T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 06-07-2011, n. 417

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, cittadino indiano, dopo la procedura di emersione, chiedeva il permesso di soggiorno che gli veniva rifiutato in quanto era stato condannato per permanenza irregolare nel territorio nazionale.

A sostegno il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 3 della legge 241 del 90, dell’articolo 97 della costituzione, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, illogicità e carenza di istruttoria.

Resiste in giudizio il Ministero che deposita una relazione.

Nel corso della pubblica udienza del 23 giugno 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

Motivi della decisione

Con il presente ricorso si impugna il rifiuto di permesso di soggiorno causato da una condanna subita dal ricorrente per l’illecita permanenza nel territorio nazionale.

Invero, l’impugnato provvedimento con il quale è stato negato il rilascio al ricorrente del permesso di soggiorno all’esito della procedura di emersione dal lavoro irregolare presentata ai sensi dell’art. 1ter del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, è motivato con riferimento alla circostanza che – come si rileva dagli atti di causa – il lavoratore straniero era stato dapprima espulso per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno e poi condannato per il reato di cui all’art. 14, comma 5ter, prima parte, del D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 296, e che, pertanto, lo straniero, in base al disposto del comma 13, lettera c), del predetto art. 1ter, non avrebbe potuto beneficiare della procedura di emersione; Va ricordato, invero, che il predetto comma 13, dell’art. 1ter, prevede alla lettera c), che non possono beneficiare della procedura di emersione i soggetti che risultino condannati per uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale, cioè, tra l’altro, per i delitti non colposi per i quali è prevista la reclusione superiore al massimo a tre anni;

Invero, il lavoratore straniero in questione era stato condannato per il reato di cui all’art. 14, comma 5ter, prima parte, del D.lgs. 25 luglio 1998, n. 296, per il quale era già prevista all’epoca della commissione del reato la reclusione da uno a quattro anni;

Questo stesso Tribunale ha più volte affermato (da ultimo, con sentenze 11 febbraio 2011, n. 110, e 11 gennaio 2011, n. 18) che la condanna subita, in base alla predetta disposizione normativa, ha valenza automaticamente ostativa alla regolarizzazione richiesta, senza necessità di un’autonoma valutazione della concreta pericolosità sociale del soggetto, che – così come prescritto dalla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio Dir. 16 dicembre 2088/115/CE – può assumere rilievo, in ipotesi, non in sede di applicazione della legge di sanatoria in questione, ma in sede di rilascio di un ordinario permesso di soggiorno.

Come noto, la questione ha formato oggetto dell’esame dell’adunanza plenaria n. 7 del 2011 con una decisione resa in senso favorevole al ricorrente, cui questo Tribunale – in riforma del suo precedente orientamento – intende adeguarsi.

In tale pronuncia il Supremo consesso amministrativo afferma che, in tema di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari condannati, il reato di violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato previsto dall’art. 14, comma 5 ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, punito con una pena edittale fino a quattro anni di reclusione e per il quale è previsto l’arresto obbligatorio il legislatore italiano, non è più compatibile con la disciplina comunitaria delle procedure di rimpatrio di cui alla direttiva 2008/115/CE. Pertanto, l’entrata in vigore della normativa comunitaria ha prodotto l’abolizione del reato previsto dalla disposizione sopra citata, e ciò, a norma dell’art. 2 del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l’esecuzione della condanna e i relativi effetti penali.

Tale retroattività non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato, in quanto il principio del tempus regit actum esplica la propria efficacia allorché il rapporto cui l’atto inerisce sia irretrattabilmente definito, e, conseguentemente, diventi insensibile ai successivi mutamenti della normativa di riferimento. Tale circostanza, evidentemente, non si verifica ove siano stati esperiti gli idonei rimedi giudiziari volti a contestare l’assetto prodotto dall’atto impugnato (Consiglio Stato a. plen., 10 maggio 2011, n. 7).

Ritenuto, pertanto, che il ricorso in esame debba essere accolto e il provvedimento gravato annullato.

Il Collegio ritiene, anche a ragioni delle oscillazioni e incertezze giurisprudenziali, che sussistano giuste ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come da motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Umberto Zuballi, Presidente, Estensore

Michele Eliantonio, Consigliere

Dino Nazzaro, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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