Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-01-2011) 30-06-2011, n. 25841

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del 11 dicembre 2009 la Corte d’appello di Roma, seconda sezione penale, in riforma del decreto del 21 maggio 2008 del Tribunale di Roma, che aveva rigettato la richiesta di revoca del provvedimento di confisca di cui al decreto della medesima sezione del 25 novembre 2003, divenuto irrevocabile il 7 febbraio 2006, emesso nei confronti di D.M., D.S. e D.F. e dei terzi interessati T.M., D.B., C.M.P., D.F., N.S., S.F., C.A. e M. M., e da tutti appellato, ha revocato la confisca dei preziosi custoditi nella cassetta di sicurezza n. (OMISSIS), accesa a nome di T.M. e D.B. presso la Banca di Roma, agenzia n. (OMISSIS) (ovvero nella sua attuale denominazione), ordinandone il dissequestro e la restituzione alle due indicate aventi diritto, e ha confermato nel resto il decreto.

1.1. La Corte argomentava la decisione, osservando che:

– con decreto del 25 novembre 2003 il Tribunale di Roma, ritenuta la pericolosità dei proposti, D.M., D. S. e D.F., aveva applicato agli stessi la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per la durata di anni tre, e aveva disposto la confisca dei beni indicati nel decreto presidenziale di sequestro anticipato del 3 dicembre 2001, in parte intestati a terze persone ( T.M., D.B., C.M.P., D.F., N.S., S.F., C.A. e M. M.), sul rilievo che l’ampia disponibilità di liquidità, beni e quote societarie non era ricollegabile ad attività lavorativa concretamente svolta, nè era giustificabile sulla base della situazione patrimoniale prospettata dal consulente, in difetto di documentazione ufficiale delle tre donazioni allegate e per essere la ricostruzione difensiva fondata su simulazioni del fabbisogno familiare annuale e del rendimento ottimale dei titoli, senza prova analitica.

I terzi interessati dalla confisca erano in parte coimputati nel procedimento di associazione per delinquere, finalizzata all’usura e al riciclaggio, e in altri reati; in ogni caso, i loro cespiti erano sproporzionati ai redditi dichiarati o all’attività lavorativa svolta, e alcuni di essi erano sicuramente prestanomi;

– con decreto del 21 gennaio 2005 la stessa Corte d’appello, su appello dei proposti e di alcuni terzi interessati, aveva ritenuto gli appelli in parte fondati per la misura patrimoniale, sul rilievo che la confisca non poteva essere estesa all’intero patrimonio prescindendo dalla data di formazione delle sue componenti e che, dovendosi collocare nel 1990 la data di inizio delle attività delittuose dei proposti, come dedotto dallo stesso Pubblico Ministero, la confisca andava limitata ai beni pervenuti alle famiglie D. dopo il (OMISSIS). Prima di tale periodo, tuttavia, le famiglie dei proposti D.M. e D.S. non avevano ingenti capitali provenienti dai rispettivi genitori come assunto, nè vi era la prova che il patrimonio non fosse derivato dall’attività usuraia. Poteva, quindi, essere riconosciuta solo la compatibilità degli acquisti di veicoli di modesto valore con i proventi delle attività lecite. Riguardo ai terzi interessati, le cui posizioni erano state devolute al giudice d’appello, era risultato il coinvolgimento delle mogli dei proposti, T.M. e C.M.P.; era sicuramente prestanome S.F., mentre non era risultato tale C.M.;

– il decreto della Corte d’appello era divenuto irrevocabile con la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione con sentenza di questa Corte del 7 febbraio 2006;

– D.M., D.S. e D. F. avevano, in seguito, presentato istanza di revoca, L. n. 1423 del 1956, ex art. 7, della misura di prevenzione patrimoniale applicata nei loro confronti con riferimento a diverse unità immobiliari, disponibilità finanziarie e patrimoniali e preziosi, deducendo che, solo dopo l’individuazione del periodo sospetto da parte della Corte, era stato utile e necessario rintracciare le prove della provenienza dei beni in epoca antecedente al 1990, e chiedendo la rivalutazione della nuova documentazione anche fotografica acquisita e delle risultanze della relazione del consulente di parte P.;

– secondo il Tribunale la nuova documentazione difettava del requisito della novità, ovvero era stata implicitamente valutata dai giudici di merito o, comunque, era ininfluente ai fini della sussistenza della confisca, e i ricorrenti si erano avvalsi, fin dal primo giudizio, di un consulente che aveva esaminato tutta la situazione, e avevano prodotto tutto il materiale stimato idoneo a provare, in via generale e a prescindere da qualsiasi sbarramento temporale, la riferibilità personale delle singole consistenze patrimoniali e le modalità della loro acquisizione. In particolare, le foto dei preziosi non davano elementi utili e tutta la documentazione offerta per le varie consistenze patrimoniali era stata già esaminata nel precedente giudizio, mentre non si traevano elementi di novità dalla consulenza di parte P. e la documentazione prodotta era comunque parziale e non decisiva per provare gli assunti.

1.2. Secondo la Corte, la difesa aveva effettivamente dedotto elementi nuovi rispetto a quelli acquisiti e valutati nel procedimento definito con l’applicazione delle misure personali e patrimoniali; fondandosi la consulenza P. su nuovi dati e nuovi documenti mai acquisiti nel procedimento.

Era, tuttavia, meritevole di accoglimento solo la deduzione del gravame riguardante i preziosi custoditi nella cassetta di sicurezza n. (OMISSIS), accesa a nome di T.M. e D. B. presso la Banca di Roma, attesa la compatibilità degli acquisti (il cui valore era stato stimato in circa centomila Euro) con i proventi delle attività lecite, come già si era ritenuto con riguardo alla revoca della confisca per i veicoli.

Per l’estratto conto del deposito titoli, la cui provvista era stata indicata come antecedente al 1990, non erano ritenuti fondati i rilievi svolti dal consulente di parte, avuto riguardo alla "datazione dei fogli entrata titoli" e alla scadenza degli stessi, che ne escludevano la rilevanza nell’ambito del periodo antecedente a quello fissato come sospetto, decorrente dal 1990.

Con riguardo ad alcuni immobili, oggetto dei rilievi difensivi, il gravame, ad avviso della Corte, era fondato sul "discutibile presupposto" della sufficienza, ai fini della revoca, della possibilità di esclusione di alcune componenti di reddito impiegate nelle varie acquisizioni, ed era partito dal principio per cui le misure di carattere patrimoniale, avendo carattere preventivo, non sanzionano l’attività precedente, impedendo l’utilizzazione o il reimpiego del denaro e dei beni di lecita provenienza. Tale principio non era condiviso dalla Corte, che, invece, aderiva senza riserve al principio per cui la confisca poteva riguardare anche beni acquistati prima dell’accertato inizio della pericolosità soggettiva, fondata su fatti e situazioni che si svolgevano e si manifestavano nel tempo, richiedendo la legge l’accertamento della pericolosità del soggetto e, quindi, la verifica della legittima acquisizione del suo patrimonio.

1.3. Restavano validi, alla luce degli indicati principi, i rilievi di cui al decreto precedente della stessa Corte del 21 gennaio 2005, essendo risultate, in ogni caso, provate "l’imponente liquidità" manifestata dagli appellanti negli anni ’90 con la quasi contestuale erogazione di imponenti finanziamenti, la "modesta consistenza effettiva" dei proventi delle attività lecite (tabaccherie e attività di antiquariato) e la "sostanziale inapprezzabilità" dell’ipotizzata disponibilità da parte dei D., già negli anni ’80, di consistenti somme di denaro, a fronte degli investimenti immobiliari fatti alla fine dei detti anni.

1.4. Non ricorrevano, pertanto, gli estremi per la chiesta revoca totale della misura patrimoniale. Nè rilevava la questione prospettata dalla difesa, a mezzo memoria successiva alla proposizione del gravame, in merito alla intervenuta abrogazione della L. n. 55 del 1990, art. 14, da parte del D.L. n. 92 del 2008, dell’art. 11-ter, e alla esclusione del reato di usura tra i reati cui era applicabile la misura patrimoniale, poichè, dopo il detto intervento normativo, le misure patrimoniali erano applicabili nei confronti di tutti i soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi e traenti abitualmente, anche in parte, le proprie risorse da proventi illeciti.

2. Avverso la suddetta decisione hanno proposto ricorso per cassazione, D.M. e D.F. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Fabio Rocco, e D.S. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Antonio Raffaele Greco.

2.1. D.M. e D.F., dopo aver ripercorso i provvedimenti intervenuti nella vicenda prima del decreto oggetto di impugnazione e puntualizzato le considerazioni in fatto e in diritto del decreto della Corte d’appello del 10 gennaio 2005 (definitivo a seguito della sentenza di questa Corte del 7 febbraio 2006), hanno dedotto che, con detto decreto, la Corte aveva riformato il primo decreto dove appariva plateale la violazione della normativa di prevenzione, senza approfondire la valutazione della consistenza e della provenienza del patrimonio complessivo dei proposti in epoca antecedente e successiva al 1990.

I ricorrenti hanno, quindi, richiamato le argomentazioni sviluppate a sostegno della richiesta di revoca della misura di prevenzione patrimoniale, presentata ai sensi della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, (i beni erano entrati a far parte del loro patrimonio prima del periodo sospetto, come da "nuove e rilevanti" prove documentali e nuova consulenza tecnica del dott. P.); quelle poste dal Tribunale a fondamento del disposto rigetto (le nuove prove nulla aggiungevano rispetto alle precedenti decisioni; al loro reperimento la difesa era giunta dopo che era stato individuato il periodo sospetto; nel corso del giudizio la difesa aveva già depositato copiosa documentazione e approfondita relazione); quelle poste a fondamento dell’appello (il disposto dell’indicato art. 7 si fondava sulla sopravvenienza di nuove prove, comprese quelle non valutate in precedenza, e la consulenza P., non esaminata, si fondava su nuovi dati e nuovi documenti), e, ribaditi i limiti del sindacato di questa Corte in materia, hanno rilevato che il decreto impugnato è affetto dalla "patologia giuridica" richiesta per l’ammissibilità del ricorso, per essere l’apparato argomentativo del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo a esprimere l’iter logico seguito dal giudice.

Per dimostrare l’eccepito vizio del decreto impugnato i ricorrenti hanno sottolineato la giuridica inaccettabilità della tesi sostenuta in decreto di non individuare e circoscrivere il periodo sospetto, e hanno contro dedotto alle deduzioni svolte in decreto in ordine ai singoli immobili (siti in (OMISSIS)), per i quali si era sostenuta la provenienza della provvista antecedente al 1990.

Nè, ad avviso dei ricorrenti, erano sussistenti i presupposti per l’applicazione della L. n. 125 del 2008, quale letta da questa Corte, essendo la posizione di D.F., totalmente incensurato prima della vicenda in esame, ancora sub iudice.

2.2. D.S., dopo aver ripercorso i provvedimenti intervenuti nella vicenda prima del decreto oggetto di impugnazione e puntualizzato le considerazioni in fatto e in diritto del decreto della Corte d’appello, ha denunciato violazione di legge e vizio della motivazione deducendo:

– di avere chiesto la revoca della confisca dell’appartamento di (OMISSIS), acquistato con atto pubblico nel (OMISSIS), a seguito del contratto preliminare del (OMISSIS), del versamento di parte del prezzo (pari a lire sessantanove milioni), in più rate, prima del (OMISSIS), e del conseguimento della disponibilità del bene in epoca anteriore alla detta data;

– che la L. n. 575 del 1965, art. 2-ter non prevede che siano sequestrabili e, poi, confiscabili i beni pervenuti nel patrimonio del soggetto, in seguito sottoposto a misura di prevenzione, prima che lo stesso abbia commesso un reato;

– la Corte in modo illogico non ha disposto la restituzione dell’acconto versato in periodo non sospetto, determinando una "locupletazione ingiustificata", in favore dell’ente statale assegnatario dell’immobile in virtù della confisca e in danno di esso ricorrente, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..

3. Il Procuratore presso questa Corte ha depositato il 20 luglio 2010 lunga e articolata requisitoria concludendo per l’inammissibilità dei ricorsi.

4. Con nota del 24 gennaio 2011, il difensore dei ricorrenti D.M. e D.F. ha depositato copia della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4683 del 15 giugno 2010, che ha definito, nelle more del processo, tutti i fatti per i quali erano state disposte nei confronti degli stessi le misure di prevenzione patrimoniale.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono manifestamente infondati.

2. Questa Corte ha più volte affermato che il provvedimento di confisca deliberato ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2- ter, comma 3, è suscettibile di revoca ex tunc a norma della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, comma 2, su iniziativa di chi ha partecipato al procedimento di prevenzione o sia stato in condizione di prendervi parte, potendo, invece, chi non sia stato chiamato a prendervi parte, e comunque non vi abbia preso parte, far valere l’inefficacia della confisca nei suoi confronti mediante l’incidente di esecuzione. La detta revoca suppone che sia accertato, sulla base di elementi nuovi sopravvenuti, che il provvedimento di confisca, divenuto definitivo, sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. U, n. 57 del 19/12/2006, dep. 08/01/2007, Auddino, Rv. 234956).

L’irreversibilità dell’ablazione, pertanto, non impedisce di accertare l’originaria insussistenza dei presupposti che l’hanno determinata e di procedere, ricorrendo le altre condizioni, alla restituzione del bene confiscato all’avente diritto o a forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale dallo stesso ingiustificatamente subita.

2.1. Muovendosi la revoca della confisca definitiva di prevenzione nello stesso ambito della revisione del giudicato penale di condanna, questa Corte ha anche sottolineato che, con l’istanza di revoca, non possono rimettersi in discussione atti o elementi già considerati nel procedimento di prevenzione, o in esso deducibili, e che per prove nuove devono intendersi, ai sensi dell’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c), non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neppure implicitamente. In particolare, non costituisce prova nuova una diversa valutazione tecnico-scientifica di dati già valutati, che si tradurrebbe in una mera modalità ricostruttiva e in un apprezzamento critico di emergenze oggettive già conosciute e delibate nel procedimento, in violazione del principio della improponibilità nel giudizio di revisione di ulteriori prospettazioni di situazioni già note e contestate (sez. 1, n. 36224 del 22/09/2010, dep. 11/10/2010, Fama e altro, Rv. 248296; Sez. 2, n. 25577 del 14/05/2009, dep. 18/06/2009, Lo Iacono, Rv. 244152; Sez. 1, n. 21369 del 14/05/2008, dep. 28/05/2008, Provenzano, Rv. 240094;

Sez. 2, n. 5494 del 12/12/1994, dep. 12/04/1995, Muffari, Rv. 201111;

Sez. 3, n. 1875 del 14/09/1993, dep. 15/10/1993, Russo, Rv. 196273).

In questo contesto, gli elementi da dedurre a fondamento della richiesta di revoca devono essere diretti a dimostrare l’insussistenza di uno o più dei presupposti del provvedimento reale e pertanto, in primo luogo, la pericolosità del proposto, ma anche, unitamente o separatamente, la disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il valore sproporzionato della cosa al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di profitti illeciti.

3. Il provvedimento impugnato appare conforme ai detti principi giuridici, avendo, correttamente interpretando le norme e puntualmente richiamando le circostanze di fatto, evidenziato, con appropriato iter logico-argomentativo, che i dati e i documenti sui quali si è fondata la nuova consulenza, in quanto mai acquisiti nel procedimento definito con l’applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, potevano essere considerati nuovi, senza, tuttavia, incidere sui presupposti della misura patrimoniale, che la Corte ha revocato limitatamente ai preziosi per la ritenuta loro compatibilità con le entrate lecite delle famiglie D..

Le valutazioni della Corte hanno riguardato con ampiezza di richiami alle emergenze acquisite e con motivazione rigorosa:

– l’estratto conto del deposito titoli, al cui riguardo sono state evidenziate emergenze non in linea con l’assunto difensivo, evidenziato dal consulente di parte sulla base del documento sub 12 degli allegati all’istanza di revoca, e riguardanti la datazione dei due "fogli entrata titoli" (27 febbraio 1991) e la scadenza degli stessi (maggio 1992);

– taluni degli immobili confiscati, oggetto dei rilievi dei proposti gravami (appartamento in (OMISSIS)), al cui riguardo si è evidenziata sia la discutibilità della sufficienza ai fini della revoca della possibile esclusione di alcune componenti di reddito impiegate nelle varie acquisizioni, sia la necessità della verifica, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte (Sez. 2. n. 2717 del 08/04/2008; Sez. U., n. 920 del 17 dicembre 2003, Montella), della legittima acquisizione del patrimonio da parte del soggetto, del quale sia stata accertata la pericolosità, a prescindere dalla considerazione del dato cronologico dell’acquisto del bene in rapporto al momento dell’accertamento della pericolosità;

– il rilievo della "imponente liquidità" manifestata dagli appellanti negli anni ’90 con la quasi contestuale erogazione di imponenti finanziamenti, la "modesta consistenza effettiva" dei proventi delle attività lecite (tabaccherie e attività di antiquariato) e la "sostanziale inapprezzabilità" dell’ipotizzata disponibilità da parte dei D., già negli anni ’80, di consistenti somme di denaro, a fronte degli investimenti immobiliari fatti alla fine dei detti anni, probativi "a tutto concedere" dello spessore degli elementi posti a fondamento dei provvedimenti di confisca già adottati e definitivi.

4. A fronte di detto articolato iter motivo, ricostruttivo degli elementi afferenti agli indicati beni, i ricorrenti, legittimati a proporre la revoca per aver partecipato al procedimento di prevenzione, lamentano, genericamente deducendo l’incorsa violazione di legge, l’incongrua delibazione compiuta dalla Corte di merito, con il provvedimento impugnato, in ordine alla insussistenza dei presupposti della revoca della misura di prevenzione patrimoniale, prevista dalla L. n. 1423 del 1956, art. 7, a essi già definitivamente applicata.

I ricorrenti, in particolare, censurano la non corretta valutazione della novità degli elementi apportati con la documentazione prodotta a fondamento delle loro doglianze. Essi, che hanno richiamato le decisioni assunte nei loro confronti nel procedimento definito con la confisca dei beni sottoposti a misura di prevenzione patrimoniale, divenuta definitiva a seguito della declaratoria di inammissibilità dei ricorsi da parte di questa Corte con sentenza del 7 febbraio 2006, hanno affidato il novum delle loro prospettazioni agli esiti della nuova consulenza di parte, svolta da diverso consulente, e alla lettura di tali esiti avendo riguardo alla data di inizio delle loro attività delittuose.

Le doglianze svolte, pur prospettate come deduzioni dimostrative della illegittimità e inadeguatezza della motivazione, sono censure di merito e generiche, ripetitive delle osservazioni in fatto svolte con l’appello con riguardo ai cespiti immobiliari o meramente assertive, nelle variazioni delle dette osservazioni, con riguardo a tempi e modalità di pagamento dei beni confiscati e al loro valore.

Tali doglianze, volte a prospettare una ricostruzione alternativa delle risultanze processuali rispetto a quella, esaustivamente e logicamente offerta dai giudici di merito, e a opporre una diversa interpretazione dei dati fattuali, una diversa valutazione della loro concludenza e una loro rilettura in diversa chiave prospettica, sono pertanto inammissibili in questa sede di legittimità.

Nè un supporto alle censure dei ricorrenti può trarsi dalla sentenza della Corte d’appello di Roma del 15 giugno 2010, depositata con nota del 24 gennaio 2011. Tale sentenza, che ha dichiarato estinti per prescrizione i reati di usura contestati ai ricorrenti e la nullità della sentenza del Tribunale di Roma del 5 aprile 2007 nei confronti di D.F., astrattamente ricevibile in questa sede perchè successiva alla decisione impugnata e alla proposizione dei ricorsi (Sez. 3, n. 445 del 21/11/1997, dep. 15/01/1998, Fabbri, Rv. 209250), non solo non è definitiva, ma non è rilevante ai fini della pronuncia, avuto riguardo all’oggetto del giudizio.

5. Il ricorrente D.S. ha anche dedotto che il Giudice di merito, non accogliendo la richiesta di restituzione dell’immobile sito in (OMISSIS), al quale aveva limitato la sua richiesta di revoca della misura patrimoniale, avrebbe dovuto disporre in suo favore e a carico dell’ente statale, assegnatario dell’immobile in virtù della confisca, la restituzione dell’acconto versato prima del 1990 e della stessa data di stipulazione del contratto preliminare (23 febbraio 2009), per essersi in tal modo determinata una locupletazione ingiustificata dell’ente ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..

5.1. Non risulta che la censura sia stata sottoposta all’esame del Tribunale e poi della Corte d’appello con i motivi ritualmente proposti.

5.2. Deve rilevarsi che il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609 c.p.p., comma 1, che ribadisce in forma esplicita un principio già enuclearle dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti, funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata e all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.

La correlazione di detta disposizione con quella dell’art. 606 c.p.p., comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello, impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, dep. 15/09/1999, Piepoli, Rv. 213981; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214793), a meno che non si tratti di deduzioni di pura legittimità o di questioni di puro diritto insorte dopo il giudizio di secondo grado in forza di ius superveniens o di modificazione della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio o additivo della Corte costituzionale (Sez. 1, n. 2378 del 14/11/1983, dep. 17/03/1984, Guner Cuma, Rv.

163151; Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003, dep. 06/02/2004, Crisaiolo e altri, Rv. 229373).

5.3. Alla stregua di detti rilievi, la doglianza non dedotta in precedenza, è, pertanto, aspecifica e come tale inammissibile.

6. I ricorrenti D.M. e D.F. hanno anche richiamato la censura sottoposta alla Corte d’appello con la memoria difensiva e attinente all’incorsa violazione di legge per l’intervenuta abrogazione della L. n. 55 del 1990, art. 14, da parte del D.L. n. 92 del 2008, art. 11-ter, convenuto nella L. n. 125 del 2008, e alla esclusione del reato di usura tra i reati cui è applicabile la misura patrimoniale, e hanno dedotto l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione a D.F., incensurato prima della vicenda processuale ancora sub iudice, della misura patrimoniale, prevista dopo il detto intervento normativo nei confronti dei soggetti pericolosi in quanto ritenuti abitualmente dediti a traffici illeciti o ad attività delittuose da cui traggono i mezzi di vita.

6.1. Non sussiste la dedotta violazione di legge.

6.2.Questa Corte ha, infatti, affermato che le misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca sono applicabili, a seguito della novella del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 11-ter, convertito nella L. 24 luglio 2008, n. 125, e in dipendenza della espansione, per effetto di detta abrogazione, dell’ambito di operatività della norma generale di cui alla L. 22 maggio 1975, n. 152, art. 19, a tutti i soggetti che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi o che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, compresi nelle categorie delle persone pericolose previste alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, nn. 1 e 2 (Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, dep. 09/04/2010, Cagnazzo e altri, Rv. 246272; Sez. 2, n. 33597 del 14/05/2009, dep. 01/09/2009, P.G. in proc. Monticelli e altri, Rv. 245251; Sez. 1, n. 26751 del 26/05/2009, dep. 01/07/2009, P.G. e altro in proc. De Benedittis, Rv. 244789).

La richiesta di revoca ex tunc della confisca disposta nel procedimento di prevenzione deve essere esaminata con riferimento alla legge vigente al momento della decisione, sicchè, entrato in vigore il predetto D.L. n. 92 del 2008, il mantenimento della misura patrimoniale è reso legittimo dalla pericolosità generica del soggetto, connessa alla sua appartenenza alle categorie predette, ancorchè sia stata esclusa la sua pericolosità qualificata (Sez. 1, n. 26751 del 26/05/2009, dep. 01/07/2009, P.G. e altro in proc. De Benedittis, Rv. 244790).

6.3. Nel caso di specie l’esclusione della pericolosità dell’istante, qualificata dalla commissione del reato di usura ai fini della confisca, e la permanenza della generica pericolosità dello stesso già accertata in via definitiva con l’intervenuta applicazione della misura di prevenzione personale, non oggetto di richiesta di revoca, per l’appartenenza alle predette categorie, fa apparire legittimo il mantenimento della misura nel concorso delle altre circostanze già a suo tempo accertate, senza che rilevi che l’indicata modifica normativa sia sopravvenuta alla data di applicazione della misura, dovendo applicarsi alla richiesta di revoca ex tunc della confisca, disposta nel procedimento di prevenzione, ai sensi dell’art. 200 cod. pen., la legge vigente al momento della decisione sulla richiesta di revoca.

7. Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè la condanna di ciascuno – valutato il contenuto dei motivi di ricorso e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, di Euro 1.000 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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