Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-06-2011) 01-07-2011, n. 25943

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 21.10.09 la Corte d’Appello di Palermo confermava la condanna emessa in data 11.6.08 dal Tribunale della stessa sede nei confronti di P.M. per il delitto di ricettazione, aggravata ex art. 61 c.p., n. 2, di un vaglia cambiario di provenienza furtiva.

Tramite il proprio difensore il P. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) mancanza di prova della penale responsabilità del ricorrente, che non poteva dimostrarsi mediante confronto tra la patente di guida contraffatta recante la foto del P. (patente che si assumeva essere stata esibita all’atto della negoziazione in banca del vaglia cambiario) e altra foto del P. medesimo apposta su un documento esistente presso gli uffici di polizia, documento irritualmente acquisito e di cui non si sapeva nulla; lo stesso doveva dirsi in ordine al confronto con le foto segnaletiche del ricorrente esistenti agli atti della Questura, non risultanti nel fascicolo d’ufficio e tali, comunque, da non consentire l’identificazione dell’imputato come la persona che aveva invano tentato di negoziare in banca il vaglia cambiario, anche perchè non era stata effettuata la ricognizione ad opera del cassiere dell’istituto di credito, così come non era stata eseguita nemmeno una ricognizione del titolare della patente di guida;

b) in subordine, dovevano riconoscersi le attenuanti dell’art. 648 cpv. c.p. e dell’art. 62 c.p., n. 4 in considerazione del modesto importo del vaglia (L. 664.000, pari a Euro 332,60).

Motivi della decisione

1- Il ricorso è inammissibile perchè meramente ripetitivo delle doglianze già mosse in sede di appello e motivatamente disattese dalla Corte territoriale, che ha evidenziato che la penale responsabilità dell’odierno ricorrente è stata ravvisata in base alla deposizione dell’ispett. di P.S. D. e dalla coincidenza tra la persona effigiata nella foto apposta sulla patente contraffatta (esibita in banca all’atto della negoziazione del vaglia cambiario oggetto di ricettazione) e il P., come risultante dalle foto segnaletiche in possesso della Questura, documenti acquisiti agli atti, con il consenso della difesa, come risultante dal verbale d’udienza del 26.3.07 e del 17.9.07.

Sempre con motivazione immune da censure la Corte territoriale ha dato conto dell’irrilevanza di una ricognizione personale ad opera del cassiere della banca ove il P. si era recato per cercare di negoziare il vaglia cambiario, nonchè dell’accertamento della fisionomia del vero O.G. (tale era il nome del titolare della patente de qua), essendo comunque certa sia la falsità del documento alla stregua delle indagini svolte (e su cui aveva riferito il teste D.) sia il possesso del titolo da parte del ricorrente.

Anche riguardo all’attenuante dell’art. 648 cpv. c.p. (che erroneamente il ricorso definisce come differente qualificazione giuridica del reato) l’impugnata sentenza ha congruamente motivato, richiamando il costante insegnamento di questa S.C. secondo cui ai fini dell’applicazione dell’ipotesi di particolare tenuità prevista dall’art. 648 cpv. c.p. non ci si può riferire esclusivamente al valore della cosa ricettata, ma si deve avere riguardo a tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto e, dunque, non solo alla qualità e quantità della res provento di delitto, ma anche alle modalità dell’azione, ai motivi della stessa, alla personalità del colpevole e, in sostanza, alla condotta complessiva di quest’ultimo (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 2667 del 9.4.97, dep. 15.5.97; Cass. Sez. 1^ n. 9774 del 20.9.96, dep. 14.11.96; Cass. Sez. 2^ n. 16 del 10.1.95, dep. 15.6.95; Cass. Sez. 1^ n. 10562 del 2.5.90, dep. 25.7.90; Cass. Sez. 1^ n. 7394 del 7.2.89, dep. 19.5.89, e numerose altre).

Pertanto, fra gli elementi da prendere in considerazione ai fini dell’ipotesi in discorso vanno compresi tutti quelli previsti dall’art. 133 c.p. e, quindi, anche i precedenti penali dell’imputato (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 6292 del 29.10.90, dep. 10.6.91; Cass. S.U. n. 13330 del 26.4.89, dep. 11.10.89; Cass. Sez. 2^ n. 590 dell’8.1.88, dep. 20.1.89), come correttamente ha fatto la gravata pronuncia.

Questa Suprema Corte ha altresì puntualizzato che in tema di ricettazione il valore del bene è un elemento concorrente ai fini della valutazione della particolare tenuità del fatto di cui al capoverso dell’art. 648 c.p., nel senso che se esso non è particolarmente lieve deve comunque escludersi l’attenuante, essendo superflua ogni ulteriore indagine; solo se è accertata la lieve consistenza economica del compendio ricettato si può procedere alla verifica degli ulteriori elementi, desumibili dall’art. 133 c.p., che consentono di configurare l’ipotesi di cui al cpv. dell’art. 648 c.p., fermo restando che essa può essere esclusa ove emergano elementi negativi sia sotto il profilo strettamente oggettivo (quali l’entità del profitto) sia sotto il profilo della capacità a delinquere dell’agente (Cass. Sez. 2^ n. 4581 del 23.3.98, dep. 18.4.98; cfr. altresì Cass. Sez. 2^ n. 6898 del 18.5.93, dep. 9.7.93; Cass. Sez. 2^ n. 7821 del 2.4.92, dep. 8.7.92).

In altre parole, la particolare esiguità del valore del bene è requisito necessario, ma non sufficiente, per il riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 cpv. c.p. (cfr. Cass. Sez. 2^ 29.5.09, Lensi).

Quanto all’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, la Corte palermitana ha evidenziato che essa non aveva formato oggetto di specifico motivo d’appello e che, comunque, l’entità del vaglia cambiario non poteva considerarsi trascurabile, considerata altresì l’epoca di commissione del reato (anno 2000).

Orbene, poichè il ricorrente non esamina specificamente – per confutarle – le considerazioni già svolte dal provvedimento impugnato, è appena il caso di rammentare che è inammissibile – per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’art. 581, lett. c) – il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 19951 del 15.5.2008, dep. 19.5.2008; Cass. n. 39598 del 30.9.2004, dep. 11.10.2004; Cass. n. 5191 del 29.3.2000, dep. 3.5.2000; Cass. n. 256 del 18.9.1997, dep. 13.1.1998).

2- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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