colui che ebbe a svolgere siffatta attività venga sentito in dibattimento (come nella fattispecie, vedi esame del verbalizzante P., espressamente richiamato nella sentenza impugnata) e riferisca in ordine alla medesima, il giudice non è tenuto a disporre una perizia, ben potendosi attenere alle emergenze di quanto esposto da tale soggetto che in realtà è un consulente del p.m..

D’altro canto, il diritto al contraddittorio, in tale evenienza, può esercitarsi attraverso il controesame del citato soggetto da parte della difesa e attraverso contestazione la quale, solo se idonea a incidere sui dati acquisiti, potrà comportare la necessità di ulteriori indagini e se del caso di perizia. (Cassazione penale, sez. 2, 02/10/2009, n. 42344 conforme: Cassazione penale, sez. 5, 18/11/2009, n. 9224).

Per quanto riguarda il secondo motivo è doveroso ricordare che la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche è oggetto di un giudizio di fatto che il giudice deve effettuare apprezzando i parametri indicati nell’art. 133 c.p. e può essere esclusa dal giudice di merito anche solo attraverso il richiamo, tra i suddetti parametri, di quelli ritenuti preponderanti per la propria decisione:

la relativa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato, giacchè il giudice non occorre che esamini tutti i parametri indicati dall’art. 133 c.p., essendo sufficiente che specifichi a quale di essi si è riferito.

Cassazione penale, sez. 6, 28 maggio 2009, n. 28894.

Nella specie, deve ritenersi corretta e congruamente motivata la decisione che ha negato le generiche evidenziando: "la pervicacia dimostrata dall’imputato nel negare la commissione del fatto pur in presenza di una prova decisiva della sua responsabilità".

Segue il rigetto del ricorso atteso che i motivi proposti, pur se non manifestamente inammissibili, risultano infondati per le ragioni sin qui esposte;

ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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