Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-04-2011) 30-06-2011, n. 25852 Uso personale

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Svolgimento del processo

D.A. chiedeva al Tribunale di Reggio Emilia di applicare, in veste di giudice dell’esecuzione, l’istituto della continuazione ai reati di rapina, per i quali era stato condannato con sentenze passate in giudicato, commessi a causa del suo stato di tossicodipendenza nel 2005 e nel 2007, e segnatamente a Barletta il 4.1.2005; a Stornarella il 14.1.2005; a Barletta il 31.5.2005; a Reggiolo il 31.1.2007; a Barberino del Mugello il 5.2.2007.

Il Tribunale, con ordinanza in data 8.4.2010, rigettava la richiesta, ritenendo che non fosse ravvisabile un unitario disegno criminoso, in quanto le diverse rapine non apparivano strumentali ad un fine specifico e determinato nè commesse in attuazione di una originaria deliberazione.

Il richiedente non aveva indicato quale fosse lo scopo unitario dei reati che aveva chiesto di unificare con il vincolo della continuazione, limitandosi a sottolinearne la comune oggettività giuridica e la contiguità spazio-temporale. Quanto allo stato di tossicodipendenza, anche se ne avesse compiutamente dimostrato la sussistenza già al tempo dei fatti, non renderebbe necessariamente configurabile la continuazione, non potendosi ravvisare l’unitarietà del disegno criminoso.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone l’annullamento, poichè al giudice era stato puntualmente indicato e provato – oltre all’omogeneità dei reati e alla contiguità spazio temporale – il motivo che aveva determinato la commissione degli stessi reati, cioè lo stato di tossicodipendenza del D..

Il Tribunale non aveva tenuto conto della modifica legislativa dell’art. 671 c.p.p., che aveva espressamente indicato lo stato di tossicodipendenza fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato. Aveva addirittura negato la continuazione tra le ultime due rapine, commesse a soli cinque giorni di distanza l’una dall’altra.

Motivi della decisione

Con nota in data 30.3.2011 trasmessa a questa Corte, l’avv. Rosario Marino, difensore di fiducia di D.A., ha dichiarato di rinunciare al ricorso de quo per sopravvenuta carenza di interesse.

La rinuncia al ricorso, non provenendo dalla parte personalmente e non risultando il conferimento al difensore di procura speciale a rinunciare alle impugnazioni, non è valida ed è quindi priva di effetti.

Il ricorso, peraltro, deve essere dichiarato inammissibile.

Nell’ordinanza impugnata sono stati presi in esame gli elementi dai quali può essere desunta l’esistenza di un unitario disegno criminoso riferibile ai reati in questione. In particolare, si è considerato l’elemento cronologico, la contiguità spaziale e la medesima oggettività giuridica.

Con giudizio di fatto – non sindacabile in questa sede, poichè risulta immune di vizi logico giuridici – il Tribunale di Reggio Emilia ha ritenuto che dal complesso degli elementi non emergesse lo scopo unitario che avrebbe dovuto unificare i singoli delitti, scopo neppure indicato per accenni dal ricorrente. L’ordinanza impugnata ha considerato anche lo stato di tossicodipendenza del ricorrente, osservando, da un lato, che lo stesso non fosse riferibile all’epoca di commissione dei reati, e, dall’altro, che comunque non sarebbe di per sè sufficiente a configurare la continuazione, in mancanza dell’unitarietà del disegno criminoso.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 2000), al versamento della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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