T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 06-07-2011, n. 416 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il presente ricorso proposto sulla base dell’articolo 2 bis della legge 241 del 90, il ricorrente chiede che sia accertata e dichiarata, a causa del comportamento illegittimo della provincia di Pescara in relazione ai procedimenti di assegnazione dei terreni incolti specificati in ricorso, l’esistenza di un danno patrimoniale quantificabile in Euro 450.000, in riferimento alle annualità dal 2003 al 2013, e pertanto nell’importo globale di Euro 4.500.000; si insta altresì per la condanna della provincia di Pescara a corrispondere al ricorrente la citata somma oltre alla rivalutazione e interessi come da legge.

Il ricorrente aveva chiesto ai sensi della legge 440 del 78 e della legge regionale 73 del 1982 l’assegnazione di alcuni terreni incolti in stato di abbandono. La pratica subiva vari ritardi rispetto ai tempi previsti, nonostante i solleciti del ricorrente.

I ritardi e i comportamenti omissivi della provincia appaiono inequivocabili e forieri di danni da ritardo di cui chiede il ristoro.

A sostegno illustra i seguenti motivi:

Sulla domanda di assegnazione dei terreni di proprietà dei signori Clerico, violazione dell’articolo 6 della legge regionale 73 del 1982, responsabilità dell’ente resistente per omessa trasmissione della domanda di assegnazione. Chiede a riguardo il risarcimento del danno da inerzia.

Sulla domanda di assegnazione dei terreni demaniali, violazione dell’articolo 6 della legge regionale 73 del 1982, responsabilità per il ritardo della trasmissione della domanda di assegnazione e nell’adozione del relativo decreto di assegnazione, danno da ritardo.

Per quanto riguarda la domanda di assegnazione dei terreni di proprietà dei signori Pierangeli e Coen e della ditta Sanità di Toppi, violazione sempre dell’articolo 6 della legge regionale 73 del 1982, omessa adozione di provvedimenti di assegnazione, danno da ritardo e da perdita di chance.

Per quanto riguarda il mancato ottenimento dei finanziamenti per i giovani agricoltori, vi sarebbe un danno da perdita di chance.

Il ricorrente spiega poi in dettaglio i danni subiti a causa del comportamento illegittimo e omissivo dell’amministrazione.

Resiste in giudizio la provincia, nel quale rileva come il risarcimento non è automatico ma collegato alla prova dell’inosservanza dolosa o colposa del termine per chiudere il procedimento amministrativo. Inoltre il privato deve utilizzare la procedura in modo corretto e dimostrare che il danno sia dovuto alla condotta illegittima dolosa o colposa dell’amministrazione.

Per quanto riguarda l’assegnazione dei terreni della proprietà Clerico la domanda risulta prescritta. Inoltre il ricorrente non era nella condizione di ottenere l’assegnazione dei terreni.

Per quanto riguarda l’adozione del provvedimento di assegnazione dei terreni demaniali anche in tal caso l’azione è prescritta.

Con riferimento all’omessa adozione di provvedimenti di assegnazione dei terreni di proprietà Pierangeli e Coen e della ditta Sanità di Toppi il ricorso è inammissibile per mancata impugnazione del silenzio. Non vi è poi alcuna traccia probatoria dell’elemento soggettivo dell’illecito.

Quanto alla quantificazione del danno essa risulta generica e imprecisa. La provincia contesta poi punto per punto i singoli motivi di ricorso concludendo per il rigetto del gravame.

In successiva memoria il ricorrente replica alle eccezioni avversarie e ribadisce le proprie argomentazioni.

Con memoria di replica la provincia eccepisce l’inammissibilità dei documenti depositati in ritardo dal ricorrente.

Nel corso della pubblica udienza del 23 giugno 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe parte ricorrente agisce per ottenere il danno da ritardo via principale, e da perdita di chance in via secondaria.

Il ricorso è stato proposto prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, e si fonda infatti sull’articolo 2 bis della legge 241 del 1990 nel testo modificato dalla legge 18 giugno 2009 n. 69.

Va esaminata la questione della prescrizione, espressamente sollevata dalla resistente Provincia.

In merito alla prescrizione, si osserva che il risarcimento invocato dal ricorrente ai sensi dell’articolo 2 bis della legge 241 del 90 nel testo novellato si prescrive in cinque anni decorrenti dal momento in cui scade il termine per adempiere per la pubblica amministrazione. Sulla medesima linea il Consiglio di Stato che in una pronuncia del 2010 rimarca che "la responsabilità civile della p.a. per danni cagionati dall’esercizio non corretto del potere pubblicistico è riconducibile al modello della responsabilità aquiliana, con conseguente soggezione alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947 c.c. In tal senso si pone il condivisibile orientamento della prevalente giurisprudenza amministrativa in una lo "ius superveniens" di cui all’art. 2 bis l. 7 agosto 1990 n. 241 (inserito dall’art. 7 legge 18 giugno 2009 n. 69), che, in tema di danno da ritardo procedimentale, richiede il requisito dell’ingiustizia del danno ex art. 2043 c.c. e prevede "expressis verbis" la prescrizione quinquennale."

La prescrizione quindi concerne sicuramente i due motivi di ricorso riguardanti le prime due proprietà.

In riferimento in generale al danno da ritardo, conviene premettere che una delle novità più significative recate dalla legge 241 del 1990 era costituita dalla previsione inerente all’obbligo di fissazione di un termine per la conclusione di ogni procedimento (art. 2). Il tempo massimo andava stabilito, per ognuno dei procedimenti gestiti, da parte delle singole amministrazioni competenti; in caso di omessa specificazione del termine di conclusione -con atti di natura regolamentare o altri atti a carattere generale- valeva il termine suppletivo indicato nella norma (art. 2), che, originariamente di trenta giorni, venne poi portato a novanta e quindi ancora a trenta, ma coevamente alla stesura di una più articolata disciplina in materia.

All’indomani dell’entrata in vigore di quest’ultima legge, la previsione di termini di durata massima dei procedimenti amministrativi, fu salutata dalla dottrina come segno dell’affermarsi del principio della "certezza del tempo dell’agire della pubblica amministrazione": infatti, in precedenza l’orientamento prevalente, con evidente sottovalutazione delle esigenze di garanzia degli amministrati, rimetteva all’insindacabile determinazione della p.a. la durata temporale dell’azione amministrativa.

Con l’art. 2 della legge nr. 241 del 1990, per la prima volta il legislatore prendeva atto della non neutralità del fattore "tempo" rispetto agli interessi dei destinatari dell’attività amministrativa, e conseguentemente lo sottraeva all’assoluta e incondizionata disponibilità della p.a.; ne è scaturito un lungo e mai sopito dibattito sul significato da attribuire alla indicazione di termini massimi entro cui il procedimento doveva essere concluso e sulle conseguenze del mancato rispetto di essi.

La legge 18 giugno n. 69 del 2009, intervenendo nuovamente sul comma 2 dell’art. 2, ha ripristinato il termine "ordinario" di trenta giorni, che caratterizzava l’impianto originario della legge n. 241/90, eliminando il più lungo termine di novanta giorni che era stato introdotto dalla l. n. 82/2005. Tale termine è espressamente riferito ai soli procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali; a ciò si aggiunge la fissazione di termini massimi anche per i procedimenti autonomamente disciplinati a livello regolamentare dalle varie amministrazioni statali e dagli enti pubblici nazionali: infatti, anche per questi l’attuale comma 3 dello stesso art. 2, diversamente dal previgente comma 2, dispone che tali termini, ancorché previsti in via autonoma, devono comunque essere non superiori a novanta giorni.

Per completezza si rileva che in base al codice del processo amministrativo la previsione specifica sul danno da ritardo si trova nell’art. 30, 4° comma, il quale precisa che il termine (di 120 giorni), specificamente per quanto riguarda il danno da ritardo, non inizia a decorrere "fintanto che perdura l’inadempimento". Qualora l’azione verso il silenzio non sia proposta entro 1 anno dalla scadenza del termine a provvedere, l’azione per danno da ritardo va proposta entro i successivi 120 giorni.

Il ritardo della pubblica amministrazione nel provvedere viene, quindi, considerato alla stregua di un illecito permanente che cessa soltanto al momento dell’adozione dell’atto conclusivo del procedimento.

Il quarto comma dell’articolo 30 si differenzia dal danno previsto espressamente dal precedente terzo comma anche sotto altri profili. Innanzitutto si fa un riferimento espresso all’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, con un richiamo espresso alla legge 241 del 1990, la quale, come noto, pone i termini per la conclusione del procedimento amministrativo.

Il riferimento peraltro viene effettuato alla inosservanza dolosa o colposa, con un richiamo abbastanza palese alle connotazioni della responsabilità aquiliana. Sempre al quarto comma si prevede un onere della prova per il ricorrente in relazione al danno subito a causa dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Infine, il danno viene chiaramente definito come eventuale, riferendosi così alla necessità di fornirne la prova.

In sostanza, sulla base della normativa vigente prima del codice, oltre che sulla base del medesimo codice, il danno da ritardo risulta risarcibile unicamente quando venga provata da parte ricorrente o la colpa ovvero il dolo dell’amministrazione. In sostanza non è sufficiente l’inosservanza del termine procedimentale per far considerare sussistente il danno.

Ne deriva che l’illegittimità dell’atto amministrativo, che si assume essere stata causa di un danno, è un requisito necessario ma non sufficiente per la fondatezza dell’azione risarcitoria, la quale postula che il ricorrente dimostri altresì la sussistenza di un evento dannoso, l’ingiustizia del danno perché incidente su un interesse tutelato dall’ordinamento, il nesso di causalità con la condotta positiva o negativa dell’Amministrazione e la colpa di quest’ultima (Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008 n. 2015).

La giurisprudenza ha quindi ritenuto che il ricorrente debba fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo, a monte, di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito.

Venendo al caso in esame, questo collegio osserva fin da subito che il ricorrente non riesce a dimostrare in ricorso né la colpa né il dolo dell’amministrazione provinciale. Inoltre, non risulta che egli si sia attivato tempestivamente per sollecitare l’amministrazione ad agire, e tale aspetto costituisce un elemento decisivo per giudicare il comportamento della parte.

Più specificatamente, si osserva che, per quanto riguarda l’assegnazione dei terreni di proprietà Clerico, il ricorrente non era nella condizione di ottenere l’assegnazione dei terreni medesimi in quanto la società proprietaria aveva presentato un piano di sviluppo. Inoltre va osservato come il ritardo, che riguardava solamente la trasmissione di atti e le comunicazioni, risulta giustificato sulla base delle complesse vicende proprietarie di detti terreni.

Quanto ai terreni demaniali, il ritardo appare limitato e comunque la relativa azione risulta prescritta nel 2007.

Quanto poi alla presunta perdita dei finanziamenti per i giovani agricoltori, non si riesce a individuare un nesso causale tra il ritardo e la mancata concessione di detti contributi.

Venendo infine al danno derivante dalla mancata assegnazione dei terreni di proprietà Pierangeli – Coen e della Società Sanità di Toppi, si osserva anche in questo caso come manchi ogni prova del nesso causale e come il ricorrente non si è mai attivato avverso l’inerzia dell’amministrazione.

In conclusione, l’intero ricorso va rigettato, in parte perché i relativi diritti risultano prescritti, in parte perché il ricorrente non si è tempestivamente attivato avverso l’inerzia, in parte perché in nessuna delle ipotesi è riuscito dimostrare il nesso causale tra il ritardo e il danno, e da ultimo in quanto la colpa dell’amministrazione non risulta minimamente provata in causa.

Per mero scrupolo di completezza si osserva che il ricorso risulta proposto un giorno prima dell’entrata in vigore del nuovo codice, il quale prevede un termine di decadenza ben più breve dei cinque anni di prescrizione applicabili alla fattispecie.

Le spese di giudizio si possono tuttavia compensare.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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