Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-05-2011) 30-06-2011, n. 25779 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 28 settembre 2009, la Corte d’Appello di Napoli, 1A sezione penale, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, appellata da P. L. e D.A.L.G., ritenuto assorbito il reato di cui al capo B) (sottrazione delle chiavi per accedere all’ufficio postale) in quello di cui al capo C) (tentata rapina ai danni dell’ufficio postale), determinava la pena per P. in quattro anni di reclusione e Euro duemila di multa e per D.A. in quattro anni due mesi di reclusione e Euro duemila di multa con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni di revoca dell’interdizione legale; confermava nel resto la sentenza impugnata, con la quale erano stati dichiarati colpevoli di concorso (assieme ad altri giudicati separatamente) nei delitti A) di sequestro di persone dei dipendenti dell’Ufficio postale; C) di tentata rapina aggravata (per aver commesso il fatto in più persone (Ndr.: testo originale non comprensibile) e con l’uso di arma), D) di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo, fatti commessi il (OMISSIS) alle ore 07.45 circa.

La Corte territoriale, rammentato lo sviluppo delle indagini che avevano preso le mosse da intercettazione ambientale (disposta in diverso procedimento) del 23.5.2007, riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta nelle conversazioni (oggetto di intercettazione sia ambientale che telefonica) tra D.R. (organizzatore della rapina) e L. (con accento campano, identificato per P., che aveva svolto il ruolo di "palo") nonchè altro Lo. (con accento laziale, identificato per D. A. quale autore materiale del tentato di rapina posto che l’impiegato S. aveva riferito che i due aggressori parlavano in dialetto laziale), persone queste ultime e che i Carabinieri avevano identificato alle ore 08.40 del (OMISSIS), allorchè dalle conversazioni intercettate era risultato che gli autori del tentativo di rapina si erano dati appuntamento a casa di D.R..

Ulteriore elemento a carico di D.A. veniva individuato nel fatto che, sebbene ritualmente avvisato, non si era presentato per sottoporsi a saggio fonico, essendosi reso irreperibile all’accompagnamento coattivo disposto dal Giudice.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato D. A. (il ricorso di P. è stato definito separatamente), che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – inosservanza di norme stabilite a pena di nullità in relazione al combinato disposto dell’art. 178 c.p.p., lett. c, art. 398 c.p.p., (Ndr.: testo originale non comprensibile) e art. 161 c.p.p. in quanto la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare con l’ordinanza, con la quale il GIP aveva accolto la richiesta di incidente probatorio e fissato l’udienza relativa, non era stata regolarmente notificata a D.A. ma solo comunicata a mezzo fax al suo difensore nè in atti si rinviene provvedimento di accompagnamento coatto ma solo invito a presentarsi dinanzi al GIP; – illogicità della motivazione che, nel valutare la mancata partecipazione all’incidente probatorio, l’ha considerata come prova a carico con conseguente violazione del principio dell’onere della prova; – inosservanza o erronea applicazione delle norme processuali ed illogicità della motivazione con violazione dei criteri di valutazione degli indizi ex art. 192 c.p.p. per aver ritenuto provata la partecipazione alla rapina per la sua semplice presenza presso l’abitazione del coimputato D.R. dopo la commissione del fatto, presenza che il GIP aveva considerato come indizio inidoneo a giustificare l’accoglimento della richiesta di misura cautelare; – contraddizione tra motivazione e gli atti del procedimento (travisamento della prova) per avere la sentenza impugnata dato per certa la presenza di D.A. nell’autovettura di D.R., per averlo identificato per la persona che aveva parlato con accento laziale, senza che dagli atti di indagine fosse risultato il suo modo di parlare ed in particolare il suo accento.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è inammissibile perchè l’eventuale irregolarità della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza di incidente probatorio costituisce nullità a regime intermedio, dedotta tardivamente per la prima volta con l’appello. Inoltre, dal controllo degli atti risulta che l’avviso di fissazione dell’udienza del 18.2.2008 dinanzi al GIP per procedere ad incidente probatorio per la nomina di perito fonico venne notificato non solo al difensore a mezzo fax (come affermato nel ricorso), ma anche a D.A., per come provato dal verbale dei Carabinieri della Stazione di Roma San Pietro, attestante la consegna presso il luogo di residenza, a mani della sorella convivente D.A.R. in data 13.2.2008, dell’invito a presentarsi, invito rimasto senza esito perchè all’udienza l’indagato era assente. Nominato il perito, avendo questi riferito che D.A. non si era presentato per rilasciare il saggio fonico, il 26.2.2008, su ordine del GIP, il Pubblico Ministero dette disposizione alla polizia giudiziaria per l’accompagnamento coattivo dinanzi al perito. Il 21.3.2008 i Carabinieri informarono di non aver trovato D.A., perchè si era reso non reperibile.

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Ed invero va ribadito che il comportamento dell’imputato prima, durante e dopo la commissione del reato (e, dunque, anche il comportamento in sede processuale) può essere preso in esame dal giudice per trame elementi di prova, ma a condizione che ciò non si risolva nell’inversione della regola sull’onere della prova e che l’esercizio stesso del diritto di difesa – sia pure attraverso la scorrettezza della menzogna – non venga sostanzialmente condizionato, il che invece avviene se si afferma che la menzogna difensiva, costituendo prova della verità del fatto dedotto dall’accusa, esonera questa dal provare positivamente il suo assunto (Cass. S.U. 21.10.1992-22.2.1993 n. 1653).

Nel caso in esame, per come risultante dagli atti e riferito al par.

1, D.A. si è deliberatamente sottratto all’accertamento fonico. Tale comportamento non può certo valere a ritenere provato che la voce del colloquiante sia la sua, ma è elemento del quale il giudice può tenere conto, in unione ad altri elementi indizianti, così come in concreto accaduto.

3. Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono infondati.

I giudici di merito hanno giustificato il convincimento di responsabilità in ragione non soltanto della presenza di D. A. sull’uscio di casa D.R., ma dell’ulteriore e significativo elemento che vi era stata una convocazione da parte di D.R. proprio dei complici. Questo elemento è stato espressamente posto in rilievo dalla sentenza impugnata: l’incontro a casa di D.R. non fu casuale ma conseguenza di esplicita convocazione.

L’affermazione contenuta in sentenza, per la quale la persona che a bordo del veicolo di D.R. parlava con inflessione dialettale laziale fosse D.A., è collocata in questo contesto motivazionale.

Va poi rammentato che "in tema di intercettazioni telefoniche, qualora l’imputato contesti l’identificazione delle persone colloquianti, non è indispensabile disporre una perizia fonica per il relativo accertamento, ben potendo il giudice trarre il suo convincimento da altri elementi che consentano di risalire all’identità degli interlocutori (Cass. Sez. 4, 22.2-22.4.2008 n. 16432; Cass. Sez. 6, 18.1-30.4.2008 n. 17619; Cass. Sez. 4, 18.10- 23.11.2007 n. 43409). Nel caso in esame la Corte territoriale ha tratto il convincimento che la persona che parlava in dialetto laziale alle ore 07.59 fosse il D.A. in ragione del suo luogo di nascita e di residenza ((OMISSIS)), del fatto che alle ore 08.40 si trovava, assieme a P., vicino all’ingresso della casa di D.R. dopo che questo (per come risultante sempre dall’intercettazione ambientale delle ore 07.59) aveva convocato i complici della tentata rapina proprio a casa sua.

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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