Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-06-2011) 01-07-2011, n.Giudizio abbreviato 25950

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 18 febbraio 2010, la Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza emessa il 23 giugno 2009 dal Tribunale della medesima città nei confronti di M.P., ha dichiarato le attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante relativa al delitto di estorsione continuata, ed ha conseguentemente rideterminato la pena inflitta all’imputato in anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 500 di multa.

Propone ricorso per cassazione il difensore il quale, nel primo motivo, censura la tesi della Corte di appello relativa alla intempestività della offerta risarcitoria, in quanto successiva alla ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato. In particolare, si osserva che, a norma dell’art. 452 c.p.p., comma 2, la trasformazione del giudizio direttissimo in abbreviato avviene prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, mentre per quest’ultimo rito lo stadio corrispondente alla apertura del dibattimento coincide con la discussione, non ancora intervenuta al momento della produzione dibattimentale attestante l’offerta reale della somma a titolo di risarcimento del danno.

Con successiva memoria, tesa a sottolineare la non manifesta infondatezza del ricorso, le deduzioni difensive sono state ulteriormente sviluppate e puntualizzate.

Il ricorso deve essere respinto, in quanto la Corte territoriale, accanto alla ritenuta intempestività della offerta risarcitoria, ha puntualizzato che, nella specie, la offerta non poteva ritenersi congrua, avuto riguardo all’ammontare complessivo del danno patito, stante la natura plurioffensiva del delitto contestato. Deve invece ritenersi errato – e va conseguentemente rettificata la motivazione svolta sul punto nella sentenza impugnata – l’assunto dei giudici a quibus secondo il quale l’offerta non poteva ritenersi tempestiva, in quanto proposta dopo l’ammissione del giudizio abbreviato. E’ noto, al riguardo, che la giurisprudenza di questa Corte, nello scandagliare la portata da annettere alla locuzione "prima del giudizio" che, a norma dell’art. 62 c.p., n. 6, condiziona la applicabilità della attenuante del risarcimento del danno, ha, in più occasioni, avuto modo di annettere a tale preclusione temporale un significato rigoroso, affermando che il risarcimento che da luogo alla circostanza attenuante dell’integrale risarcimento del danno deve intervenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. La ragione di tale limite temporale – si è osservato nella giurisprudenza di questa Corte – va individuata nella possibilità di verifica, da parte del giudice, del sincero ravvedimento, la cui prova può essere data dall’imputato, secondo la presunzione logica che si evince dalla norma, solo prima che egli sia sottoposto al vaglio del giudizio. E’, invece, oggettivamente preclusa l’applicabilità dell’attenuante sulla base di qualsiasi dimostrazione di ravvedimento, pur nel senso previsto dalla norma, ma successivamente all’inizio del giudizio di primo grado, nell’ambito del quale, una volta visto l’andamento del dibattimento, ancor prima della sentenza, l’imputato potrebbe determinarsi, seguendo un calcolo di opportunità, a risarcire il danno ovvero al comportamento alternativo previsto dalla norma in esame. La preclusione temporale si giustifica, dunque, secondo una prospettiva di "spontaneità" della offerta risarcitoria, che tale può considerarsi solo se antecedente al dibattimento e alle relative sequenze, dove il risarcimento potrebbe atteggiarsi a rimedio sostanzialmente "coartato," a seguito degli sviluppi della dinamica probatoria (cfr., sul punto e fra le tante, Cass., Sez. 4^, 17 dicembre 2009, Iacchelli; Cass., Sez. 5^, 9 luglio 2009, De Matteo; Cass., Sez, 6^, 25 novembre 1993, Ceglie). La dimensione applicativa della norma, dettata dal codice sostanziale del 1930 avendo di mira il sistema processuale delineato dal coevo codice di rito, ben diverso da quello attualmente vigente, deve dunque essere plasmata in riferimento ai riti alternativi al dibattimento, e, fra questi, in particolare, al giudizio abbreviato, posto che per esso risulterebbe, a parere di questo collegio, del tutto arbitraria la individuazione di uno stadio corrispondente a quello che precede e segue la dichiarazione di apertura del dibattimento, dal momento che le cadenze procedimentali del rito – si tratti di giudizio abbreviato "tipico" in sede di udienza preliminare o di giudizio abbreviato frutto di "trasformazione", come nella specie, di altri procedimenti speciali – sono soltanto quelle contrassegnate, appunto in termini di "specialità", dalla pertinente normativa.

Ebbene, sul punto è possibile registrare due linee interpretative che conducono a divergenti epiloghi. Da un lato, infatti, si colloca la tesi, fatta propria dalla Corte territoriale, secondo la quale la richiesta da parte dell’imputato del rito abbreviato comporta l’accettazione del giudizio "allo stato degli atti", con la conseguenza che il quadro probatorio già esistente non è suscettibile di modificazioni e con la precisazione che solo in base agli elementi già acquisiti deve formarsi la res iudicanda, in essa compresi gli aspetti relativi anche alle circostanze attenuanti, per il riconoscimento delle quali non è possibile procedere ad ulteriori acquisizioni probatorie, neppure di tipo documentale (principi, questi, affermati proprio in una fattispecie relativa al rifiuto di dar ingresso nel processo alla prova documentale dell’avvenuto risarcimento del danno) (Cass., Sez. 6^, 12 giugno 1997, Albini ed altri). In senso opposto, si è invece affermato, anche di recente, che in tema di giudizio abbreviato, il divieto di ulteriori acquisizioni probatorie riguarda solo le prove concernenti la ricostruzione storica del fatto e Pattribuibilità del reato all’imputato, ma non i documenti riguardanti sia l’accertamento di responsabilità, sia l’accertamento di presupposti e condizioni di applicabilità di attenuanti e benefici. Ciò si desume, si è sottolineato, dall’art. 421 c.p.p., comma 3, – il quale, va puntualizzato, trova applicazione nel giudizio abbreviato in virtù del rinvio operato dall’art. 441 c.p.p., comma 1, alle "disposizioni previste per l’udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli artt. 422 e 423" – a norma del quale è stabilito che il pubblico ministero formulano e illustrano le rispettive conclusioni utilizzando, oltre agli atti contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell’art. 415 c.p.p., comma 2, anche gli "atti e documenti ammessi dal giudice prima dell’inizio della discussione". Principi, questi, dai quale si è desunta la acquisibilità nel giudizio abbreviato della prova documentale (v. Cass., Sez. 2^, 2 febbraio 2010, n. 8527/10, p.g. e p.c. in proc. Cipriani, non massimata sul punto) e, in particolare, la possibilità di acquisire la prova documentale dell’intervenuto risarcimento del danno, sia al fine di ottenere l’applicazione della attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, sia al fine di resistere alle pretese risarcitorie della parte civile (Cass., Sez. 2^, 2 ottobre 1992, Russo, nonchè Cass., Sez. 2^, 2 dicembre 1991, Traditi, in tema di produzione di una sentenza al fine di ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione).

Quest’ultimo orientamento è quello che questo collegio ritiene di dover condividere. Non può infatti non sottolinearsi come, specie alla luce delle profonde modifiche subite dal giudizio abbreviato, ormai privato della sua originaria base pattizia e sensibilmente incrementato sul versante della integrazione probatoria, tanto su richiesta dell’imputato che d’ufficio, e reso permeabile anche alle acquisizioni promananti dalle stesse indagini difensive, l’originaria configurazione di giudizio "puro" allo stato degli atti ha finito per subire un sensibile appannamento, facendo perdere a tale aspetto – dogmaticamente, forse, enfatizzato – le caratteristiche che ad esso il legislatore del codice aveva inteso imprimere, come una sorta di "interfaccia" sistematica tesa a corrispondere, sul piano delle acquisizioni probatorie, al modello di giudizio inscenabile soltanto sull’accordo delle parti necessario (si può patteggiare sul rito solo in presenza di un quadro probatorio rigorosamente "cristallizzato").

In tale cornice – come si è sottolineato, non poco trasfigurata rispetto al modello originario – risulterebbe dunque del tutto incongruo precludere la possibilità di una offerta risarcitoria banco judicis per il sol fatto che il giudice ha "ammesso" il rito alternativo, posto che la logica della offerta ante judicium ben può realizzarsi purchè antecedente alla fase della discussione: nella quale, sola, si "realizza" e celebra il giudizio abbreviato. Ove così non fosse, d’altra parte, si profilerebbe davvero un serio vulnus per il diritto di difesa sostanziale, posto che la semplice "trasformazione" del modello processuale – in sè espressiva, per di più, di una facoltà difensiva – verrebbe irragionevolmente a precludere la scelta spontanea di risarcire il danno, con evidenti riverberi sul piano di una lettura costituzionalmente orientata del sistema normativo.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenti statuizioni sulle spese, ma con le precisazioni innanzi delineate in ordine alla motivazione del provvedimento impugnato, a norma dell’art. 619 c.p.p., comma 1.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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