Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-04-2011) 30-06-2011, n. 25766

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Ancona con sentenza del 14.1.2010 confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno di condanna del ricorrente per il reato di ricettazione alla pena di mesi dieci e gg.

20 di reclusione.

Nel corso di una perquisizione a carico del ricorrente veniva rinvenuto un timbro di gomma riportante la dicitura "il dirigente responsabile della medicina di base dott.ssa B.M.L.", sottratto all’Asl di (OMISSIS) ove la B. aveva prestato servizio sino al (OMISSIS).

Nel ricorso si ribadisce l’eccezione di incompetenza territoriale già dedotta; la sottrazione era avvenuta in (OMISSIS).

Con il secondo motivo si rileva che non era emerso che il timbro fosse stato rubato. Anzi era emerso che il timbro era stato distrutto ed era stato trovato un timbro solo simile ma non identico. Mancava ogni elemento in ordine al dolo della pretesa ricettazione e l’ipotesi era di lieve entità.

Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa la prima doglianza la Corte di appello ha già risposto: nessun valore può assumere ai fini dell’accertamento della competenza territoriale in ordine al reato di ricettazione il luogo ove è avvenuta la sottrazione del bene. Pertanto non essendo noto, invece, il luogo ove lo stesso è stato ricevuto, correttamente si è fatto ricorso al criterio sussidiario di cui all’art. 9 c.p.p..

Le doglianze di cui al secondo motivo sono di mero fatto; i giudici di merito hanno già accertato che il timbro è stato oggetto di furto come emerge anche dalla relativa denuncia. Che il timbro non fosse utilizzabile è una mera allegazione priva di riscontri; così come va esclusa, secondo la Corte territoriale, che si possa ritenere il fatto di lieve entità essendo con ogni probabilità il detto timbro destinato a commettere ulteriori reati. La motivazione appare congiura e logicamente coerente; mentre le censure sono di mero fatto e del tutto generiche.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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