T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 05-07-2011, n. 5922 Trasferimenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Sussistono i presupposti per la definizione immediata della causa e di ciò è stato fatto avviso alle parti.

Con il ricorso in esame, il ricorrente impugna il provvedimento emesso il 26 gennaio 2011, notificato il successivo 2 febbraio, con il quale l’intimata amministrazione gli ha negato il beneficio di cui all’art. 33, c. 5 della legge n. 104/1992.

L’Ufficio Generale del Personale della Marina Militare ha denegato il trasferimento di sede in quanto, tra l’altro, "allo stato attuale non sussiste il requisito dell’assistenza prestata alla persona diversamente abile; risulta l’esistenza di parenti che siano comunque in grado di sopperire alle esigenze del soggetto diversamente abile e/o prestano assistenza continuativa al medesimo congiunto o simili; (…); allo stato attuale, nella sede di Napoli, non ci sono posizioni organiche da ripianare previste per grado e categoria né posizioni QC (Qualsiasi categoria).

Si è costituito il Ministero della Difesa per mezzo dell’Avvocatura dello Stato che ha depositato memoria e documenti.

Il ricorso è infondato.

In punto di fatto, consta che l’assistita (Piccirillo Assunta) risiede a Napoli ed è la suocera del ricorrente.

Dalla documentazione versata in atti risulta che tutti i parenti in via diretta della "diversamente abile", residenti anch’essi a Napoli, si sono dichiarati nella impossibilità materiale di prestare assistenza alla signora.

In punto di diritto, queste le considerazioni del Collegio.

Ai fini dell’applicazione del beneficio previsto dall’art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’art. 19 legge 8 marzo 2000, n. 53 – che consente al lavoratore che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato di ottenere dalla propria amministrazione permessi retribuiti – è necessario che il lavoratore fornisca la prova dell’assistenza esclusiva e continua da lui solo prestata, soprattutto quando nell’ambito dei familiari vi siano più persone idonee a fornire l’aiuto necessario alla persona menomata (cfr. T.A.R. Lazio, Sezione I bis, 5 novembre 2002 n. 9695 e Sezione II, 4 settembre 2002, n. 7592; T.A.R. Puglia, Sezione I, 3 settembre 2002, n. 3828; T.A.R. Sicilia, Catania, 12 dicembre 2001, n. 2428).

L’eliminazione del requisito della convivenza operato dalla novella del 2000, ha rimarcato ancora di più la necessità dell’esclusività dell’assistenza, ribadendo, all’art. 20, la necessità dell’assistenza continua in via esclusiva, con l’effetto di ampliare senz’altro il numero dei casi nei quali il beneficio dell’avvicinamento di sede può essere esercitato ma, per altro verso, ha ristretto la categoria dei beneficiari, posto che solo il dipendente, unico parente o affine, entro il terzo grado, in grado di prestare l’assistenza necessaria, può richiederlo.

La norma richiamata non configura un diritto soggettivo di precedenza al trasferimento del familiare lavoratore, bensì una posizione di interesse pretensivo, consistente nella scelta della propria sede di servizio "ove possibile", finalizzato all’esigenza di tutela della persona portatrice di handicap.

Sul punto la normativa in materia opera un bilanciamento fra l’esigenza di tutelare il lavoratore onerato del dovere di assistenza di un familiare disabile e quella di garantire l’efficienza della prestazione lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o privato.

La ratio della norma è quella di tutela dei soggetti diversamente abili che non abbiano alcuna possibilità di assistenza all’infuori del lavoratore che richiede i benefici previsti dall’art. 33 della legge 104 del 1992, e che, dunque, ove vi siano più persone in grado di dividere gli oneri derivanti da questo dovere di solidarietà familiare, viene meno la necessità di derogare al normale svolgimento della prestazione lavorativa.

Anche dopo il venir meno del requisito della convivenza del familiare lavoratore con il disabile da assistere, è necessario che l’Amministrazione di appartenenza valuti ancor più rigorosamente l’esistenza dell’altro requisito richiesto dal citato art. 33 della legge n. 104/1992, vale a dire che sia dimostrata l’assistenza continua ed esclusiva del lavoratore che propone la domanda, soprattutto laddove nella medesima zona risiedano altri familiari idonei ad accudire la persona disabile.

Con il diniego impugnato sono state esposte in modo chiaro ed esaustivo le ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a respingere l’istanza avanzata dal ricorrente.

La motivazione del provvedimento gravato riconduce il diniego a più profili ostativi di cui almeno uno – requisito della esclusività – appare senz’altro autonomamente ostativo e, perciò, sufficientemente idoneo a sostenere il mancato accoglimento dell’istanza.

La suddetta motivazioni è pienamente condivisibile siccome compendiata nel profilo di carenza del requisito di esclusività comprovato dalla presenza (cfr documentazione in atti) di altri familiari del disabile (ben sei, escludendo il coniuge della assistita e la figlia Amalia, coniuge del ricorrente) obiettivamente (e non soggettivamente) in grado di prestare assistenza, residenti nel medesimo comune dell’assistita.

A tal fine, le dichiarazioni di altri familiari prodotte dal ricorrente per comprovare la sussistenza del requisito dell’esclusività non sono idonee a supportare un concreto ed effettivo stato di indisponibilità. Ed invero, la dimostrazione che figli e parenti della persona diversamente abile non sono in grado di occuparsi dell’assistenza per motivi di lavoro, per proprie esigenze familiari, per non avere più contatti con la persona bisognevole di assistenza ovvero per disinteresse personale (Sgambati Vincenzo, il quale non avrebbe fornito risposta alla richiesta di assistenza) non può, infatti, trovare attuazione per mezzo di semplici dichiarazioni di carattere formale, attestanti impegni, esigenze e/o scelte di vita di carattere ordinario e comune, bensì necessita della produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psicofisici (comprovati solo per il coniuge del ricorrente ed il marito dell’assistita) connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare, nel contemperamento delle posizioni dei soggetti interessati.

L’analisi della situazione familiare del ricorrente non rivela, al dunque, condizioni tali da escludere che il disabile possa essere adeguatamente assistito – anche a turno nella giornata – da altri, suoi familiari; parenti che, vivendo nello stesso comune o vicinanze dell’assistito, non possono sottrarsi ai doveri di mutua assistenza – incombenti sui soggetti legati da vincoli di parentela e/o affinità – mediante allegazione di mere dichiarazioni di indisponibilità a provvedervi che, in relazione alla portata delle motivazioni addotte (essenzialmente legate a status di carattere ordinario, privi di elementi di eccezionalità), appaiono finalizzate ad individuare nella ricorrente l’unico soggetto disposto a prestare assistenza all’infermo.

Non può essere, poi, obnubilata la circostanza che, proprio a causa del venir meno del requisito della convivenza ad opera dell’art. 20 della legge n. 53 del 2000, l’Amministrazione è tenuta a valutare più rigorosamente l’indisponibilità di altri familiari, come anche l’esistenza del requisito dell’assistenza continuativa (cfr. C.d.S., Sez. IV, 7 febbraio 2001, n. 898).

In linea con tale orientamento s’appalesa l’inadeguatezza delle dichiarazioni fornite dal ricorrente ove si consideri che la situazione familiare del disabile, complessivamente considerata, dimostra inequivocabilmente la presenza di altri familiari in grado di accudirlo.

In definitiva, la motivazione del provvedimento, afferente la valutazione negativa della sussistenza del requisito soggettivo dell’esclusività, è idonea a dare conto della sussistenza di un fattore preclusivo alla concessione del beneficio.

Va soggiunto, che anche il requisito della continuità appare non sussistente in atti per non essere stata fornita, dal ricorrente, alcuna prova al riguardo.

Ad ogni modo, come sopra chiarito, anche soltanto la carenza del primo dei suddetti requisiti (mancanza dell’esclusività) è sufficiente a supportare l’impugnato provvedimento.

Per quanto sopra argomentato, il ricorso è destituito di giuridico fondamento e, perciò, meritevole di reiezione mentre le spese di giudizio, liquidiate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di giustizia che liquida in Euro 1.500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *