Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-05-2011) 30-06-2011, n. 25770

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Hanno proposto ricorso per cassazione, D.V., S. C., P.G., P.M. e P.F. S., avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 7.7.2010, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei loro confronti dal gup del locale Tribunale il 18.9.2009, all’esito di giudizio abbreviato, per i reati di rapina tentata e consumata, porto abusivo di oggetti atti ad offendere, ricettazione, furto, falsità personale, falso in carta di identità, porto ingiustificato di arnesi da scasso, così come agli stessi contestati ai capi 1), 2), 3), 4), 6), 7), 9), 12), 14), 15) della rubrica accusatoria.

2. Nell’interesse di D.V., il difensore deduce il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6. La Corte territoriale avrebbe ingiustificatamente svalutato, quanto alle attenuanti innominate, la confessione resa dall’imputato in ordine al reato di rapina di cui al capo 1), e avrebbe illogicamente negato la congruità dell’offerta risarcitoria dell’imputato ai fini della seconda attenuante, nonostante il fatto si fosse arrestato alla soglia del tentativo.

3. Analoghi motivi in punto di trattamento sanzionatorio sono svolti nel ricorso a favore di P.M.. I giudici territoriali nel negare le attenuanti generiche, non avrebbero considerato che la confessione dell’imputato avrebbe dovuto essere apprezzata non solo con riferimento alla sua effettiva influenza ai fini dell’accertamento dei fatti, ma anche come segno di ravvedimento dell’imputato; così come non avrebbero considerato lo stato di tossicodipendenza dell’imputato e le sue iniziative di pur parziale risarcimento del danno.

4. Il difensore di P.G. deduce il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza in ordine alla mancata riqualificazione del delitto di ricettazione di cui al capo 4) come concorso nel furto di cui al capo 5), attribuito al fratello M..

Che il furto fosse stato concertato da entrambi i fratelli, dovrebbe ritenersi per il comune coinvolgimento di entrambi in rapine eseguite lontano dal loro luogo di residenza, rispetto alle quali l’impiego di vetture rubate sarebbe stato specificamente funzionale; e dovrebbe a ritenersi anche in ragione del fatto che P.M., ammettendo il furto dell’autovettura in questione, non aveva precisato di avere agito all’insaputa del fratello.

5. Nel ricorso personalmente proposto, Pa.Fi.Sa. deduce, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza in ordine alla conferma nei suoi confronti del giudizio di responsabilità per il reato di ricettazione di cui al capo 4); dopo avere integralmente trascritto gli specifici motivi di appello sul punto, e il contenuto dell’annotazione di servizio del personale della squadra mobile della Questura di Torino dell’11.9.2008, il ricorrente lamenta in sostanza che gli sarebbero state attribuite condotte incompatibili con la sua lontananza dai luoghi e con la sua estraneità al disegno criminoso in funzione del quale era stata procurata l’autovettura oggetto del reato. In ordine al reato di falsità personale di cui al capo 6), deduce gli stessi vizi di legittimità in ordine all’affermazione della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, sottolineando di avere in un primo momento reso false dichiarazioni sulle proprie generalità, poi prontamente rettificate secondo verità, solo per le particolari circostanze del fatto, avendo egli temuto di potere essere tratto in arresto insieme al B.. Il fatto sarebbe comunque privo del requisito della effettiva offensività degli interessi tutelarti dalla norma incriminatrice. Al ricorso sono allegati numerosi atti processuali. P.G. ha fatto pervenire dichiarazione scritta per mezzo del suo difensore.

6. Nell’interesse di S.T.C., la difesa eccepisce ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), la manifesta illogicità della motivazione in ordine al ribadito giudizio di responsabilità del ricorrente per i reati di cui all’art. 648 c.p. (capo 9), L. n. 110 del 1975, art. 4 (capo 14) e art. 7070 c.p. (capo 15). Del tutto contraddittoriamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto "primario" il ruolo di palo del ricorrente nella programmazione della rapina in cui avrebbe dovuto essere impiegata l’autovettura ricettata; arbitraria la valutazione della sua consapevolezza circa la provenienza illecita di alcune autovetture e circa la presenza al loro interno di arnesi da scasso e di una mazza ferrata. Con un motivo subordinato, la difesa censura la logicità delle valutazioni della Corte territoriale in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, per l’inadeguato apprezzamento dell’atteggiamento processuale collaborativo dell’imputato e delle sue iniziative risarcitorie..

Motivi della decisione

7. I ricorsi sono manifestamente infondati.

Non merita particolare apprezzamento il motivo sulla qualificazione giuridica del fatto contestato dedotto dalla difesa di P. G.. La tesi del concorso dell’imputato nel furto dell’auto oggetto dell’imputazione di ricettazione di cui al capo 4) è fondata esclusivamente su presunte necessità logiche e sull’argomento, davvero evanescente, che nell’ammettere di aver consumato il furto P.M. non aveva dichiarato di avere agito all’insaputa del fratello. Il punto è che P.M. non ha formulato alcuna "positiva" chiamata di correo, e che G., come correttamente rilevano i giudici di appello, non ha mai fornito alcuna spiegazione delle circostanze in cui era venuto in possesso dell’auto. Irricevibili sono poi le dichiarazioni fatte pervenire da P.G. a questa Corte, nella misura in cui volessero introdurre nuovi elementi di prova in una fase processuale caratterizzata da preclusioni istruttorie di massima insuperabili.

8.1 motivi formulati da Pa.Fi.Sa. si rivelano del tutto inconsistenti, in ordine al reato di ricettazione di cui al capo 4, proprio nel confronto con il contenuto degli atti di indagine ampiamente riprodotti in ricorso, dai quali risulta il costante contatto dell’imputato con i complici nelle fasi dell’accertamento del reato.

Logicamente ineccepibili appaiono quindi le contrarie valutazioni della Corte territoriale, che ha convenientemente sottolineato anche la falsità personale commessa all’imputato nella stessa occasione.

Va aggiunto, in ordine a quest’ultimo reato, che la preoccupazione dell’imputato di essere coinvolto in operazioni di polizia giudiziaria riguardanti altri, non potrebbero in ogni caso possedere efficacia esimente. Del tutto soggettiva è infine la deduzione del ricorrente circa la concreta assenza di offensività del fatto di falso, e a nulla rileva il suo mancato coinvolgimento in una rapina attribuita al B..

9. Analoghe considerazioni valgono per il ricorso formulato a favore dello S., avendo i giudici di appello correttamente ribadito le valutazioni in punto di responsabilità espresse nei confronti del ricorrente nella sentenza di primo grado, molto più ampie e dettagliate delle contrarie, generiche e riduttive notazioni difensive. Peraltro, come bene notano i giudici di merito, il collante di tutti i fatti in contestazione è la programmata rapina ai danni di un ufficio postale di (OMISSIS) (capo 7), contestata anche allo S., e non investita dall’impugnazione di legittimità dello stesso ricorrente, rispetto alla quale i reati di cui ai capi 9), 14) e 15) dovevano essere all’evidenza (e prevedibilmente) strumentali. La questione sulla "primarietà" o meno del ruolo di "palo" del ricorrente è poi di nessun rilievo, considerato che, come si è accennato, la difesa nemmeno contesta la responsabilità del ricorrente per la tentata rapina.

10. Quanto ai motivi sul trattamento sanzionatorio proposti in subordine nell’interesse dello stesso S., e in via esclusiva nell’interesse di D.V. e P.M., si deve rilevare anzitutto la manifesta infondatezza delle deduzioni svolte dal difensore del D. in ordine alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6. Nel ricorso l’offerta risarcitoria è riferita solo al tentativo di rapina di cui al capo 7, mentre i giudici di appello sottolineano la ben maggiore entità del danno complessivamente riferibile a tutti i fatti di reato ascritti all’imputato, già tenuto conto anche soltanto del provento della rapina di cui al capo 1. In ogni caso, la somma offerta per l’episodio di cui al capo 7 fu accettata con riserva di ulteriori pretese risarcitorie da parte del direttore dell’ufficio postale interessato (pag 32 della sentenza di primo grado, esplicitamente richiamata sul punto dalle sentenza di appello). Per il resto, i giudici di appello hanno dato adeguatamente conto delle proprie valutazioni, sottolineando l’oggettiva gravità dei fatti e la negativa personalità degli imputati, tutti titolari di precedenti penali anche specifici. Avendo fornito l’indicazione degli elementi reputati decisivi nella scelta compiutaci giudice di appello ha quindi convenientemente giustificato il mancato accoglimento delle richieste degli imputati dirette ad una maggiore mitigazione della pena, avendole peraltro esplicitamente tenute presenti (sull’esercizio del potere discrezionale del giudice in ordine alla determinazione della pena, cfr. Cass. 27.2.1997, Zampilla; Cassazione penale, sez. 3, 05 novembre 2008, n. 46353; con specifico riferimento alla connotazione negativa della personalità dell’imputato come indice della gravità soggettiva del fatto, suscettibile di acquisire carattere assorbente rispetto alle deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame cfr. Cass. Pen., sez. 1A n. 6200 del 3.3.1992).

Le contrarie deduzioni difensive si risolvono quindi in alternative valutazioni di merito sull’opportunità di attribuire un peso più rilevante ad alcune piuttosto che ad altre circostanze del fatto o alla condotta successiva al reato tenuta dagli imputati. Alla stregua delle precedenti considerazioni, i ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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