Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-06-2011) 01-07-2011, n.Violazioni tributarie 26028

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Roma ha ritenuto infondato l’appello proposto da S.G., ritenuto colpevole di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, connessa al fallimento di Srl. EDIL EDEN, la cui insolvenza fu dichiarata dal Tribunale di Roma in data 30.10.1997 e di cui il prevenuto fu ritenuto amministratore di fatto.

Ha così confermato la condanna pronunciata dal Tribunale della Capitale in data 26.3.2004.

Avverso questa decisione ha interposto ricorso la difesa dolendosi:

– della contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione circa l’assunzione da parte degli acquirenti dell’accollo del mutuo gravante sull’immobile oggetto di compravendita, avendo erroneamente ritenuto la Corte capitolina che non vi fosse accordo nel senso dell’accollo a carico dell’acquirente del mutuo, avendo – ancora – erroneamente negato di avere visto tra gli atti processuali i rogiti notarili di compravendita, pur prodotti dalla difesa, ecc.;

– della contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione circa l’esatto ammontare del disavanzo fallimentare, poichè l’accollo del mutuo in capo agli acquirenti giustifica la massima parte del passivo concorsuale, creato per colpa degli acquirenti e, comunque, per credito non più esistente al momento della dichiarazione di fallimento, così che si sarebbe accertato un forte ridimensionamento, a pochi milioni di lire, dell’effettivo deficit;

– della contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione circa l’esistenza di attivo che ulteriormente elideva il disavanzo di gestione;

– della contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione circa l’incapienza dei titoli cambiali acquisiti dal Curatore che nel corso della procedura ha potuto incassare l’importo di L. 35.832.000, come la Corte avrebbe potuto accertare acquisendo gli atti dal fallimento, erroneamente, ancora, contestando il credito per IVA esistente, come asseverato dal perito contabile;

– della contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione circa la mancata giustificazione delle attrezzature non rinvenute ma la cui esistenza era attestata dal Consulente del PM., beni – comunque – obsoleti e di modestissimo valore.

Motivi della decisione

Deve premettersi che il ricorso non devolve specificamente alla Corte doglianza circa l’addebito di bancarotta documentale fraudolenta. Del resto la motivazione, relativamente a questo reato, è logica e coerente con le prescrizioni normative, non essendo richiesto per essa dolo specifico e riuscendo sufficiente ad integrare la fattispecie non soltanto la materiale impossibilità alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ma anche il semplice il riscontro che gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, sono stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. Sul punto, quindi, la decisione ha assunto il carattere della irrevocabilità.

Il primo motivo del ricorso riguarda l’accusa di distrazione fraudolenta patrimoniale avente per oggetto materiale la provvista dell’erogazione di denaro concessa, a titolo di mutuo, dalla Banca Popolare Novara. Detto importo, indicato in L. 285.213.731, si ritiene esser stato distratto poichè il fallimento evidenziò – per detta somma – l’insoluto nella restituzione dei ratei di mutuo.

Invece, la difesa addebita agli acquirenti degli immobili la responsabilità dell’ammanco, non avendo essi onorato un debito di cui vi era stato accollo.

La motivazione della decisione si appalesa al riguardo illogica e carente, soprattutto per un errore metodologico.

Nell’ipotesi – come la presente – in cui l’oggetto materiale di distrazione (il denaro corrisposto dall’azienda di credito) si sia confuso con il patrimonio della società caduta in procedura, è improprio procedere all’accertamento della condotta di fraudolenza patrimoniale, in seno al delitto di bancarotta, limitandosi all’esame di una singola posta patrimoniale e non già del complessivo disavanzo di gestione, privo di giustificazione. Infatti, l’accertamento di un’eventuale manomissione patrimoniale di beni fungibili confluiti nel patrimonio dell’impresa fallita deve discendere dal raffronto di dati di quantità (come – appunto – l’ammontare del disavanzo ingiustificato risultante dall’esito delle indagini), essendo impossibile, dopo la confusione, identificare gli importi di ricchezza in ragione della loro connotazione d’origine o di specifici tratti qualitativi. Così, anche a ritenere che vi sia stata inadempienza contrattuale da parte della società fallita nella colpevole violazione degli obblighi contrattuali, non si giungerebbe alla prova della distrazione fraudolenta, per le ragioni dianzi espresse.

Tutto ciò per sottacere che il quadro probatorio (e la correlata motivazione giudiziale) non consente di precisare se l’accollo gravante sugli acquirenti degli immobili fosse liberatorio o meno:

soltanto nel primo caso il primo debitore può ritenersi esonerato dalla pendenza (se l’accollo non avesse efficacia liberatoria si spiegherebbe, in presenza dello stesso, la legittimazione del creditore all’insinuazione nella procedura fallimentare).

L’incertezza sul punto produce una esiziale debolezza di valutazione e connessa motivazione giudiziale sui fatti oggetto di processo.

Ma anche in altra parte l’argomentazione della decisione impugnata risulta decisivamente carente.

Essa esclude dal computo dell’attivo la presenza di titoli cambiali, pur disponibili alla società.

Il mancato protesto dei titoli di credito per inadempimento del debitore non sta a significare l’inesistenza dei crediti, bensì la loro mancata esazione. La circostanza risulta penalmente indifferente nel vaglio della responsabilità dell’imprenditore, trattandosi di perdita riconducibile al fatto del terzo e, dunque, esterna alla figura della bancarotta. Salvo che il comportamento, ricorrendone i presupposti, possa qualificarsi come ingiustificabile inerzia nella conservazione dei diritti propri dell’ente, così da concretare ipotesi di distruzione di attivo, per colpevole omissione dell’attività gestoria. Sul punto la decisione impugnata è silente.

Erronea è l’argomentazione dispiegata per quanto attiene al credito IVA esposto dalla società fallita.

Trattandosi di pretesa astrattamente configurabile, essa rappresenta, ove puntualmente dimostrata nei suoi presupposti, effettiva componente di attività idonea a confluire nel computo del disavanzo.

Per screditare l’interesse al riguardo occorre dimostrare l’assenza dei presupposti della pretesa verso l’Erario: tanto non risulta espresso nel percorso motivazionale della Corte romana che ha ascritto anche questo addendo al prevenuto.

Piuttosto discutibile è l’assunto per cui, in caso di iscrizione a bilancio di posta attiva, senza articolazione di prova, si determini l’insussistenza della stessa. In primo luogo, si ricorda che l’accertamento della condotta fraudolenta non è condizionato da alcun onere di dimostrazione in capo al fallito nè da alcuna presunzione, con la conseguenza che il giudice – ancorchè le scritture di impresa costituiscano prova, ex art. 2710 c.c., nei riguardi dell’imprenditore – deve valutare, anche nel silenzio del fallito, l’attendibilità dell’annotazione contabile e dare congrua motivazione ove questa non sia apprezzabile per l’intrinseco dato oggettivo (cfr. Cass. pen., sez. 5^, 6 novembre 2006, Abbate, Ced Cass. 235767).

Inoltre, per quanto riguarda i crediti iscritti a bilancio, risulta necessaria – nel dubbio della loro esistenza – una dimostrazione istruttoria (mediante interpello del debitore o di altre persone informate sui fatti), ovvero disamina documentale (per es. di natura contrattuale o finanziaria), per asseverare la conclusione di inesistenza.

Infatti, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, se è corretta l’affermazione per cui deve essere l’amministratore a dimostrare che i cespiti di cui è traccia sono stati destinati a fini sociali, senza che ciò costituisca inversione dell’onere della prova, è anche certo che – una volta indicata una giustificazione da parte dello stesso amministratore -spetta pur sempre al giudice la verifica del fondamento della replica difensiva.

Attiene al fatto l’accertamento dell’esistenza del macchinario, non più rinvenuto in sede di inventario: tuttavia, essenziale, anche al fine di accertare il fondamento dell’attenuante speciale ( L. Fall., art. 219, u.c.) invocata, determinare, per quanto possibile, la valenza dei beni che si indicano obsoleti.

Pertanto, limitatamente a tutti questi soli profili (integrativi dell’addebito di bancarotta fraudolenta patrimoniale, rinvenibili nel capo di imputazione sub 1) la sentenza impugnata viene annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma per nuovo esame.

Nel resto il ricorso viene rigettato.

P.Q.M.

Annulla a sentenza impugnata limitatamente al capo n. 1, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, per nuovo esame al riguardo. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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