Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-11-2011, n. 24101 Risoluzione del contratto per inadempimento

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Svolgimento del processo

B.A., con atto notificato in data 5.12.90, citò al giudizio del Tribunale di Pistoia C.M.G. al fine di sentir dichiarare l’avvenuta risoluzione del contratto preliminare del 6.7.99 prevedente la compravendita di un immobile sito in (OMISSIS) entro il termine del 30.3.90, poi prorogato al 15.11.90, per inadempimento del convenuto, promissario acquirente, rimasto inottemperante alla diffida a stipulare l’atto pubblico traslativo intimatagli il 5.10.90.

Costituitosi il convenuto, conte sto la domanda addebitando alla controparte l’inadempienza, in considerazione della quale avvalendosi della facoltà di cui all’art. 1460 c.c. si era rifiutato di stipulare il contratto definitivo, al riguardo deducendo che l’impianto di smaltimento delle acque dell’appartamento non era conforme, nonostante l’espressa garanzia contrattuale, al regolamento sanitario locale, e su tali premesse chiese in via riconvenzionale, pronunziarsi il trasferimento dell’immobile ex art. 2932 c.c., con condanna dell’attore all’esecuzione dei lavori di adeguamento del suddetto impianto, successivamente offrendo, e poi depositando con libretti bancari, il saldo del prezzo dell’importo di L. 80.000.000.

Disposta ed espletata consulenza tecnica, con sentenza n. 571/03 l’adito tribunale respinse la domanda principale ed accolse la riconvenzionale, con condanna dell’attore alle spese di lite.

All’esito dell’appello proposto dal B., resistito dal C., con sentenza del 13.5.05 la Corte di Firenze confermò la suesposta decisione di merito, ribadendo la legittimità del rifiuto di adempimento ex art. 1460 c.c. del promissario acquirente, in ragione dell’accertata inadempienza del promittente venditore dell’obbligazione di dotare l’immobile di idoneo impianto di smaltimento e confermando, sulla scorta della corrente giurisprudenza di legittimità, ‘adeguatezza, ai fini della domanda ex art. 2932 c.c., dell’offerta del saldo, eseguita con le modalità sopra riferite;ritenne, tuttavia, la corte, così accogliendo in parte il gravame, che il comportamento del C., il quale solo in sede di giudizio aveva palesato le ragioni del proprio rifiuto di stipulare l’atto definitivo, giustificassero la totale compensazione delle spese del giudizio, sia per il primo, sia per il secondo grado.

Contro la suddetta sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Ha resistito il C. con controricorso, contenente ricorso incidentale.

Il ricorrente principale ha depositato una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione di ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 1460 c.c., con "insufficiente e lacunosa motivazione" in punto di valutazione della inadempienze reciproche e relativa comparazione.

Sotto un primo profilo si lamenta la mancata o inadeguata valutazione del comportamento, contrario a buona fede, del promissario acquirente antecedente la causa, il quale, rimasto sordo a due diffide senza addurre alcuna giustificazione, avrebbe inequivocamante manifestato il proprio disinteresse alla stipula dell’atto definitivo.

Sotto un secondo profilo si censura la mancata considerazione dell’insussistenza o comunque della scarsa importanza dell’inadempienza ascritta al promittente venditore, in quanto frutto di lacunosa e superficiale relazione del consulente tecnico di ufficio, il quale peraltro aveva riferito che sarebbe stata sufficiente una spesa di circa L. 7.000.000 per rendere l’impianto conforme al prodotto progetto di sanatoria;sicchè, nell’ambito di una corretta valutazione comparativa delle reciproche inadempienze, quella ascritta al C., rifiutatosi di stipulare l’atto definitivo, nonostante una triplice proroga del termine e due diffide, pur continuando ad utilizzare l’immobile nel cui possesso era stato immesso, sarebbe stata prevalente. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta il mancato accoglimento della domanda attrice di risarcimento dei danni, derivante dal mancato godimento dell’immobile, censurandosi la relativa motivazione, secondo cui tale possesso sarebbe stato giustificato da espressa, pattuizione contrattuale, al riguardo richiamando giurisprudenza di legittimità affermante che la legittimità originaria del "possesso" conseguito dal promissario acquirente viene meno in conseguenza del comportamento inadempiente del medesimo. Entrambi i motivi vanno respinti.

Il primo, senza evidenziare alcuna effettiva violazione o falsa applicazione delle norme richiamateci risolve nel tentativo di accreditare una valutazione delle risultanze processuali ed un conseguente giudizio comparativo delle condotte dei contraenti, ai fini dell’addebito della mancata stipulazione del contratto definitivo nei termini previsti, di versi da quelli compiuti dai giudici di merito, segnatamente dalla corte territoriale, la cui motivazione, in quanto esente da vizi logici o palesi lacune argomentative, risulta incensurabile in sede di legittimità. Detta corte, con valutazione di merito insindacabile, si è basata sulle risultanze della consulenza di ufficiosa cui adeguatezza è stata criticata in questa sede, senza tuttavia precisare se le relative censure avessero formato oggetto anche dei motivi appello e comunque senza riportare, così disattendendo l’onere dell’autosufficienza, le testuali ragioni della consulenza di parte, solo sommariamente citata nelle difformi conclusioni, sulla base delle quali la relativa confutazione si sarebbe basata. Consegue pertanto l’incensurabilità del giudizio formulato sulla scorta del parere peritale, riferente la non conformità tecnica dell’impianto di scarico dei reflui domestici alle locali norme igienico – sanitarie, così evidenziando un vizio di non lieve entità dell’immobile compromesso, attinente ad una qualità della stessa espressamente garantita nel contratto ed essenziale, indipendentemente dalla formale legittimità urbanistico edilizia dell’immobile e dall’esistenza di una licenza di abitabilità, ai fini dell’uso, quello abitativo cui la cosa promessa in vendita era convenzionalmente destinata.

Tale carenza, comportante peraltro una spesa che, contrariamente a quanto si assume in ricorso, non sarebbe stata minima e comunque gravava sul proprietario promittente, è stata correttamente ritenuta integrare una causa giustificativa del temporaneo rifiuto di adempiere da parte del promissario acquirente, legittimamente avvalsosi della facoltà prevista dall’art. 1460 c.c., norma che peraltro non comporta, diversamente da quanto previsto a fini risolutori dall’art. 1455 c.c., un giudizio sulla "importanza" dell’inadempienza, salvi i casi, secondo la corrente giurisprudenza di legittimità citata nel mezzo d’impugnazione, in cui il comportamento della parte che la opponga non sia palesemente pretestuoso e contrario alla buona fede. Ma nel caso di specie tale violazione, dedotta dal ricorrente, non è configurabile per il solo fatto che le diffide ad adempiere del promittente venditore siano rimaste semplicemente senza riscontro, senza esplicitazione delle relative ragioni, in un contesto tuttavia nel quale, in presenza di espressa garanzia contrattuale comportante un impegno non mantenuto, ben noto al promittente venditore, le ragioni del silente e provvisorio rifiuto risultavano agevolmente comprensibili.

Dalle suesposte considerazioni, confermanti la legittimità ex art. 1460 c.c. del rifiuto di adempimento antecedente il giudizio, deriva la conseguente insussistenza di alcuna illiceità del comportamento del promissario acquirente, convenzionalmente immesso nella detenzione dell’immobile e tenuto al pagamento del saldo soltanto all’atto della stipula del contratto definitivo, sicchè l’occupazione non poteva ritersi sine titillo e dar luogo a risarcimento o indennizzo di sorta.

Va pertanto respinto anche il secondo motivo.

Infondato è anche il ricorso incidentale, con il quale si censura per insufficiente ed erronea motivazione la statuizione di compensazione delle spese del giudizio, attaccando una valutazione compiuta dalla corte di merito, ai fini dell’esercizio del potere discrezionale di cui all’art. 92 c.p.c., che risulta adeguatamente motivata, senza incorrere in vizio logiche pertanto incensurabile nella presente sede.

Non sussiste, in particolare, alcuna contraddizione tra la ravvisata fondatezza dell’eccezione di cui all’art. 1460 c.c. e l’addebito all’eccipiente di non aver manifestato le ragioni del rifiuto prima dell’instaurazione del giudizio, nel contesto di una vicenda nella quale, pur non configurandosi nel comportamento del promissario acquirente, per le ragioni in precedenza esposte, gli estremi di una riserva mentale contraria al principio di buona fede, pur tuttavia una decisa esplicitazione dei motivi del temporaneo rifiuto avrebbe, con ogni probabilità, comportato la composizione della vertenza ed evitato il giudizio.

La reciproca soccombenza in questa sede comporta, infine, la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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