Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-05-2011) 01-07-2011, n. 25901 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del 23.3.2010, la corte d’appello di Napoli respingeva il ricorso interposto da D.L.P., avverso il decreto con cui gli veniva applicata la misura della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno per cinque anni, l’imposizione di cauzione della somma di Euro 10.000 e la confisca di: a) quote sociali e di beni aziendali della società Confezioni Valent srl di D.L.P., nella disponibilità di D.L. e D.L.C.; b) terreno di mq. 120 ubicato in (OMISSIS), intestato alla D.; immobili siti in (OMISSIS), intestati alla D.; c) quote sociali e beni aziendali della Globo Ittico sas, di M.V. nella titolarità di L.R., M.V. e M. M.; e) automezzo Iveco Eutostar; f) immobili siti in (OMISSIS) intestati a L.; g) locali siti in (OMISSIS), intestati a L.; h) denari depositati su c/c intestato a L.; i) saldo deposito a risparmio intestato a D.M., l) immobili siti in (OMISSIS), intestati a La.Ro..

Avverso il ricorso interposto solo dal D.L., e non dai terzi intestatari, la corte territoriale premetteva che non poteva essere messa in dubbio la pericolosità del ricorrente, raggiunto da numerose pronunce di condanna, latitante al momento della proposta, inserito nella criminalità mafiosa fin dal 1970 e che nel 1981 costituì un autonomo gruppo criminoso di stampo camorristico, operante nel quartiere di (OMISSIS), dove gestiva traffico di stupefacente, contrabbando ed estorsioni. Veniva messo in evidenza che la società Valent era stata costituita per operare nel campo della confezione e poi via via si era estesa fino a comprendere una vastità di oggetti sociali, che segnavano la pluralità degli interessi, in corrispondenza alla versatile capacità del gruppo criminale del D.L. di fare affari in ogni possibile occasione.

Secondo poi il collaboratore di giustizia G.G., l’attività di commercio di abbigliamento in finta pelle, servì al ricorrente per creare una rete internazionale, funzionale alla copertura ed all’appoggio dei latitanti ed al traffico di stupefacente. Quanto alla società Globo veniva messo in evidenza come la stessa fosse funzionale alla Valent, che il M. era soggetto pregiudicato senza risorse economiche così come il Ma. e che L.R. era la moglie del cognato del D.L., D.E., a sua volta a capo di un gruppo criminale inserito nell’organizzazione dei D.L., secondo le indicazioni dei collaboratori. Quanto agli immobili, veniva sottolineato che risultavano intestati alle cognate del D.L., che mai svolsero attività produttive di reddito, con il che sia L.R., che La.Ro. veniva ritenuto avessero operato come prestanomi a favore del ricorrente. Parimenti D. L. non risultava aver dato prova di disponibilità economica autonoma, tale da consentirle l’acquisto di terreno e sostenere le spese per la costruzione di fabbricato stimato del valore di Euro 315 mila. In sostanza la Corte dava atto della mancanza di risorse economiche da parte dei soggetti titolari dei beni, tutti gravitanti nell’orbita del D.L., con il che veniva ritenuta l’interposizione fittizia.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato per dedurre, con unico motivo, motivazione carente, illogica e contraddittoria in ordine ai presupposti soggettivi ed oggettivi, tali da giustificare l’applicazione della misura sia personale che patrimoniale. La corte avrebbe motivato sull’appartenenza del proposto ad un’associazione mafiosa, ma non sull’illecito possesso dei beni confiscati, che era stato escluso attraverso la documentazione prodotta. Sarebbero stati presi spunti per provare la pericolosità del D.L. dalla sentenza n. 5563 del 1983, che invero assolveva il D.L.. Sarebbe stata motivata la misura cautelare sulla base di vicende giudiziarie in cui D. L. fu coinvolto, occorse dal 1973 al 1990, che già furono poste a base della richiesta di applicazione di una precedente misura che venne disattesa. Quanto alle accuse mosse al D.L. per gli omicidi P.V. e D.P.G., il ricorrente venne assolto, ragion per cui gli elementi portati per accreditare la pericolosità del proposto non sarebbero significativi di attualità e perduranza.

Ma soprattutto ritiene la difesa che non sia stata fornita adeguata motivazione sulla illecita provenienza dei beni confiscati. Il terreno di (OMISSIS) fu acquisito dai D.L. per ragioni ereditarie e venne intestato alla D. con un mero passaggio di intestazione. Il terreno fu sempre appartenuto alla famiglia Loffredo di cui era membro la madre del D.L., che acquistò nel 1962 la quota parte del locale terraneo adibito a stalla che venne poi ristrutturata in abitazione, con lavori abusivi come accertato dai vigili del fuoco il (OMISSIS), di talchè il terreno sottoposto a sequestro, non può essere ritenuto bene di provenienza illecita. Quanto alla società Valent, la difesa ribadisce che il D.L. vi ha investito somme guadagnate lecitamente, in parte provento della vendita – da parte della madre del menzionato – di terreno a prezzo considerevolmente più alto di quello apparente. Non solo, ma il D.L. e la D. cedettero nel 1989 le quote della soc. CEDI Piaste e monetizzarono;

ancora, la stessa D. avrebbe ottenuto un mutuo il 1.10.1987, di L. 120 milioni, che le conferì la disponibilità per costituire la Valent con un capitale sociale di L. 20 milioni che risultavano prelevati dal suo libretto di deposito, in data (OMISSIS).

Ancora, rileva la difesa che alla Vallent fu riconosciuto un credito di imposta di L. 171 milioni nell’anno 1990 e che ai coniugi D. L. – D. venne erogato nel 1992 un mutuo di L. 180 milioni, questo a comprova della redditività dell’azienda. Il tutto a dimostrazione delle disponibilità economiche ed immobiliari dei genitori del menzionato, che gli avrebbero consentito di svolgere l’attività imprenditoriale nella massima trasparenza e liceità. 3. Il Procuratore Generale ha chiesto di rigettare il ricorso, avendo la corte dato ampio dettaglio degli elementi in fatto che portano a ritenere il requisito della pericolosità; quanto alle censure di ordine patrimoniale, la corte ha sostenuto la disponibilità solo fittizia dei beni, attesa la mancanza di prove della provenienza lecita delle risorse impiegate per gli acquisti.

4. Nelle more della decisione, è stata depositata memoria con note difensive dell’avv. Giovanni Aricò, con cui è stato evidenziato che era intervenuto un giudicato sostanziale rispetto ai fatti ed ai beni acquisiti dal proposto e dai suoi familiari, almeno fino al 1990, su cui il giudice a quo avrebbe serbato un silenzio che oggi imporrebbe l’annullamento del decreto per motivazione apparente. Viene fatto rilevare che a maggior ragione, in un caso quale quello di specie, in cui all’epoca vennero ritenute generiche le accuse, l’iter logico per addivenire alla conferma della misura patrimoniale avrebbe dovuto essere più incisivo. Era stato sottolineato che il terreno su cui insisteva la palazzina era stato acquisito iure ereditario, non solo, ma era stato provato che l’attività lavorativa del D.L. e della moglie si era snodata per un ventennio, per cui sarebbe oltremodo fondata la censura per l’uso di formule meramente assertive a sostegno del provvedimento.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Va ricordato preliminarmente che nel processo di prevenzione il ricorso per Cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, in forza della L. n. 1423 del 1946, art. 4, comma 11, alla stregua del richiamo operato dalla L. n. 575 del 1956, art. 3 ter, comma 2.

Ne consegue che in sede di legittimità non è deducibile il vizio di motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente, o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, cioè priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, ovvero quando la motivazione si ponga come inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, casi questi in cui ben può ravvisarsi violazione di legge, per mancata osservanza dell’obbligo sancito dall’art. 4 di provvedere con decreto motivato. Nel caso di specie, non può essere condivisa la denuncia elevata contro la motivazione del decreto impugnato di essere talmente apparente o incongrua da giustificare doglianza in sede di legittimità. Deve essere infatti sottolineato che il giudizio di pericolosità sociale del D.L. è stato espresso sulla base di elementi di fatto tra cui i contatti conclamati con esponenti di massimo livello della camorra organizzata, desunti da plurime sentenze di condanna ed anche da una sentenza assolutoria per insufficienza di prove del 1983 dal reato di cui all’art. 416 bis c.p., che pur faceva emergere la pericolosità del prevenuto (attesa l’assoluta autonomia dei giudizi sulla responsabilità penale e sulla pericolosità sociale), nonchè da numerose annotazioni di polizia.

Da tale quadro, consolidato dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, i giudici hanno desunto argomenti per concludere su un’attività delinquenziale svolta dal D.L., senza soluzione di continuità, a partire dagli anni settanta, fino ad assumere posizione di vertice nella struttura piramidale della consorteria operante sul territorio di (OMISSIS), integrante un pericolo per la sicurezza della collettività, con carattere di attualità. Il ragionamento seguito non può essere incongruo e tale da integrare un vizio di violazione di legge.

Quanto poi alle misure di carattere patrimoniale, è stato dato atto della assoluta mancanza di prova sulla provenienza lecita delle risorse con cui il D.L. acquisì le proprietà immobiliari e le partecipazioni societarie di cui si è detto sopra. La Corte d’appello e prima ancora il Tribunale, hanno argomentato sulla sproporzione e sulla inconsistenza delle giustificazioni addotte con passaggi motivazionali idonei a dare ragione della esatta interpretazione degli elementi probatori, nonchè della esatta applicazione delle regole logiche che hanno condotto a scegliere l’una piuttosto che l’altra delle conclusioni. Del tutto ragionevole è la ritenuta mancanza di prova che le somme provenienti dalla vendita di un immobile della madre del D.L. siano confluite nei redditi del figlio; parimenti l’asserito rimborso IVA ottenuto dal proposto è stato congruamente giudicato elemento più a carico che non a difesa, atteso che comprovava l’avvenuto acquisto di macchinari per oltre L. 370 milioni, somma di cui ancora una volta era indimostrata la lecita provenienza. Quanto all’acquisto del terreno da parte della moglie del D.L. e della costruzione sullo stesso edificata, non sono state ritenute documentate le disponibilità preesistenti per fare fronte ad un esborso così consistente con valutazioni di per sè insindacabili in sede di legittimità, ma che sorreggono un iter logico idoneo a fare risultare le ragioni che hanno giustificato la misura. Del pari altamente significative sono state ritenute le numerose interposizioni che sono state elencate.

Non conduce a diversa valutazione l’argomento secondo cui fino agli anni novanta sul D.L. non sarebbe stato riconosciuto alcun indizio di pericolosità sociale, tanto che una precedente richiesta di misura di prevenzione fu rigettata, atteso che l’acquisizione di nuovi elementi facenti luce su un passato non adeguatamente approfondito, consenta una nuova valutazione . In proposito, vale la pena di ricordare che secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite (sentenza n. 600 del 29.10.2009), in tema di misure di prevenzione, la preclusione del giudicato opera rebus sic stantibus e non impedisce la rivalutazione della pericolosità ai fini dell’applicazione di una nuova o più grave misura, ove si acquisiscano ulteriori elementi in precedenza non valutati, che comportino un giudizio di maggiore gravità della pericolosità stessa. Pertanto, il mancato accoglimento di una proposta di misura di prevenzione nei lontani anni novanta non fa scattare alcuna preclusione e non può oggi essere addotta quale prova di mancanza di pericolosità del proposto, a fronte di un quadro molto variegato e sviluppatosi negli anni successivi di progressiva manifestazione dei presupposti per l’adozione delle misure in oggetto.

Non è dunque apprezzabile alcun profilo di violazione di legge nel decreto impugnato, cosicchè deve conseguire il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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