T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 05-07-2011, n. 1760 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, notificato il 5 luglio 2010 e depositato il successivo 9 luglio 2010, la s.p.a. Chateau d’Ax (da ora anche solo la società) ha impugnato gli atti in epigrafe specificati, chiedendone l’annullamento, con contestuale accertamento della sopravvenuta estinzione dell’obbligazione di cessione delle aree per opere di urbanizzazione, a suo tempo assunta con la convenzione di lottizzazione del 14.12.1989, stipulata con la parte resistente per l’attuazione del Piano di Lottizzazione di un’area sita in zona di espansione industriale "D3", definitivamente approvato con delibera G.M. n. 546 del 19 settembre 1989.

In sostanza, a mente dell’esponente, la mancata attuazione dell’obbligo di cessione non sarebbe dipesa dall’inadempimento della società, quanto piuttosto:

a) dalla sopravvenuta espropriazione di una parte delle aree, cedute alla soc. Serravalle s.p.a. per i lavori di prolungamento della strada provinciale n. 44 MilanoMeda;

b) dalla sopravvenuta approvazione, da parte comunale, della variante generale al Piano Regolatore, approvata dalla Regione Lombardia con delibera di G.R. n. 8171 del 10 marzo 2002, che avrebbe apportato una radicale trasformazione delle stesse aree che in forza della convenzione la società avrebbe dovuto cedere al Comune.

In ogni caso, sempre seguendo la tesi della ricorrente, il Comune non avrebbe mai richiesto, così come previsto nella convenzione, la cessione delle aree, sicché la stessa non potrebbe più essere pretesa ora, come invece accaduto con gli atti in questa sede impugnati, per sopravvenuta inefficacia della convenzione e/o, comunque, per la prescrizione del diritto di credito del Comune.

Soltanto in data 12 maggio 2008, con nota prot. 13397, dunque, il Comune avrebbe genericamente richiesto alla società di adempiere, salvo poi prendere atto, in data 21 luglio 2008, dell’impossibilità di ottenere detto adempimento alle iniziali previsioni convenzionali, "per le mutate condizioni urbanistiche e dei luoghi", esprimendo l’intenzione di addivenire a soluzioni concordate sostitutive della cessione delle aree (cfr. doc. n. 5 allegati di parte ricorrente).

Sennonché, successivamente, lo stesso Comune avrebbe, dapprima, informato la società dell’avvio del procedimento per mancato adempimento degli obblighi convenzionali (cfr. la nota del 24 novembre 2009, all. n. 6 doc. di parte ricorrente), concedendo termini per memorie; indi, e nonostante le dettagliate memorie presentate al riguardo dall’interessata, avrebbe – con deliberazione G.c. n. 30 del 4 marzo 2010 – ritenuto di esprimere "atto di indirizzo" rivolto al responsabile dell’area urbanistica, onde sollecitare la conclusione del procedimento di diffida della società alla cessione delle aree (eventualmente, in considerazione della parziale indisponibilità dell’area oggetto di espropriazione, mediante rilocalizzazione delle modeste superfici previste in esproprio). Ciò, facendo comunque salva la possibilità, in caso di impraticabilità della cit. rilocalizzazione, di rinviare la questione al Consiglio comunale, per le opportune valutazioni circa la modificazione del tracciato viabilistico. Il tutto, accompagnato dalla previsione, quanto alle aree destinate alle urbanizzazioni secondarie, dell’invito alla cessione per mq 4.566 circa, a parte del più ampio compendio di aree a standard individuate dalla Tavola operativa 45/4 del vigente PRG, e con l’invito finale, in caso di impossibilità di rilocalizzazione delle modeste porzioni interessate dall’esproprio, al pagamento del controvalore determinato per un importo pari a 68.880,00 euro, nonché, al pagamento di un ulteriore importo pari ad euro 39.224,86 per la ritardata cessione delle aree de quibus.

Tale atto di indirizzo sarebbe stato recepito dall’amministrazione nel preavviso di diniego del 08.10.2010 (allegato n. 9 dei documenti dell’esponente) e, nonostante le osservazioni prodotte dalla ricorrente per evidenziare l’infondatezza delle suindicate pretese, sarebbe stato confermato con l’atto del 21 maggio 2010, teso a diffidare la società alla cessione delle aree e al pagamento delle somme nei modi e nei termini sopra riportati.

Contro le su elencate determinazioni è stato interposto l’odierno gravame, affidato a sette motivi, meglio specificati nella parte in diritto.

Si è costituito il Comune di Lentate sul Seveso con controricorso (notificato alla ricorrente), controdeducendo alle censure avversarie e proponendo domanda riconvenzionale volta ad ottenere, ai sensi dell’art. 2932 cod.civ., una pronuncia costitutiva per l’adempimento degli obblighi convenzionali, oltre all’indennizzo per le minori aree cedute, e con l’ulteriore domanda, proposta in via subordinata, di disporre apposita istruttoria per accertare l’"allocazione di sedime delle aree in cessione, la relativa superficie e i relativi mappali di riferimento".

Sennonché, con ulteriore comunicazione del 9.11.2009, il Comune di Lentate sul Seveso ha comunicato alla società l’avvio del procedimento di contestazione, sia del mancato deposito della documentazione attestante l’ultimazione dei lavori edificatori, che dell’assenza dei presupposti per l’esercizio dell’attività nei capannoni produttivi di cui alla pratica edilizia n. 52/1990.

In riscontro di ciò, l’esponente ha presentato in Comune sia la "dichiarazione di agibilità degli edifici destinati ad attività economiche", che la "dichiarazione di inizio/modifica attività produttiva (DIAP)".

Ciò nondimeno, con provvedimento prot. 13629, l’ente resistente in data 16 giugno 2010 ha disposto l’inaccoglibilità di entrambe le suddette istanze, per l’inesistenza dei presupposti di efficacia, con immediata rimozione degli effetti generati.

Tale determinazione ha provocato l’ulteriore impugnazione da parte della società, mediante motivi aggiunti depositati il 27 luglio 2010.

Si è costituito il Comune di Lentate con controricorso anche in relazione ai succitati motivi aggiunti, controdeducendo alle censure avversarie.

Con memoria depositata il 2 marzo 2011 ha insistito sulle proprie conclusioni la difesa comunale, cui ha resistito con replica del 16 marzo 2011 il patrocinio ricorrente.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, il Collegio deve rilevare come le controversie riguardanti l’adempimento degli obblighi derivanti da convenzioni urbanistiche connesse a lottizzazioni appartengano alla giurisdizione del giudice amministrativo, in forza dell’art. 11, comma 5°, della legge 7 agosto 1990, n. 241, che riserva alla giurisdizione di detto giudice le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione di accordi, che assolvono la funzione di individuazione convenzionale del contenuto di un provvedimento da emettersi a cura della pubblica amministrazione (cfr. Cass. civ. sez. un., 19 agosto 2009 n. 18368; id. 17 aprile 2009 n. 9151; id. 25 maggio 2007, n. 12186; id. 20 aprile 2007 n. 9360; id. 11 agosto 1997 n. 7452; nonché, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza del 22 gennaio 2010, n. 214, che ne trae, quindi, la conclusione secondo cui resta devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo sia la domanda avente ad oggetto la risoluzione della convenzione per inadempimento della p.a., sia quella concernente la condanna di quest’ultima al risarcimento del danno; cfr. altresì, in senso analogo, T.A.R. Lombardia, Milano, 8 giugno 2011 n. 1464; id 23 novembre 2010, n. 7313; id. 27 aprile 2010 n. 1151; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 12 gennaio 2011, n. 12; TAR Lombardia Brescia, 28 novembre 2001, n. 1126; TAR Puglia Bari, sez. II, 29 marzo 2001, n. 839).

L’art. 11 cit., com’è noto, è stato abrogato con decorrenza dall’entrata in vigore (il 16 settembre 2010) del Codice del Processo Amministrativo ( d.lgs. n. 104/2010), che ne ha, tuttavia, riprodotto la sostanza con l’art. 133, comma 1°, lett. a), n. 2, che devolve alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie in materia di "formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo".

In tal senso, anticipando quanto si verrà ad argomentare meglio nel prosieguo, deve ritenersi ammissibile, sotto il profilo della giurisdizione, anche la domanda riconvenzionale svolta dal Comune nei confronti della società, atteso che "non vi è ragione alcuna – né logica, né giuridica – perché una giurisdizione "per materia" debba essere ripartita tra giudice ordinario e giudice amministrativo a seconda del ruolo (attivo o passivo) assunto dalle parti (pubblica e privata) del rapporto sostanziale" (così TAR Lombardia n. 1151/2010 cit., nonché Cass. SS.UU. 19.8.09 n. 18368 cit.; 7.2.02 n. 1763; nonché Cons. Stato VI, 11.1.10 n. 20 e V, 11.12.07 n. 6358, secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – segnatamente quella in materia di concessioni ex art. 5 legge TAR e quella in materia di accordi di diritto pubblico ex art. 11 legge n. 241/90 – abbraccia non solo le azioni del privato nei confronti della P.A., ma anche le azioni di responsabilità promosse dalla P.A. nei confronti del privato).

Nel merito, il Collegio ritiene opportuno puntualizzare come, mentre i primi tre motivi di ricorso mirino a dimostrare, sulla base di diverse argomentazioni, l’avvenuta estinzione delle obbligazioni dedotte nella convenzione, i restanti motivi (in particolare il 4° e 5° motivo) tendano, invece, ad ottenere l’accertamento dell’inesistenza di diverse obbligazioni a carico dell’esponente e, quindi, l’annullamento degli atti impugnati, in quanto assunti sul presupposto di una inammissibile modificazione unilaterale della convenzione.

Orbene, ritiene il Collegio che, per comodità espositiva, è opportuno esaminare congiuntamente il primo e il quarto motivo onde valutare, in relazione ad essi, sia la domanda di accertamento svolta in via principale, che quella svolta in via subordinata.

A tal fine, rileva il Collegio, come, con il primo e il quarto motivo di ricorso, l’esponente articoli le censure, come di seguito, rispettivamente, sintetizzate:

1) violazione di legge, con particolare riguardo agli artt. 1256 c.c.; 28 legge n. 1150/1942, 45 legge regionale n. 12/2005 e relative norme in materia di standards; violazione del piano dei servizi; violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, difetto di motivazione. Violazione dell’art. 97 Cost. e del principio di buona amministrazione. Eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà;

2) violazione degli artt. 28 L.n. 1150/1942 e 46 L.R. n. 12/2005, dovendo le parti concordare l’individuazione delle nuove aree da cedere.

Esaminando distintamente le articolate deduzioni del patrocinio ricorrente, il Collegio osserva quanto segue:

A. in primo luogo, si deve soffermare l’attenzione sulla questione relativa all’ipotizzata estinzione dell’obbligazione avente ad oggetto la cessione delle aree espropriate, per le quali l’amministrazione avrebbe invece preteso il pagamento di un indennizzo per equivalente pari ad euro 68.880,00.

Orbene, osserva il Collegio come l’estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta richieda, ai sensi dell’art. 1256 c.c., che l’impossibilità si atteggi in maniera obbiettiva ed assoluta, mentre tali caratteri non siano riscontrabili nel caso di specie, ove, in concreto, la ricorrente ha ammesso di avere percepito una determinata somma a titolo di indennizzo da parte della società espropriante.

In tali evenienze, anticipando quanto si verrà più diffusamente ad osservare nel prosieguo (a proposito della domanda svolta in via subordinata), il Collegio ritiene si possa fare applicazione della disciplina di cui all’art. 1259 c.c. che, per le prestazioni aventi ad oggetto una cosa determinata divenuta impossibile, prevede il sub- ingresso del creditore nei diritti spettanti al debitore in dipendenza del fatto che ha causato l’impossibilità (cd. surrogazione reale).

Ne consegue che, la pretesa del Comune di rideterminare liberamente e unilateralmente l’importo dell’indennizzo sostitutivo per la mancata cessione delle aree espropriate è infondata, mentre deve essere accolta la domanda proposta in via gradata dalla ricorrente, di accertamento dell’obbligo nei limiti di quanto percepito per le ridette aree a titolo di indennità di espropriazione.

B. Si deve a questo punto esaminare la medesima questione sull’estinzione dell’obbligazione in relazione alle restanti aree oggetto di cessione, per le quali pure la ricorrente afferma la sopravvenuta estinzione per impossibilità sopravvenuta, poiché:

b1 – per le aree destinate all’urbanizzazione primaria, la diversa destinazione urbanistica di una rilevante parte dell’area oggetto di lottizzazione, a causa della realizzazione della strada provinciale che ha dato luogo all’espropriazione, avrebbe provocato la modifica del tracciato viabilistico relativo al P.L., sicché la residua area da cedere per urbanizzazione primaria sarebbe divenuta priva di causa, non essendo più possibile la realizzazione della strada negli esatti termini in precedenza concordati;

b2 – per le aree destinate alle urbanizzazioni secondarie, anche qui il Comune avrebbe impresso una nuova destinazione che, pure, sarebbe idonea a privare di causa l’obbligazione di cessione così come originariamente prevista.

Per meglio comprendere le questioni sottese alle suesposte deduzioni, il Collegio ritiene utile rammentare le peculiarità della convenzione di lottizzazione che, pur attraverso l’uso dello strumento privatistico per antonomasia, qual è l’"accordo tra le parti", risulta, comunque, preordinata, mediante il contemperamento di opposti interessi pubblici e privati, a consentire al soggetto portatore dell’interesse pubblico di conseguire un’ottimale pianificazione urbanistica del territorio.

In tal senso, non può essere condivisa l’impostazione della ricorrente, volta a ritenere estinta l’obbligazione a suo tempo assunta per impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Come già in precedenza affermato, infatti, l’art. 1256 c.c. richiede, ai fini della estinzione dell’obbligazione, che l’impossibilità presenti i caratteri della definitività, oggettività e assolutezza, i quali, interpretati in modo rigoroso già dalla giurisprudenza civilistica, a fortiori richiedono rigore interpretativo nell’ambito che qui occupa, atteso che, in subjecta materia, vengono in rilievo obbligazioni assunte in attuazione di norme di legge inderogabili, qual è l’art. 28 della legge urbanistica n. 1150/1942, come sostituito dall’art. 8 della L. 765/1967, che rispondono all’esigenza di garantire ai nuovi insediamenti le infrastrutture necessarie (cfr. T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 13.11.2008, n. 1218, secondo cui dette obbligazioni non si porrebbero neppure in relazione sinallagmatica con lo "ius aedificandi", che, piuttosto, non può prescinderne; dacché l’ulteriore conseguenza per cui: "non possono applicarsi alle convenzioni di lottizzazione, in ragione della esclusa loro natura sinallagmatica, i tipici rimedi contrattuali che tale sinallagmaticità presuppongono", poiché "la cessione delle aree risponde all’esigenza da parte del Comune di disporre delle stesse per i fini pubblicistici ad esse connessi… e non tollererebbe che parte delle stesse, destinate ad uso pubblico, resti in mano al privato" Analogamente TAR Marche, 6.8.2003, n.961).

Con riguardo al caso che qui occupa, quindi, ritiene il Collegio che la stessa possibilità, ventilata da parte resistente, di una diversa localizzazione delle aree da cedere per le urbanizzazioni de quibus, sia idonea ad escludere quel carattere di assolutezza e oggettività che l’art. 1256 c.c. richiede, affinché l’impossibilità conduca all’estinzione dell’obbligazione.

E, tuttavia, il Collegio non può condividere la tesi della resistente amministrazione, laddove reputa di poter addivenire ad una rilocalizzazione delle aree da cedere, mediante una modifica unilaterale degli obblighi assunti dalla lottizzante.

In senso inverso, ritiene il Collegio che, laddove il diritto del Comune di pretendere l’adempimento delle obbligazioni assunte dal lottizzante non si sia prescritto e, tuttavia, la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione non possa più essere adempiuta nei modi convenuti, a causa della sopravvenuta modifica, mediante variante urbanistica, del territorio interessato dalla lottizzazione, la possibilità di sostituire l’obbligazione originaria con una nuova obbligazione non può essere attuata senza il consenso della parte obbligata (cfr., per la valorizzazione della natura contrattuale del rapporto nascente dalla convenzione di lottizzazione: T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 29 settembre 2004, n. 2718).

Deve, pertanto, reputarsi illegittima la pretesa del Comune di attuare unilateralmente la sostituzione dell’oggetto dell’obbligazione originariamente assunta dalla parte lottizzante, mediante rilocalizzazione delle aree da cedere per urbanizzazioni, trattandosi di novazione oggettiva dell’obbligazione originaria che richiede, ai sensi degli artt. 1230 e ss. c.c., l’accordo delle parti.

Per tali ragioni, mentre risulta infondato il primo motivo, deve essere favorevolmente valutato il quarto.

3) Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 16 della legge n. 1150/1942, stante la sopravvenuta inefficacia della convenzione, per decorrenza del termine decennale ivi contemplato; nonché l’eccesso di potere per irragionevolezza e la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 per difetto di motivazione.

Il motivo è infondato.

La società applica alla convenzione per cui è causa il termine decennale fissato dall’art. 16 della legge urbanistica per l’attuazione del Piano particolareggiato, giungendo a ritenere ormai inefficace la convenzione che, sottoscritta nel 1989, sarebbe scaduta sin dal dicembre del 1999.

Sul punto, è opportuno precisare che, pur mostrandosi la giurisprudenza incline ad applicare al Piano di lottizzazione un termine massimo di durata, per esso non espressamente previsto, ricavato in via analogica da quello dettato dall’art. 16, co 5° cit., per il Piano particolareggiato, tuttavia, l’individuazione di siffatto termine viene ritenuta necessaria al solo scopo di non attribuire alle lottizzazioni convenzionate l’ effetto di condizionare a tempo indeterminato la pianificazione urbanistica futura, rispondendo così ad un preminente interesse pubblico, non soltanto per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, ma anche per l’edificazione dei lotti (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12 ottobre 2004 n. 6527; sez. VI, 20 gennaio 2003 n. 200; IV, 11 marzo 2003 n. 1315; id. 16 marzo 1999, n. 286; nonché Consiglio di Stato sez. IV, 2 giugno 2000 n. 3172, per cui si tratta di termine applicabile soltanto alle disposizioni a contenuto espropriativo e non anche alle prescrizioni urbanistiche del piano, destinate a rimanere pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo, fino all’eventuale approvazione di un nuovo piano attuativo).

Senza contare, poi, con specifico riguardo al caso in esame, che la ricorrente si trova in una situazione opposta a quella esaminata nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1743/2005, richiamata nel ricorso introduttivo, dove, pur ipotizzandosi problemi patrimoniali legati alla perdita di efficacia del piano di lottizzazione, si tratta di un piano urbanistico attuato soltanto quanto alle opere di urbanizzazione e rimasto inattuato quanto alla edificazione dei lotti: situazione, quindi, opposta a quella all’esame del Collegio, ove l’edificazione prevista dal Piano è stata realizzata, ma senza alcuna cessione delle aree destinate alle opere di urbanizzazione.

4) Si può, così, passare all’esame del terzo motivo, con cui l’esponente lamenta l’avvenuta prescrizione dell’obbligo di cessione delle aree ai sensi degli artt. 2934 e ss. cod. civ.

Il motivo è infondato.

Secondo la tesi esponente il termine di prescrizione del diritto alla cessione delle aree decorrerebbe dalla scadenza del termine di adempimento previsto in convenzione e, quindi, nel caso di specie, dalla scadenza del termine massimo di quattro anni stabilito dall’art. 9 della cit. convenzione.

Sul punto, il Collegio deve preliminarmente dare atto della mancanza di un orientamento giurisprudenziale univoco in ordine all’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione degli obblighi convenzionali, per cui, a fronte di un orientamento incline a far coincidere il suddetto dies a quo con la scadenza del termine di adempimento previsto nella convenzione, si registra un opposto schieramento favorevole all’individuazione del dies a quo del termine decennale di prescrizione dalla scadenza del termine di dieci anni di validità del piano di lottizzazione, di cui la convenzione costituisce attuazione (cfr., nel primo senso, tra le altre, T.A.R. Toscana, 16 settembre 2009, n. 1446, per cui l’obbligazione del privato diventerebbe esigibile proprio alla scadenza del termine previsto in convenzione e da quel momento decorrerebbe l’ordinario termine di prescrizione. Mentre, per la seconda opzione, che consente di fissare il predetto termine in modo certo, senza le variabili legate all’interpretazione del contenuto dell’accordo in ordine al termine di adempimento, nonché, alle vicende legate al comportamento in executivis delle parti, cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 1° dicembre 2010, n. 6321, secondo cui, decorso l’ordinario termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c. dalla scadenza della convenzione, il diritto dovrebbe dichiararsi prescritto ai sensi del disposto di cui all’art. 2935 c.c., proprio poiché "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", e, pertanto, "il relativo dies a quo deve individuarsi secondo i principi generali in ordine all’esigibilità dell’adempimento, nel giorno in cui il credito sia certo, liquido ed esigibile, risultando definiti e certi tutti gli elementi dell’obbligazione. Per tale via, prosegue il TAR da ultimo cit., quand’anche la convenzione non indichi un termine di adempimento, deve riconoscersi la possibilità di pretendere l’adempimento soltanto a decorrere dalla scadenza del termine decennale di validità della convenzione, che segna il termine finale di eseguibilità delle opere in essa previste"; analogamente, nel senso di ritenere che il privato vanti dieci anni di tempo per l’esecuzione delle opere previste in convenzione, per cui solo dalla scadenza della convenzione medesima è possibile verificare se le opere siano state o meno eseguite ed il Comune ha titolo a richiedere la cessione delle aree e l’adempimento di tutte le obbligazioni previste dalla convenzione: TAR Lombardia, Brescia, 28.11.2001 n. 1126; TAR Lombardia, Brescia, n. 65/2003; TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 2773/2007; nello stesso senso, cfr. anche la decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, del 14 dicembre 2009, n. 1187, secondo cui l’inadempimento si può dire definitivamente concretato "solo al compimento del termine decennale di durata della convenzione e non già dal momento della assunzione dell’obbligo. Pertanto, solo dall’anzidetto momento dell’inadempimento poteva decorrere l’ordinario termine di prescrizione. Tale conclusione non può essere vanificata dalla clausola dell’art. 4 della convenzione, il cui scopo era limitato ed inteso ad altre finalità nel senso di subordinare il rilascio del certificato di abitabilità alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Solo l’inadempimento definitivo legittimava il Comune ad agire e, pertanto, nel 1999 non erano ancora decorsi i termini di prescrizione").

Tanto premesso, il Collegio ritiene che – per la soluzione del caso in esame – risulta addirittura superfluo prendere posizione sulla predetta questione, non essendo stata fornita agli atti di causa la prova della decorrenza del termine quadriennale di adempimento di cui all’art. 9 cit.

A ben vedere, infatti, la disciplina del "termine di adempimento" solo apparentemente risulta ricavabile con certezza dalla cit. clausola, posto che essa àncora la decorrenza del predetto quadriennio ad un termine incerto (ovvero: "dalla data odierna e comunque prima della dichiarazione di ultimazione lavori dei singoli edifici"). In tal senso, è bene evidenziare come la ridetta previsione debba essere coordinata con quella contenuta negli artt. 3 e 4 della medesima convenzione, i quali, per la cessione, rispettivamente, delle aree per urbanizzazioni primarie e di quelle per urbanizzazioni secondarie, subordinano l’adempimento alla preventiva richiesta dell’ente locale (cfr. gli artt. 3 e 4 cit., ove si prevede che la cessione avvenga "su richiesta dell’amministrazione").

Sul punto, è utile richiamare la sentenza della Cassazione civile, sez. III, 11 gennaio 2006, n. 261, ove la S.C. ha riconosciuto corretta l’impostazione seguita dal giudice di merito che non aveva ritenuto – in una convenzione di lottizzazione tra un privato e un Comune – che il termine ultimo entro il quale il privato si sarebbe dovuto attivare per compiere le opere di urbanizzazione fosse ricavabile da una singola clausola che stabiliva un termine massimo, ma ritenendo piuttosto necessario procedere all’interpretazione complessiva delle clausole negoziali, da cui si ricavava che, alle opere di urbanizzazione, il privato doveva provvedere via via che nascevano gli insediamenti abitativi e, comunque, prima della scadenza del termine di efficacia della convenzione.

In definitiva, tenuto conto che, anteriormente al decorso del termine decennale di validità della convenzione (sottoscritta il 14.12.1989 e, dunque, sino al 14.12.1999) non è stata dimostrata la produzione della dichiarazione di ultimazione dei lavori, si deve ritenere che il predetto termine di quattro anni non abbia mai iniziato a decorrere.

Ciò, con l’ulteriore conseguenza che, non essendo stata dimostrata l’avvenuta decorrenza, anteriormente alla scadenza del termine decennale di validità della convenzione (come sopra desunto dagli artt. 16, 5° co. e 28, 5° co., della legge 17 agosto 1942 n. 1150, nonché dall’art. 46, co. 2° della legge reg. Lombardia n. 12/2005), del diverso termine di adempimento fissato all’art. 9 della convenzione, si deve ritenere che il dies a quo del termine di prescrizione debba essere individuato alla data del 14.12.1999, con conseguente individuazione del dies ad quem entro cui il Comune avrebbe potuto richiedere l’adempimento delle obbligazioni convenzionali alla data del 14.12.2009.

Consegue da ciò l’infondatezza della dedotta prescrizione atteso che, già con nota del 12 maggio 2008, agli atti, il Comune risulta avere esplicitamente richiesto alla società l’assolvimento degli obblighi de quibus, richiesta poi ribadita con la comunicazione di avvio del 24.11.2009, qui gravata, con cui l’ente resistente ha manifestato in modo non equivoco la volontà di esercitare il proprio diritto alla cessione delle aree.

5) Passando ad esaminare il quinto motivo di ricorso, con cui si deduce la insussistenza del diritto del Comune di pretendere il pagamento di un indennizzo per ritardata cessione delle aree, per violazione dell’art. 2043 c.c., il Collegio osserva quanto segue:

il motivo è fondato.

La richiesta di pagamento di 39.224,86 euro "come ristoro…per la ritardata cessione delle aree" da parte del Comune risulta del tutto priva di fondamento, sia come responsabilità da atto lecito, che richiederebbe un’espressa previsione normativa, nel caso di specie mancante, sia come responsabilità contrattuale o aquiliana, non essendo stati allegati e provati gli elementi costitutivi della relativa responsabilità, rispettivamente dettati dagli artt. 1218 e ss. o 2043 c.c., e, comunque, emergendo dalle suesposte vicende che, nel caso in esame, il ritardo nella cessione delle aree non risulta imputabile alla condotta della società.

6) Quanto al motivo di cui al punto 6 del ricorso introduttivo, ove si lamenta la mancata considerazione, da parte resistente, della proposta della società di addivenire alla monetizzazione delle aree da cedere, si tratta di motivo inammissibile, in quanto la scelta di cui si lamenta l’omissione rientra nelle valutazioni di merito di esclusiva spettanza dell’amministrazione.

7) Infine, sulla violazione degli artt. 10 e ss. della legge 241/1990, dedotti nel motivo n.7, assieme alla violazione del principio del contraddittorio e di quello di buona amministrazione, per non avere l’amministrazione evaso la richiesta della società, contenuta nella memoria depositata ai sensi dell’art. 10 bis l. cit., di essere sentita prima dell’adozione dell’atto conclusivo, il Collegio ritiene il motivo infondato sotto ogni profilo, sia in quanto la partecipazione della società risulta essere stata garantita attraverso lo strumento delle memorie all’uopo previsto, sia poiché non risulta dimostrato che la richiesta audizione, ove assecondata, avrebbe determinato una diversa conclusione del procedimento, attesa l’infondatezza del motivo dedotto sub n. 6.

Passando ad esaminare, a questo punto, le domande formulate nel ricorso incidentale da parte resistente, le stesse – argomentando dalle suesposte considerazioni – devono essere respinte, con particolare riguardo a quella avente ad oggetto la sentenza ex art. 2932 c.c., non ricorrendo – nella vicenda per cui è causa – i presupposti per una pronuncia costitutivasostitutiva del contratto non concluso.

In tal senso, va ribadito come, pur ammettendo l’applicabilità dell’art. 2932 c.c. in presenza di un obbligo di contrarre, qual è quello assunto in una convenzione di lottizzazione avente ad oggetto la cessione delle aree per opere di urbanizzazione, tuttavia, non va trascurato come la pronuncia costitutiva richieda che gli effetti riconducibili alla pronuncia giudiziale assumano contenuto speculare a quelli che si sarebbero prodotti se la parte obbligata avesse correttamente adempiuto la propria obbligazione.

Sennonché, nel caso che qui occupa, è incontestata tra le parti la circostanza della sopravvenuta modifica dell’oggetto dell’obbligazione di cessione delle aree, così come determinato nella convenzione del 1989, a causa della diversa pianificazione urbanistica imposta dai lavori di prolungamento della strada provinciale n. 44 Milano – Meda e, quindi, dalla variante generale al P.R.G. approvata dalla Regione Lombardia con d.G. del 10 marzo 2002.

Ne consegue che difetta, nel caso concreto, uno dei presupposti richiesti dalla cit. norma per una pronuncia siffatta.

Quanto ai motivi aggiunti, depositati il 27 luglio 2010 e aventi ad oggetto il provvedimento comunale di non accoglibilità sia della dichiarazione di agibilità che, conseguentemente, della DIAP del 7.06.2010, il Collegio osserva quanto segue.

I motivi aggiunti fanno leva, in particolare su:

I° motivo aggiunto: la violazione degli artt. 7 e ss. della legge 241/1990 e la violazione dell’art. 10 bis stessa legge, poiché il procedimento avviato con la comunicazione del 9.11.2009 si sarebbe già concluso con il deposito da parte della società della dichiarazione di agibilità in data 8.03.2010 e della DIAP in data 7.06.2010. Per la rimozione degli effetti delle citate dichiarazioni, a mente dell’istante, il Comune avrebbe dovuto, ove la suindicata determinazione fosse interpretata come diniego delle suindicate istanze, effettuare la comunicazione ex art. 10 bis cit., ovvero, ove la stessa fosse intesa come annullamento in autotutela, curare la comunicazione di avvio ex art. 7 legge cit. In ogni caso, la P.A. avrebbe dovuto garantire la partecipazione dell’istante in sede procedimentale che, invece, è stata del tutto omessa.

II° e III° motivo aggiunto: violazione e falsa applicazione degli artt. 5 L.R. n. 1/2007, 25 d.P.R. n. 380/2001; 124 L.R. n. 33/2009; 2, 20 e 21 nonies L.n. 241/1990; violazione della delibera G.R. 3 aprile 2007 n. 8/4502. Eccesso di potere per difetto di motivazione.

Ciò, in quanto le dichiarazioni di agibilità e di inizio attività produttiva sarebbero sostitutive di provvedimento e produrrebbero immediatamente i loro effetti, per cui non potrebbe essere applicato, come erroneamente fatto dall’autorità comunale, l’art. 20 della legge 241, non vertendosi qui in un caso di silenzio – assenso. In ogni caso, il Comune avrebbe dovuto applicare l’art. 21 nonies e garantire la partecipazione al procedimento di autotutela.

I suesposti motivi di ricorso risultano fondati, laddove evidenziano la violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale attuata a danno della ricorrente.

Non v’è dubbio, infatti, che il provvedimento di "rimozione degli effetti" qui gravato (datato 16.06.2010) possa essere qualificato come atto di riesame in autotutela del titolo ormai perfezionato ai sensi dell’art. 5 della legge regionale n. 1 del 2007, secondo cui:

" I procedimenti amministrativi relativi all’avvio, svolgimento, trasformazione e cessazione di attività economiche, nonché per l’installazione, attivazione, esercizio e sicurezza di impianti e agibilità degli edifici funzionali alle attività economiche, il cui esito dipenda esclusivamente dal rispetto di requisiti e prescrizioni di leggi, regolamenti o disposizioni amministrative rientranti nella competenza legislativa regionale, sono sostituiti da una dichiarazione resa, sotto forma di dichiarazione sostitutiva di certificazione o dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, dal proprietario dell’immobile o avente titolo, ovvero dal legale rappresentante dell’impresa che attesti la conformità o la regolarità degli interventi o delle attività. Restano fermi il controllo e la verifica successivi, nonché la vigilanza da parte delle autorità competenti" (primo comma).

Tale conclusione risulta rafforzata in virtù di quanto disposto dalla Giunta regionale Lombardia, in attuazione del terzo comma della citata legge (a mente del quale "La Giunta regionale individua i procedimenti amministrativi cui si applica il comma 1 e per tali procedimenti, nonché per quelli di cui all’articolo 6 predispone la modulistica unificata e provvede alla standardizzazione degli allegati per tutte le amministrazioni interessate"), con la delib. 342007 n. 8/4502, con cui è stato previsto che:

"1. Ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 5, comma 1 della L.R. n. 1/2007, la procedura per l’acquisizione del certificato di agibilità degli edifici destinati ad accogliere attività economiche, di cui agli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380/2001 ed all’art. 28 della L.R. n. 12/2005, è sostituita da dichiarazione resa a firma congiunta del proprietario dell’immobile o avente titolo, ovvero del Legale Rappresentante dell’impresa, e del Direttore dei Lavori sotto forma di dichiarazione sostitutiva di certificazione e/o di atto di notorietà. La dichiarazione di cui sopra, unitamente alla relativa ricevuta di deposito presso l’amministrazione comunale nel cui territorio insiste l’edificio oggetto della dichiarazione, costituisce titolo per l’immediata agibilità dello stesso;

2. Ai sensi di quanto disposto dall’art. 5, c. 3 della L.R. n. 1/2007, i procedimenti relativi alla Denuncia di Inizio Attività di cui agli artt. 41 e 42 della L.R. n. 12/2005 sono avviati mediante presentazione di specifico modulo unificato allo sportello unico per le imprese comunale competente per territorio, o comunque all’ufficio dell’amministrazione comunale individuato come competente alla gestione dei procedimenti di competenza dello sportello unico suddetto, che provvede ad inviarne copia all’ASL e all’ARPA per i successivi controlli di competenza. Tale modulo sostituisce ogni modulo omologo precedentemente in uso presso le amministrazioni comunali;

3. La dichiarazione di inizio attività produttiva di cui all’art. 3 della L.R. n. 8/2007 è resa sotto forma di dichiarazione sostitutiva di certificazione e/o di atto di notorietà e assolve anche l’obbligo di ottemperare alle disposizioni di cui all’art. 48 del D.P.R. n. 303/56 e all’art. 216 del T.U.LL.SS. – R.D. n. 1265 del 1934 e, unitamente alla relativa ricevuta di deposito presso l’amministrazione comunale nel cui territorio l’attività deve essere condotta, costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività;…".

Né si può ritenere, come mostra di credere il patrocinio resistente, che tale vulnus partecipativo possa essere superato dalla valorizzazione del "principio di dequotazione dei vizi formali del procedimento amministrativo…recepito dall’art. 21 octies della legge n. 241/1990" (cfr. pg. 12 della memoria del 2.03.2011 del Comune), posto che, qui difetta lo stesso presupposto richiesto dalla citata norma, nel senso che non può ritenersi affatto "palese" che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. sul punto T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 20 settembre 2010, n. 11084, secondo cui: "La necessità di assicurare la partecipazione procedimentale è in funzione dell’arricchimento che deriva all’azione amministrativa, sul piano del merito e della legittimità, dalla partecipazione del destinatario del provvedimento, di guisa che essa, salvi i casi di comprovate esigenze di celerità, va sempre disposta quando l’amministrazione intende emanare un atto di secondo grado – di annullamento, di revoca o di decadenza…"; analogamente T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 01 marzo 2010, n. 1215; Consiglio Stato, sez. V, 12 novembre 2009, n. 7046, secondo cui: "il dovere di previa comunicazione di avvio del procedimento viene meno ove il contenuto del provvedimento finale sia necessitato e assolutamente vincolato, sicché eventuali osservazioni scaturenti da un rinnovato procedimento a seguito di annullamento del primo provvedimento, questa volta comprensivo della partecipazione, non potrebbero che portare ad una conferma di quanto annullato per il vizio formale, per l’inevitabile adozione di un nuovo provvedimento con identico contenuto").

L’accoglimento delle censure formali consente l’assorbimento dei restanti motivi che, contenendo censure sostanziali afferenti il contenuto del potere esercitato dall’amministrazione, esonerano il Collegio dalla relativa trattazione, essendo rimesso all’autorità amministrativa, in sede di eventuale riedizione del potere, la rinnovata valutazione delle suindicate dichiarazioni, tenendo conto delle considerazioni e delle conclusioni qui assunte in relazione all’odierno ricorso.

Per le superiori considerazioni, il Collegio così statuisce sul ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti in epigrafe specificati:

– respinge la domanda di accertamento proposta in via principale;

– accoglie la domanda subordinata di accertamento negativo della insussistenza di obbligazioni a carico dell’esponente diverse da quelle assunte con la convenzione del 1989, salva la surrogazione reale per le aree espropriate (cit. sopra sub lett.A);

– respinge la domanda incidentale;

– accoglie, nei suesposti sensi, i motivi aggiunti, annullando per l’effetto il provvedimento con essi impugnato.

Sulle spese il Collegio, in considerazione della soccombenza reciproca e della complessità delle questioni affrontate, ravvisa giusti motivi per disporne l’integrale compensazione tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così statuisce:

– respinge la domanda di accertamento proposta in via principale;

– accoglie la domanda subordinata di accertamento negativo della insussistenza di obbligazioni a carico dell’esponente diverse da quelle assunte con la convenzione del 1989, salva la surrogazione reale nei sensi di cui in motivazione;

– respinge la domanda riconvenzionale;

– accoglie, nei suesposti sensi, i motivi aggiunti, annullando per l’effetto il provvedimento con essi impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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