Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-11-2011, n. 24367 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte rilevato che:

la Corte d’appello di Torino ha, confermando la sentenza di primo grado, accolto il ricorso del lavoratore in epigrafe avente ad oggetto l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra detto lavoratore da una parte, e Poste Italiane s.p.a. dall’altra per il periodo dal 2 febbraio 1998 al 30 aprile 19 98;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società affidato a due motivi; il lavoratore intimato ha resistito depositando anche memoria illustrativa.

Considerato che:

il lavoratore è stato assunto con vari contratti a termini e la Corte territoriale con riferimento al primo di detti contratti stipulato, per il periodo dal 2 febbraio 1998 al 30 aprile 1998, a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane, sul presupposto che anche nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi a norma della L. n. 56 del 1987, art. 23 sia necessario che l’apposizione del termine sia giustificata da un’esigenza temporanea, specifica ed oggettiva concretamente riferibile alla singola assunzione; rilevato che nel caso di specie la società Poste Italiane non aveva provato la riconducibilità della singola assunzione alla ristrutturazione aziendale menzionata dalla contrattazione collettiva, ha concluso per l’illegittimità del termine benchè ricadente in un periodo precedente la data del 30 aprile 1998;

la suddetta impostazione è stata ampiamente censurata dalla società ricorrente la quale, con il primo motivo assume che l’interpretazione data dalla Corte di merito si basa, in sostanza, sui principi elaborati in sede di applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, inapplicabili al caso di specie e, con il secondo, contesta la motivazione in ordine alla eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso;

il Collegio all’esito dell’odierna udienza ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata; la censura, pregiudiziale, afferente l’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso è infondata; questa Corte ha avuto modo di precisare che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva considerato la mera inerzia del lavoratore, per un periodo di oltre tre anni dopo la scadenza, insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso) (V. per tutte Cass. 10 novembre 2008 n. 26935); analogamente nella presente fattispecie la Corte del merito ha ritenuto, con motivazione congrua, che la mera inerzia del lavoratore è di per sè insufficiente per configurare una risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

con riferimento all’altra censura – ossia la prima – secondo il costante insegnamento di questa Corte di cassazione (cfr., in particolare, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011; Cass. 7 marzo 2005 n. 4862), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 56, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinatela Corte di merito ha deciso in palese violazione del suddetto principio di diritto; alla base della motivazione della decisione è l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; la sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1; ciò in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte Suprema e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588;

con riferimento, pertanto, al contratto a termine stipulato per il periodo dal 2 febbraio 1998 al 30 aprile 1998 la sentenza è errata e va, pertanto, cassata in parte qua, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione;

tutte le altre eccezioni, obbiezioni o motivi devono considerarsi assorbiti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso,rigetta il secondo, cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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