T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 06-07-2011, n. 5975 Agricoltura e alimenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente, dopo aver ricostruito la normativa comunitaria e nazionale sul regime delle c.d. "quote latte", con il gravame RG n. 9687/1998, ha impugnato, per l’annullamento, la comunicazione inviata ai sensi dell’art. 2, comma 5, della legge n. 5 del 1998 con cui AIMA (ora AGEA), con riferimento alle due annate 1995/96 e 1996/97, ha determinato i quantitativi di latte prodotti nelle predette annate ed ha assegnato i QRI (quantitativi di riferimento individuali) di riferimento per le campagne dal 1995/1996 al 1997/1998. Contestualmente, la ricorrente ha chiesto l’annullamento del D.M. 17 febbraio 1998 che ha regolato le procedure di accertamento dei quantitativi di latte prodotto e commercializzato nelle annate 1995/96 e 1996/97.

Al riguardo, la parte deducente ha proposto i seguenti motivi:

1) illegittimità comunitaria per violazione e falsa applicazione dei Reg. CE n. 3950/1992 e 536/1993 per determinazione retroattiva dei QRI; eccesso di potere per mancata disapplicazione del D.L. n. 411/1997, convertito in legge n. 5/1998, per contrasto con il Reg. CE n. 3950/1992.

Il D.L. n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998, che consente ad AIMA di determinare il QRI di riferimento in via retroattiva, si pone in contrasto con i Reg. CE n. 3950/92 e n. 536/93 nella parte in cui richiedono, in materia di "quote latte", certezza e chiarezza dei rapporti giuridici.

In ragione di ciò, AIMA avrebbe dovuto disapplicare la normativa nazionale anche perché la determinazione retroattiva (e anche provvisoria) della quota si pone in contrasto con il principio di legittimo affidamento, anch’esso di derivazione comunitaria.

Peraltro, vi è un palese sviamento dell’interesse pubblico in quanto si tenta di scaricare sui produttori di latte le inefficienze del sistema;

2) violazione e falsa applicazione del Reg. CE n. 3950/1992, degli artt. 2, 4 e 5 della legge n. 5 del 1998 nonché degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990 (mancata distribuzione del QGG e mancato aggiornamento dei QRI; comunicazione di QRI non definitivo e oltre i termini; difetto di motivazione); eccesso di potere.

L’art. 2, comma 1, della legge n. 5 del 1998 ha previsto che l’assegnazione delle QRI deve tenere conto delle risultanze della Commissione di indagine che ha stabilito che i dati e le quote attribuite in passato sono inattendibili.

Ora, in disparte il problema dell’assegnazione retroattiva delle QRI, la quota attribuita alla ricorrente viola la normativa comunitaria in quanto conferma la quota già assegnata che era stata dichiarata, come detto, inattendibile.

Peraltro, la comunicazione alla ricorrente è stata effettuata in ritardo rispetto ai termini previsti dall’art. 2, comma 1, della legge n. 5 del 1998;

3) violazione e falsa applicazione dei Reg. CE n. 3950/1992 e 536/93, degli artt. 2 e 5 della legge n. 5/1998, e degli artt. 3 e 7 della legge n. 241/90 (per attribuzione di QRI ripartito in quota A e B per i produttori associati ed in unica quota per quelli non associati; mancata motivazione relativamente alla riduzione della quota B).

Lo Stato italiano ha introdotto il sistema delle quote A e B che non è previsto nella normativa comunitaria.

Peraltro, è stato imposto un taglio drastico della quota B senza alcuna motivazione, in violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, dell’art. 17, comma 25, della legge n. 127 del 1997 e dell’art. 2, comma 10, della legge n. 5 del 1998 (illegittimità derivata della comunicazione AIMA per illegittimità del D.M. 17 febbraio 1998 quale atto presupposto).

Il D.M. 17 febbraio 1998, emanato ai sensi dell’art. 2, comma 10, della legge n. 5 del 1998, è illegittimo in quanto, trattandosi di un atto avente natura regolamentare, non è stato adottato con la procedura di cui all’art. 17 della legge n. 400 del 1988;

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 5 del 1998 e degli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per insufficiente e inadeguata istruttoria; disparità di trattamento, illogicità e manifesta ingiustizia delle previsioni contenute negli artt. 1 e 3 del DM 17 febbraio 1998 (illegittimità propria del DM 17 febbraio 1998).

L’AIMA, ai fini dell’attribuzione delle QRI ai produttori, ha determinato i quantitativi di latte senza essere in possesso di dati certi sulla produzione e sulla commercializzazione nel periodo di riferimento (anni 1995/96 e 1996/97).

Con D.M. 17 febbraio 1998, attuativo della legge n. 5 del 1998, è stato previsto che l’AIMA potesse omettere di effettuare una verifica in concreto del quantitativo di latte prodotto e commercializzato, operando invece su presunzioni basate su dati statistici e meri calcoli matematici.

Ciò si pone in contrasto con la normativa comunitaria e nazionale che richiedono l’accertamento in concreto della produzione di che trattasi;

6) violazione degli artt. 117 e 118 della Cost. nonché del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni affermato dalla Corte Costituzionale in materia di controllo sulla produzione lattiera con sentenza n. 520/95.

La determinazione delle QRI da assegnare ai produttori si pone in contrasto con la sentenza n. 520/1995 della Corte Costituzionale che ha sancito la necessità dell’acquisizione del parere degli enti territoriali nel procedimento di riduzione delle quote spettanti ai produttori, necessario a maggior ragione in caso di attribuzione retroattiva delle quote.

Si è costituita in giudizio AIMA per resistere al ricorso.

Con ordinanza n. 2271/1998, è stata accolta la domanda di sospensiva.

Con ricorso RG n. 13418/1999, la ricorrente ha, poi, impugnato, per l’annullamento, la comunicazione inviata ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 118 del 1999 ricevuta nel mese di ottobre 1999 con cui AIMA (ora AGEA), con riferimento alle due annate 1995/96 e 1996/97, ha comunicato i dati relativi al prelievo supplementare derivante dalla compensazione effettuata a livello nazionale.

In sintesi, la parte ricorrente ha proposto i seguenti motivi:

– con i primi tre motivi, ha ribadito le censure contenute nel ricorso RG n. 9687/1998 riguardanti l’illegittimità della assegnazione retroattiva delle QRI per violazione dei principi di derivazione comunitaria di certezza del diritto e di affidamento, oltre all’illegittimità del D.M. 17 febbraio 1998 che ha consentito ad AIMA l’accertamento dei dati di produzione di latte solo in via presuntiva;

– con il quarto motivo, si deduce la mancanza di motivazione dei dati relativi alla compensazione nazionale;

– con il quinto motivo, si censura la legittimità della richiesta di prelievo in quanto basata su dati presupposti (come le assegnazioni di QRI), sospesi in via giurisdizionale;

– con il sesto motivo, si deduce l’illegittimità della nota dell’ottobre 1999 in quanto si limita a confermare i dati contenuti in quella analoga di luglio 1999, poi sostituita con quella impugnata in questa sede;

– con il settimo motivo, si lamenta la non corretta imputazione degli interessi in quanto la comunicazione è arrivata prima nel mese di luglio 1999 e poi nel mese di ottobre 1999, mentre i predetti interessi sono stati calcolati dal 1° settembre 1996 (per l’annata 1995/96) e dal 1° settembre 1997 (per la campagna 1996/97);

– con gli ultimi motivi, si ribadisce ancora una volta l’illegittimità della procedura di compensazione prevista dall’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43 del 1999 per contrasto con l’art. 2 del Reg. CE n. 3950/1992 e l’art. 3, comma 3, del Reg. CE 536/1993;

La ricorrente, infine, con riferimento alla comunicazione impugnata, deduce una serie di violazioni formali concernenti il difetto di sottoscrizione e le modalità di invio.

Con ordinanza n. 3645/1999, è stata accolta la domanda di sospensiva.

In prossimità della trattazione del merito, la ricorrente ha depositato memorie e documentazione e, dopo aver richiamato una serie di nuovi elementi nel frattempo emersi (relazione dei Carabinieri dell’aprile 2010 e esito dell’indagine condotta dalla Commissione di indagine sul tenore di materia grassa insediata nel 2009), ha insistito per l’accoglimento del ricorso e, in subordine, per il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia della CE, previa sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c..

Alla pubblica udienza del 21 giugno 2011, il Collegio ha trattenuto le cause in decisione.

Motivi della decisione

1. Va, anzitutto, disposta la riunione dei ricorsi RG nn. 9687/1998 e 13418/1998 per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, ai sensi dell’art. 70 del D.lgs 2 luglio 2010, n. 104.

2. La Sezione si è già occupata della questione relativa all’assegnazione retroattiva dei QRI ai singoli produttori con alcune pronunce del dicembre 2008 (per tutte, TAR Lazio, sez. Seconda Ter, 15 dicembre 2008, n. 11376 e 10 maggio 2010, n. 10588).

In quelle sedi, dopo aver richiamato (una tra tutte) la propria precedente sentenza n. 10345/2000 con cui aveva sollevato, sul punto dell’assegnazione in via retroattività delle QRI, questione di pregiudizialità dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità europea (anche CGCE), la Sezione ha dato atto che, con decisione del 25 marzo 2004 C480, la CGCE ha fornito una serie di indicazioni che sono utili per rispondere alle censure proposte con il ricorso in esame.

3. A tale riguardo, è necessario richiamare, anche per comodità espositiva, la (chiara) ricostruzione normativa del regime delle quote latte, come riportata nella predetta sentenza della Sezione n. 10345/2000.

3.1 Il problema dell’eccesso di produzione nel settore lattierocaseario si pose, a livello comunitario, nel 1968 con il Regolamento n. 804/68 CEE del 27 giugno che istituì una organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari; dapprima venne previsto un sistema di premi per la non commercializzazione del latte e la riconversione delle mandrie bovine con il Regolamento 1078/77 CEE del 17 maggio 1977, ed un prelievo di corresponsabilità gravante, in maniera uniforme, sull’insieme dei quantitativi di latte consegnati alle latterie con il Regolamento di pari data n. 1079/77 CEE; considerato però che nonostante detto prelievo l’aumento della raccolta del latte continuava a ritmi tali da creare difficoltà al mercato comune, si ritenne di individuare il sistema migliore per equilibrare domanda ed offerta, pur non nascondendosi le difficoltà amministrative di applicazione, nell’instaurazione di un prelievo supplementare, per un periodo di cinque anni, sui quantitativi di latte raccolto oltre un limite, detto di garanzia, fissato per la produzione dell’intera Comunità, da suddividere per ogni singolo stato, con l’assegnazione ad ognuno di un quantitativo globale garantito (QGG). Detto sistema venne introdotto con il regolamento n. 856/84 CEE del 31 marzo 1984 che, integrando il precedente regolamento n. 804/68, aggiunse l’articolo 5 quater con il quale si stabilirono le quote globali garantite per ogni stato membro, i periodi di produzione entro i quali verificare l’eventuale eccedenza, dal 1 aprile al 31 marzo dell’anno successivo, due formule alternative di prelievo, A e B, a seconda che questo fosse dovuto dal produttore o dall’acquirente, nonché la necessità di individuare quote di riferimento individuale per ogni produttore e relative ad ogni campagna, la somma delle quali era pari al quantitativo globale garantito allo Stato annualmente. La normativa comunitaria introdusse anche il sistema delle compensazioni, che prevedeva appunto la possibilità di compensare produzioni inferiori alla quota assegnata con produzioni superiori, talchè il prelievo era dovuto solo sull’eccedenza risultante dall’effettuata compensazione.

Il primo concreto tentativo di dare attuazione a detto sistema in Italia può essere individuato nell’approvazione della legge 2 novembre 1992 n. 468.

Per quanto qui interessa, detta legge istituì i bollettini provinciali recanti l’elencazione dei produttori titolari di quote latte; suddivise le quote individuali in due parti: la quota A pari alla indicazione produttiva assegnata nel periodo 199192, corrispondente alla quantità di prodotto commercializzata nel periodo 198889; la quota B pari alla maggiore quantità commercializzata dai produttori titolari della quota A nel periodo 199192, rispetto al periodo 198889; per quelli entrati in produzione successivamente alla campagna 198889 veniva attribuita una quota B pari alla quantità di prodotto commercializzato nel periodo 199192. La mancata produzione per un periodo di 12 mesi, elevabili a 24 in casi di forza maggiore o impossibilità sopravvenuta, comporta la perdita della quota che confluisce nella riserva nazionale. Alle regioni viene affidato il controllo sulla produzione effettiva. Alle associazioni di produttori può essere affidata la gestione unitaria delle quote latte dei produttori aderenti. L’Italia sceglie la formula A di cui al regolamento comunitario n.804/68, con prelievo gravante sul produttore. Agli acquirenti è affidato il compito di effettuare le compensazioni tra minori e maggiori produzioni consegnate, rispetto alle quote individuali assegnate, e di operare il dovuto prelievo supplementare. La compensazione a livello nazionale è invece affidata all’A.I.M.A. L’articolo 9 prevede poi la misura del prelievo per la produzione eccedente le quote A e B per il periodo 1 gennaio 31 marzo 1993, pari a Lire 54.305 per ogni 100 chilogrammi di prodotto in eccesso. La quotalatte può essere, a determinate condizioni, ceduta, totalmente o parzialmente, anche per singole annate, senza alienare l’azienda agricola.

Un mese dopo l’approvazione della legge nazionale n. 468/92 il Consiglio della CE approvava un nuovo regolamento, istitutivo di un prelievo supplementare per sette periodi consecutivi di dodici mesi a decorrere dal 1 aprile 1993, pari al 115% del prezzo indicativo del latte ( Regolamento n. 3950/92 del 28 dicembre 1992). Veniva assegnato all’Italia un più elevato quantitativo globale e veniva stabilito, all’articolo 4, che il quantitativo di riferimento individuale doveva essere pari al quantitativo disponibile in azienda al 31 marzo 1993, con eventuali adattamenti per i periodi successivi in modo che la somma dei quantitativi di riferimento individuali non fosse superiore al quantitativo globale. Veniva peraltro prevista la possibilità di chiedere ed ottenere un aumento della quota, in presenza di determinate circostanze, da attingere dalla quota di riserva nazionale nella quale confluiscono le quote dismesse.

Il successivo regolamento della Commissione, di attuazione di quello del Consiglio, n.536/93 del 9 marzo 1993 disciplina dettagliatamente, all’articolo 3, gli adempimenti degli acquirenti, ai quali è demandato il compito di controllare la corrispondenza del prodotto consegnato rispetto a quello assegnato, e di effettuare, entro tempi prestabiliti, sia le comunicazioni all’Autorità di controllo che i prelievi supplementari dovuti; l’articolo 7 disciplina le attività di controllo sempre rimesse agli acquirenti, responsabili delle relative contabilizzazioni, e gli obblighi di conservazione dei documenti. Per le vendite dirette dei produttori, non tramite gli acquirenti, dispone l’articolo 4 che prevede dichiarazioni dei produttori stessi in ordine alle quantità vendute.

Sistemi di riduzioni delle quote, previsti nei regolamenti in relazione alla mancata produzione, vengono disciplinati dalla normativa nazionale, sia con il DPR 23 dicembre 1993 n. 569, che assegna alle regioni il compito di verificare la rispondenza della quantità di prodotto commercializzata alla quota assegnata a ciascun produttore e individua criteri per la riassegnazione ridotta, sia con il decreto legge 23 dicembre 1994 n.727, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 1995 n.46, che all’articolo 2 disciplina i sistemi di riduzione sia della quota A che della quota B, per quantitativi non in produzione, da effettuarsi entro il 31 marzo 1995 e con effetto a partire dal periodo 19951996. L’articolo 2 bis prevedeva la possibilità per i produttori di autocertificare la propria produzione ai sensi della legge 4 gennaio 1968 n.15, in ogni caso di contestazione e nelle more dell’accertamento definitivo: detta disposizione risulta abrogata a decorrere dallo stesso periodo 199596 dall’articolo 2 del d.l. 23 ottobre 1996 n. 552 convertito in legge 20 dicembre 1996 n.642.

Proprio a partire dalla campagna agricola 199596 cominciano, anche in relazione alle suddette vicende normative riguardanti l’autocertificazione delle produzioni ed il riscontrato superamento del quantitativo globale assegnato all’Italia, a verificarsi serie difficoltà di accertamento delle effettive produzioni che, in base al sistema normativo vigente, costituivano elemento essenziale per la determinazione della quota individuale di riferimento. La Corte Costituzionale, con una prima sentenza del 28 dicembre 1995, n. 520, ha dichiarato illegittimo l’articolo 2 primo comma del decreto legge n. 727/94, convertito in legge n. 46/95, nella parte in cui, nella determinazione delle riduzioni delle quote individuali dei produttori di latte, escludeva la partecipazione, quanto meno nella forma della richiesta di parere, delle regioni interessate.

Anche la successiva norma, contenuta nella legge finanziaria 23 dicembre 1996 n. 662, all’articolo 2, comma 168, che stabilisce i criteri per l’effettuazione delle compensazioni, veniva annullata dalla Corte Costituzionale con sentenza 11 dicembre 1998 n. 398, nella parte in cui non prevedeva la previa acquisizione del parere delle Regioni e delle Province autonome.

Appare evidente che l’annullamento di norme sulla base delle quali erano state effettuate le riduzioni delle assegnazioni delle quote e le compensazioni, ha comportato necessariamente un ritardo nella procedura ordinaria, in quanto il Parlamento è stato costretto a ridisciplinare la materia "ora per allora".

Invero anche l’incertezza in ordine alle effettive produzioni, in parte causata dal sistema dell’autocertificazione rimasto in vigore per un certo periodo e poi ritenuto normativamente inaffidabile, come sopra detto, ha contribuito alla determinazione legislativa di ridisciplinare la materia, partendo dalla istituzione di una commissione governativa d’indagine in materia di quote latte, prevista nell’articolo 1 comma 28 del decreto legge 31 gennaio 1997 n.11, come sostituito dalla legge di conversione 28 marzo 1997 n.81. A tale commissione veniva affidato il compito di "accertare la sussistenza di eventuali irregolarità nella gestione delle quote da parte di soggetti pubblici e privati, nonché di eventuali irregolarità nella commercializzazione di latte e prodotti lattieri da parte dei produttori o nella relativa utilizzazione da parte degli acquirenti…., anche in relazione all’effettiva produzione nazionale, e l’efficienza dei controlli svolti dalle amministrazioni competenti". Sulla base delle risultanze dei lavori della commissione l’A.I.M.A. avrebbe dovuto provvedere alla rettifica degli elenchi dei produttori sottoposti a prelievo supplementare per il periodo 199596 e ad operare i conseguenti conguagli in sede di compensazione nazionale per il periodo 199697 (comma 35 del citato art.1).

Per rendere esaustiva la procedura di accertamento della produzione lattiera relativa alle campagne 199596 e 199697 e coinvolgere maggiormente le regioni e le province autonome, secondo le indicazioni della Corte Costituzionale, interviene altro decreto legge, 1 dicembre 1997 n.411, convertito in legge con modificazioni dall’articolo 1 comma 1 della legge 27 gennaio 1998 n.5, il quale all’articolo 2 dispone che l’A.I.M.A. "sulla base della relazione della commissione governativa d’indagine, delle risultanze delle rilevazioni straordinarie dei capi bovini da latte effettuata ai sensi del decreto legge 19 maggio 1997 n. 130, convertito con modificazioni dalla legge 16 luglio 1997 n. 228, delle dichiarazioni di contestazione di cui al decreto 15 maggio 1997 del Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali… dei controlli effettuati e già comunicati dalle regioni e dalle province autonome, degli altri elementi in suo possesso e dell’attività del comitato di coordinamento delle iniziative in materia di gestione delle quote latte di cui al decreto 16 settembre del Ministro per le politiche agricole nonché dei modelli L1 pervenuti entro la data di entrata in vigore del presente decreto, determina gli effettivi quantitativi di latte prodotto e commercializzato nei periodi 199596 e 199697….."; ai sensi del comma 5 dello stesso articolo l’A.I.M.A. comunica ai produttori entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge i quantitativi di riferimento individuali assegnati ed i quantitativi di latte commercializzato, accertati nei modi precedentemente indicati; avverso detti accertamenti è dato ricorso di riesame avanti le regioni e le province autonome, che devono decidere entro ottanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione del ricorso. Il comma 11 dispone quindi che "In esito agli accertamenti effettuati ed alle decisioni dei ricorsi di riesame, l’A.I.M.A. apporta le conseguenti modifiche alle risultanze dei modelli L1 e ai quantitativi di riferimento individuali, ai fini delle operazioni di compensazione nazionale e del pagamento del prelievo supplementare."

Definite le operazioni di accertamento della produzione lattiera per i periodi 199596 e 199697, il Governo italiano comunica all’Unione europea l’esatta produzione per la rettifica dei prelievi dovuti; i risultati delle compensazioni sono trasmessi alle regioni ed alle province autonome, che le comunicano agli acquirenti, responsabili dei versamenti dovuti a titolo di saldo e di prelievo e delle eventuali restituzioni ai produttori per le somme trattenute in eccedenza.

L’articolo 4 bis, introdotto dalla legge di conversione n.5/98, istituisce infine una commissione di garanzia, composta di esperti, con il compito di "verificare la conformità alla vigente legislazione delle procedure e delle operazioni effettuate per la determinazione della quantità di latte prodotta e commercializzata nei periodi 199596 e 199697 e per l’aggiornamento dei quantitativi di riferimento spettanti ai produttori per i periodi previsti nel presente decreto".

Quindi il decreto ministeriale 17 febbraio 1998 detta le modalità di comunicazione ai produttori dei quantitativi di riferimento individuali assegnati e delle quantità commercializzate, disciplinando le motivazioni relative alle singole anomalie riscontrate nelle operazioni complessive di accertamento; regola poi la procedura dei ricorsi di riesame davanti alle regioni ed alle province autonome.

Le difficoltà di accertamento relative alla produzione del latte nei periodi in questione comportarono l’impossibilità di rispettare i termini previsti dalla suddetta normativa per l’esame dei ricorsi e per le comunicazione agli interessati delle quote di riferimento individuale e delle compensazioni, talché i termini vennero differiti con l’articolo 45 comma 27 della legge 23 dicembre 1998 n. 448, che considerò ricevibili le decisioni di riesame pervenute all’A.I.M.A. entro il 10 gennaio 1999.

Ritenuti quindi acquisiti tutti gli elementi necessari, il Governo ha emanato il decreto legge 1 marzo 1999 n.43 (convertito in legge con modificazioni dalla legge 27 aprile 1999 n. 118) che assegna alla stessa A.I.M.A. il termine di sessanta giorni per effettuare le compensazioni nazionali per i periodi di produzione lattiera 199596 e 199697 (articolo 1 comma 1): "L’esubero complessivo nazionale, sul quale è calcolato il prelievo da ripartire tra i produttori, è costituito dalla differenza tra il quantitativo nazionale garantito ed il latte complessivamente prodotto e commercializzato in ciascun periodo", i risultati delle compensazioni devono essere comunicati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge ai produttori, agli acquirenti ed alle regioni e province autonome.

Il comma 12 afferma solennemente che i risultati delle compensazioni nazionali effettuati ai sensi della nuova normativa sono finalmente definitivi ai fini del pagamento del prelievo supplementare, dei relativi conguagli e della liberazione delle garanzie. Gli acquirenti, ricevuta la comunicazione dall’A.I.M.A. dei prelievi da effettuare per le campagne 199596 e 199697, devono provvedere entro trenta giorni a versare gli importi trattenuti, nella misura complessivamente dovuta, ed a restituire eventuali eccedenze, dandone comunicazione alle regioni ed alle province autonome (comma 15). Può essere disposta una rateizzazione per il pagamento del prelievo (comma 16). Il comma 17 disciplina quindi una procedura di verifica da parte degli acquirenti degli accertamenti effettuati, nel caso siano difformi dalle dichiarazioni di commercializzazione da essi presentate, sempre per i periodi 199596 e 199697; se confermano i dati accertati, modificando quindi le dichiarazioni a suo tempo rese, restano esenti dalle sanzioni amministrative e dalla revoca del riconoscimento come acquirente. "In ogni caso, gli accertamenti effettuati e le decisioni dei ricorsi di riesame costituiscono a tutti gli effetti modifica delle risultanze dei modelli L1 a suo tempo inviati, ferme le procedure sanzionatorie previste dalla legge".

Con tre decreti ministeriali, 21 maggio 1999 n.159, 15 luglio 1999 n.309 e 10 agosto 1999 n.310, infine, il competente Dicastero delle politiche agricole ha dettato disposizioni regolamentari per le procedure di riesame effettuate dalle regioni e dalle province autonome, riguardanti fattispecie specifiche.

3.2 Emerge, in particolare, dalla predetta ricostruzione che, a fronte della difficoltà di avvio del regime delle quote latte nello Stato italiano (sia per l’assenza di dati certi che per il mancato coinvolgimento delle Regioni nell’accertamento e nelle procedure di riduzione dei QRI da assegnare ai produttori), il legislatore nazionale ha dovuto introdurre una serie di misure, reiterate più volte, per accertare i dati di produzione e commercializzazione del latte, unitamente alla possibilità per gli interessati di proporre istanze di riesame in caso di controversie sul punto.

In particolare, tale attività di accertamento, seppure nella parte in cui erano state riscontrate anomalie (con riferimento, ad esempio, al contenuto formale e sostanziale dei modelli L1 sottoscritti dai produttori e dagli acquirenti), è stata reiterata più volte, prima con la legge n. 5 del 1998 (attuata dal DM 17 febbraio 1998) e poi dalla legge n. 118 del 1999 e dai successivi decreti ministeriali di attuazione (i citati DD.MM. 21 maggio 1999 n.159, 15 luglio 1999 n.309 e 10 agosto 1999 n.310).

4. Ciò premesso, come si è poi avuto modo di rilevare nella citata sentenza della Sezione n. 11376/2008, la Corte di Giustizia della Comunità europea, sul punto della compatibilità comunitaria delle norme nazionali che prevedono l’assegnazione retroattiva delle QRI, ha dato, in termini di legittimità, risposta positiva con sentenza del 25 marzo 2004 C480, con statuizioni che, come noto, costituiscono un vincolo per il giudice nazionale.

Ed invero, la Corte di Giustizia CE, con la citata pronuncia, ha chiarito che gli artt. 1 e 4 del regolamento n. 3950/92, che istituiscono il regime del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari, nonché gli artt. 3 e 4 del regolamento n. 536/93, che stabiliscono le modalità di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro, a seguito di controlli, rettifichi i quantitativi di riferimento individuali attribuiti ad ogni produttore e conseguentemente ricalcoli, a seguito di riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, i prelievi supplementari dovuti successivamente al termine di scadenza del pagamento di tali prelievi per la campagna lattiera interessata.

La Corte europea è arrivata a tale conclusione dopo aver ricostruito la ratio del regime di prelievo supplementare sul latte, finalizzato a ristabilire l’equilibrio fra domanda e offerta sul mercato lattiero, caratterizzato da eccedenze strutturali, limitandone la produzione; tali misure si iscrivono nell’ambito delle finalità di sviluppo razionale della produzione lattiera e di mantenimento di un tenore di vita equo della popolazione agricola interessata, contribuendo ad una stabilizzazione del reddito di quest’ultima.

Da ciò consegue – ha spiegato la Corte – che il prelievo supplementare non può essere considerato come una sanzione analoga alle penalità previste negli artt. 3 e 4 del regolamento n. 536/93, che stabiliscono le modalità di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari. Infatti, il prelievo supplementare sul latte costituisce una restrizione dovuta a regole di politica dei mercati e di politica strutturale.

Peraltro, come risulta dall’art. 10 del regolamento CE n. 3950/92, il prelievo supplementare fa parte degli interventi intesi a regolarizzare i mercati agricoli ed è destinato al finanziamento delle spese del settore lattiero. Ne consegue che, oltre al suo obiettivo manifesto di obbligare i produttori di latte a rispettare i quantitativi di riferimento ad essi attribuiti, il prelievo supplementare ha anche una finalità economica, in quanto mira a procurare alla Comunità i fondi necessari allo smaltimento della produzione realizzata dai produttori in eccedenza rispetto alle loro quote.

Venendo alla situazione nazionale del regime delle "quote latte", la Corte di Giustizia ha poi rilevato che i quantitativi di riferimento individuali inizialmente attribuiti dalle autorità italiane contenevano numerosissimi errori, dovuti in particolare al fatto che la produzione effettiva in base alla quale tali quantitativi erano stati attribuiti era stata certificata dai produttori stessi (tra gli errori rilevati, si rammenta che la commissione governativa d’indagine ha accertato, in particolare, che più di 2000 aziende agricole avevano dichiarato di produrre latte senza che risultasse il possesso di mucche).

In questo ambito, le misure adottate dall’AIMA nel contesto di riferimento nazionale non sono state considerate sproporzionate rispetto al fine perseguito né lesive del principio di tutela del legittimo affidamento in quanto se il quantitativo di riferimento individuale che un produttore può pretendere corrisponde al quantitativo di latte commercializzato durante l’anno di riferimento, lo stesso operatore agricolo, che in linea di principio conosce il quantitativo che ha prodotto, non può nutrire un legittimo affidamento sul mantenimento di un quantitativo di riferimento inesatto.

Ha poi rilevato la Corte come non possa configurarsi un legittimo affidamento in ordine al mantenimento di una situazione manifestamente illegale rispetto al diritto comunitario (vale a dire la mancata applicazione del regime di prelievo supplementare sul latte) nel senso che i produttori di latte degli Stati membri non possono legittimamente aspettarsi di poter continuare a produrre latte senza limiti, dopo tanti anni dall’istituzione di tale regime.

Da qui, la conformità a diritto comunitario del regime introdotto dal legislatore nazionale.

Successivamente, anche la Corte Costituzionale, con decisione n. 272 del 7 luglio 2005, ha smentito la tesi secondo cui la rideterminazione sarebbe soggetta al vincolo della irretroattività.

Nella predetta pronuncia, si è, infatti, affermato che "non sono fondate le q.l.c. dell’art. 1 commi 3 e 4 d.l. 1 marzo 1999 n. 43, conv., con modificazioni, in l. 27 aprile 1999 n. 118, censurato, in riferimento agli art. 3, 5, 117 e 118 cost., in quanto attribuirebbe ad AIMA il potere di aggiornamento dei quantitativi individuali in violazione delle competenze regionali e per di più con effetto retroattivo. Il potere di aggiornamento dei quantitativi individuali – attribuito in via transitoria ad AIMA – ai fini dell’esecuzione della compensazione nazionale, si giustifica, sul piano costituzionale, per l’esigenza di perseguire interessi territorialmente infrazionabili, mentre rientra nella discrezionalità del legislatore nazionale determinare le concrete modalità di gestione delle funzioni assegnate ad AIMA nei limiti in cui le stesse siano strettamente funzionali al raggiungimento delle suddette finalità, senza che assuma rilievo la natura retroattiva di talune previsioni, in quanto le stesse si giustificano, in ossequio alle prescrizioni comunitarie e di quanto già riconosciuto dalla Corte di giustizia, alla luce della necessità di adeguare i quantitativi individuali e il sistema di compensazione alle risultanze delle verifiche svolte dagli organi a ciò preposti".

È stato, poi, chiaramente affermato che "la rettifica della compensazione delle "quotelatte", disposta anche retroattivamente per il periodo precedente dal testo dell’art. 3, comma 1, del d.l. 31 gennaio 1997, n. 11, appare sorretta costituzionalmente, (e non contrasta con le competenze regionali), dalla normativa comunitaria come interpretata dalla Corte di giustizia europea, secondo cui si deve intendere consentito alle autorità nazionali di effettuare anche ex post le rettifiche necessarie a fare in modo che la produzione esonerata da prelievo supplementare di uno Stato non superi il quantitativo globale assegnato a tale Stato".

4.1 Sul punto, la ricorrente insiste nel sostenere che il TAR Lazio, con le pronunce già adottate sulla specifica questione, e la stessa Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 272 del 2005, non hanno dato sufficiente rilevanza a quanto sostenuto dalla Corte di Giustizia CE, nella decisione del 25 marzo 2004, con riferimento al rispetto del principio comunitario di certezza del diritto secondo cui i produttori devono essere a conoscenza del proprio QRI prima di iniziare la produzione.

La ricorrente ritiene, in particolare, violato il principio di certezza del diritto in quanto solo nel maggio 1998, con l’art. 2 della legge n. 5 del 1998, l’AIMA (ora AGEA) ha provveduto a comunicare in via individuale la QRI di riferimento ai singoli produttori.

La prospettazione, pur suggestiva, non può essere condivisa per le ragioni che seguono:

– va, invero, osservato che, prima della legge n. 5 del 1998 che ha introdotto le modalità di comunicazione individuale della QRI, l’informazione sulle quote individuali a disposizione dei singoli produttori avveniva sulla base di quanto previsto dall’art. 2 della legge n. 468 del 1992 ovvero in forma collettiva attraverso modalità di pubblicità differenziata (pubblicazione del decreto ministeriale del 1992 sulla GURI per i produttori non aderenti ad associazioni ovvero, per i produttori aderenti ad associazioni, attraverso la formazione di bollettini articolati per provincia e trasmessi alle regioni che li mettevano a disposizione degli operatori in ciascun capoluogo di provincia);

– a fronte di tale modalità di comunicazione "collettiva", la ricorrente si è limitata a richiamare il dato formale della mancata comunicazione individuale ma nulla ha dedotto in ordine alla mancata conoscenza da parte dei produttori della QRI ad essa assegnata sulla base delle pubblicazioni effettuate ai sensi del citato art. 2 della legge n. 468 del 1992 né ha mai chiarito se la QRI assegnata in via retroattiva e comunicata in via individuale agli interessati, ai sensi della legge n. 5 del 1998, sia risultata inferiore a quella inizialmente attribuita;

– in ogni caso, non può non osservarsi come la Corte di Giustizia CE, con la più volte citata sentenza del 25 marzo 2004, pur richiamando i principi di certezza del diritto e di affidamento, ha comunque concluso che la normativa nazionale in tema di assegnazione retroattiva delle QRI non è in contrasto con il diritto comunitario nella misura in cui ciò garantisca la corretta applicazione del sistema delle c.d. "quote latte";

– a ciò si aggiunga che la Corte di Giustizia della CE, proprio con riferimento al principio di "certezza del diritto", ha avuto modo in più occasioni di affermare (per tutte, CGCE, Sez. II, 3 settembre 2009 – C 2/08) che tale principio (della certezza del diritto) non può ragionevolmente giustificare né comunque essere di ostacolo all’applicazione effettiva delle norme comunitarie poiché ciò dovrebbe essere considerato in contrasto con il principio di effettività, allo stesso modo di derivazione comunitaria.

4.2 Ciò posto, poi, con la citata sentenza della Sezione n. 11376/2008, si è altresì avuto modo di precisare che, per quanto riguarda la procedura di accertamento postuma introdotta dalla normativa nazionale, il D.M. 17 febbraio 1998 (adottato in applicazione del D.L. n. 411/97 convertito il legge n. 5/98) non autorizza l’AIMA – come sostenuto dalla parte ricorrente – a verificare in via presuntiva i dati sulla produzione e sulla commercializzazione del latte ma istituisce una procedura che, partendo dalla rilevazione incrociata delle informazioni riguardanti il livello di produzione dei singoli produttori, sottopone tale esito ad un contraddittorio con l’interessato attraverso il quale accertare, in via definitiva, l’effettiva produzione dell’azienda interessata (ciò anche al fine di rilevare l’intera produzione nazionale).

Da ciò consegue che non corrisponde al vero che l’AIMA abbia accertato la quota di produzione in via presuntiva, residuando questa ipotesi nel solo caso in cui l’interessato non si sia opposto alla determinazione del QRI (facendo così diventare definitivo quanto emerso con le risultanze incrociate, attraverso cioè il modello L1 e i rilievi dell’ASL) e, nel contempo, non siano state riscontrate anomalie nelle autodichiarazioni ovvero quando non si fosse a conoscenza di indagini (penali) conseguenti a dichiarazioni false inserite nei modelli di che trattasi da parte dei soggetti interessati.

Del resto, il mancato accertamento effettuato "a tappeto" da parte degli organismi amministrativi di controllo (in particolare, AIMA e Regioni) non può tradursi in un vizio di legittimità della procedura di accertamento della quota di produzione del latte in quanto questi devono poter fare affidamento sulle dichiarazioni dei produttori e dei primi acquirenti, salvo il riscontro di anomalie accertate sulla base di incongruenze ivi contenute ovvero di controlli incrociati di immediata verifica.

4.3 Non può, poi, non osservarsi come, in questo come in altri analoghi ricorsi, la parte ricorrente non adduce mai elementi dai quali poter evincere l’assoluta erroneità dei calcoli effettuati da AIMA ai fini dell’assegnazione del QRI all’interessato.

Nella documentazione allegata al ricorso, l’istante non ha infatti ricostruito la specifica vicenda che lo ha riguardato dal momento dell’assegnazione della quota di riferimento individuale, in modo tale da mettere il Collegio nelle condizioni di poter valutare gli eventuali errori commessi dall’ente impositore nell’individuazione del QRI alla stessa attribuito.

La ricorrente si limita, in maniera del tutto generica e senza riportare alcun dato numerico, a censurare le modalità di individuazione e di assegnazione delle QRI a livello nazionale (con riferimento cioè a tutti i produttori) ma nulla dice con riferimento ad errori commessi nella determinazione della quota ad esso assegnata.

L’AIMA, invero, con il prospetto allegato alla nota impugnata, ha indicato i quantitativi di riferimento della ricorrente ma, a fronte di tali indicazioni, l’istante nulla ha contestato nello specifico indicando, ad esempio, il dato produttivo iniziale, la modalità di individuazione della quota assegnata e l’eccessivo (e quindi ingiustificato) scostamento tra i due quantitativi.

Da ciò deriva l’impossibilità per il Collegio di apprezzare, nel concreto, la fondatezza delle censure proposte dall’interessata.

5. La Sezione, tuttavia, non vuole sottrarsi dall’effettuare ulteriori considerazioni, consapevole del fatto che l’avvio del sistema delle quote latte ha ingenerato non poche difficoltà di accertamento da parte degli organismi di controllo nonché nell’organizzazione imprenditoriale degli stessi produttori (in particolare, di quelli che hanno fedelmente dichiarato la quota effettiva di produzione).

Il Collegio è, altresì, consapevole delle difficoltà di coloro che, nei primi anni di avvio del regime di che trattasi, non sapevano con precisione, all’inizio dell’annata lattiera, l’esatta quantità di latte che erano autorizzati a produrre, in disparte il fatto che dopo la prima assegnazione i produttori, per le annate successive, pur in assenza della preventiva comunicazione della QRI, potevano comunque far riferimento al dato storico della quota precedentemente attribuita (cfr, per tutte, Cons. Stato, sez. VI, n. 3487/2009).

Le predette difficoltà di carattere oggettivo non consentono, tuttavia, di arrivare a ritenere inapplicabile nello Stato italiano il regime comunitario delle "quote latte", posto che le censure proposte con il ricorso in esame (come in altri analoghi), basate sul fatto che i dati sulla produzione sono inattendibili e i controlli avrebbero dovuto essere svolti in concreto (attraverso accertamenti in loco, effettuati concretamente in ogni singola azienda), tendono a "scardinare" l’intero sistema, posto che tali dati possono comunque essere accertati con margini di approssimazione come dimostrano anche le due Commissioni di indagine istituite in passato che, in sintesi, si sono limitate a rilevare una serie di incongruenze ma mai si sono spinte a chiarire (e fornire) i dati effettivi della produzione nazionale di latte vaccino.

Ed invero, pur nella consapevolezza (rilevata anche da due Commissioni di indagine sul sistema) dell’esistenza di incongruenze nei dati relativi alla produzione del latte, lo Stato italiano ha adottato una serie di misure volte all’accertamento di tali elementi (le procedure richiamate dalla legge n. 5/98, dal D.M. 17 febbraio 1998 e quelle successive della legge n. 118/99 e dei decreti attuativi).

Ora, ritenuta legittima l’assegnazione retroattiva delle QRI (secondo quanto ribadito dalla CGCE del 2004), ritenere che l’unica forma di accertamento valida è quella svolta in concreto su tutte le aziende interessate (in modo tale da verificare la produzione della singola azienda e, di conseguenza, l’intera produzione nazionale nel tentativo, peraltro, di provare che la capacità produttiva delle aziende agricole non è in grado di sforare il quantitativo globale assegnato allo Stato membro), oltre a non trovare rispondenza nella normativa comunitaria, si rivela una tesi non condivisibile nella misura in cui, sulla base della documentazione acquisita e delle anomalie riscontrate, gli organismi competenti hanno effettuato i dovuti accertamenti.

Ritenere, invero, necessaria l’effettuazione di controlli "a tappeto" su tutti i produttori per i quali non sia stata riscontrata da AIMA alcuna anomalia non costituisce un obbligo che discende dalla normativa comunitaria né appare legittimo porre unicamente a carico dello Stato membro tale incombente quando non emergono elementi in ragione dei quali dubitare della veridicità dei modelli L1, sia perché non sono emersi contenuti falsi, accertati (ad esempio) in sede penale, sia perché non sono state rilevate incongruenze rispetto a quanto autocertificato, contestualmente, dai produttori e dai primi acquirenti.

Ciò che si vuole dire è che l’accertamento di che trattasi (che dovrebbe estendersi in modo capillare su tutto il territorio) non può prescindere da una collaborazione di tutti i produttori e degli organismi di categoria interessati che si è manifestata attraverso la redazione delle autocertificazioni.

Ora, sul punto, a prescindere dalla scoperta di situazioni patologiche che potranno e dovranno essere oggetto di accertamento da parte dell’Autorità giudiziaria competente, lo Stato italiano deve poter fare affidamento, fuori dai casi in cui siano state riscontrate anomalie, sulle dichiarazioni degli operatori del settore per poter far funzionare l’intero sistema delle quote latte.

In sintesi, in assenza di accertamenti da parte della Autorità giudiziaria su false dichiarazioni rese nei modelli L1 ovvero di anomalie riscontrate da AIMA nelle predette autodichiarazioni sulla base di riscontri e controlli incrociati (con le modalità individuate nei DD. MM. 17 febbraio 1998, n. 151/1999 e nn. 309 e 310/1999), non è irragionevole – né incompatibile con la normativa comunitaria – la norma nazionale che non ha imposto controlli "a tappeto" su tutta la produzione nazionale.

Con ciò non si vuole affermare che la gestione del sistema da parte degli organismi competenti sia stata ineccepibile ma, a fronte di difficoltà oggettive di accertamento, i predetti organismi come lo stesso legislatore, con riferimento alla verifica dell’intera produzione nazionale, non possono prescindere dalla collaborazione degli operatori del settore tanto che non può ritenersi irragionevole (nel senso, peraltro, di ritenere il sistema di accertamento così concepito in grado di fornire dati attendibili) quella normativa che limita gli accertamenti alle situazioni patologiche derivanti da indagini dell’A.G. ovvero dalle anomalie riscontrate sulla base di controlli incrociati.

Con riferimento, invece, all’accertamento della produzione della singola azienda, oltre a valere quanto da ultimo riferito, non può non ritenersi sufficiente il sistema di verifica attuato dalle normativa di settore, reiterate nel tempo ( legge n. 5/98, D.M. 17 febbraio 1998, legge 118/99 e DD.MM. n. 151/99 e nn. 309 e 310/99), considerato, peraltro, che, anche in questa sede, nulla è stato dedotto con riferimento alla assoluta erroneità dei dati sulla produzione aziendale ovvero alla discriminazione effettuata nel taglio della produzione in sede di assegnazione, anche retroattiva, del QRI di riferimento.

5.1 Da ultimo, la ricorrente, sempre con riferimento alla problematica dell’inattendibilità dei dati utilizzati da AIMA sia per l’assegnazione delle QRI sia per l’accertamento dell’effettiva produzione lattiera (sulla base del quale calcolare il prelievo supplementare a carico dei produttori), richiama le conclusioni sintetizzate nella relazione del Comando Carabinieri delle Politiche Agricole e Alimentari dell’aprile 2010 con riferimento alla congruenza dei dati dichiarati nei modelli L1 e l’esito dell’indagine condotta dalla Commissione amministrativa sul tenore di materia grassa nel latte, istituita con decreto ministeriale del 25 giugno 2009.

Con riferimento all’indagine condotta dalla Commissione amministrativa sul tenore di materia grassa nel latte, la Sezione si è già espressa in passato con varie pronunce (per tutte, TAR Lazio, sez. II Ter, 17 febbraio 2010, n. 2373) ritenendo che le risultanze anche retrospettive dell’indagine della Commissione non possono che valere per il futuro in quanto i calcoli sul tenore di materia grassa non si prestano ad essere rielaborati per il passato con riferimento ad ogni singolo produttore.

Del resto, ciò si evince dalla stessa relazione della Commissione dalla quale emerge che "non è oggettivamente possibile effettuare delle contro analisi ora per allora" ed anche se si è dato atto della diversità di posizioni in ordine alla correttezza o alla attendibilità dei dati utilizzati per il calcolo della materia grassa ciò che si può tuttavia desumere è che le risultanze non sono state comunque in grado di smentire i calcoli effettuati nel tempo per calcolare l’effettiva produzione nazionale di latte e, di conseguenza, l’ammontare del prelievo supplementare richiesto ai singoli produttori.

5.2 Con riferimento, invece, alla relazione del Comando Carabinieri del mese di aprile 2010, va osservato quanto segue:

– nella predetta relazione, i militari dell’Arma, nel segnalare alcune situazioni di non piena compatibilità tra le banche dati ufficiali (Banca dati nazionale bovina – BDN dell’Istituto zooprofilattico di Teramo e quello dell’Associazione italiana allevatori – AIA) e quelle utilizzate da AGEA (SIAN) con particolare riferimento alla consistenza del patrimonio bovino nazionale e, di conseguenza, al quantitativo di latte prodotto annualmente, hanno concluso per la necessità di operare, comunque, ulteriori approfondimenti;

– al riguardo, AGEA ed il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali hanno svolto ulteriori approfondimenti (di cui la difesa erariale ha dato conto in cause analoghe chiamate per la discussione in altre pubbliche udienze) dai quali è emerso, in sintesi, che esiste una coerenza tra la BDN ed il SIAN di AGEA dovuta al fatto che le due banche dati "colloquiano" in modo costante in modo tale da garantire l’allineamento delle informazioni ivi contenute. È stato altresì evidenziato che il patrimonio bovino nazionale, sulla base della produzione media di una mucca da latte, è coerente con l’intera produzione nazionale registrata nelle varie annate e, comunque, non è in grado di far emergere fattori di anomalia tali da mettere in discussione l’affidabilità dell’intero sistema delle "quote latte";

– con riferimento, poi, alla individuazione delle aziende produttrici di latte, è stato chiarito che la banca dati SIAN contiene dati assoggettati ad un processo di accertamento "valicato" dall’Unione europea (in quanto coerente con il Reg. CE n. 73/2009 in materia di sistema integrato di gestione e controllo – SIGC) e che, allo stesso modo, le predette informazioni "incrociate" con quelle contenute nelle banche dati dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia del territorio, il che consente, tra l’altro, un continuo monitoraggio delle aziende produttrici di latte esistenti nel territorio nazionale;

– dagli approfondimenti sopra riferiti, è risultato quindi che i dati presenti nella banca dati del SIAN sono compatibili con le produzioni dichiarate nel tempo dagli agricoltori e che il patrimonio nazionale bovino, oltre ad essere coerente con gli elementi ricavabili dalla BDN, è altresì congruente e, comunque, non incompatibile con le produzioni commercializzate nelle varie annate lattiere;

– al riguardo, non può non evidenziarsi che lo stesso Comando Carabinieri, a fronte di una richiesta della Procura della Corte dei Conti della Lombardia, ha ribadito che gli elementi emersi nella relazione dell’aprile 2010 comportano la necessità di svolgere ulteriori ed approfonditi accertamenti prima di addivenire a considerazioni concludenti.

– allo stato, poi, a fronte di notizie di indagini in corso di svolgimento da parte di varie Procure della Repubblica, non si ha notizia di accertamenti che hanno stabilito la sussistenza di ipotesi di reato tali da far dubitare della veridicità delle dichiarazioni rese nel tempo dai produttori e dai primi acquirenti (in particolare, modelli L1) riguardanti le produzioni commercializzate nelle varie annate lattiere e tali, di conseguenza, da mettere in discussione l’affidabilità dell’intero sistema delle "quote latte".

5.3 Ciò posto con riferimento alla relazione del Comando Carabinieri e all’indagine sul tenore di materia grassa, il Collegio intende ribadire ancora una volta che tali risultanze (riguardanti l’attendibilità dei dati utilizzati nel tempo da AIMA) non sono in grado di scardinare l’intero sistema nazionale delle c.d. "quote latte" né sono sufficienti per far ritenere assolto in capo ai produttori e quindi alla ricorrente l’onere probatorio in modo tale da spostare sulla parte resistente l’obbligo di provare la bontà e la stessa veridicità dei dati utilizzati per l’assegnazione della QRI di riferimento e, di conseguenza, il prelievo supplementare da imputare in caso di sforamento della quota attribuita.

Ciò che si vuole ribadire è che, a fronte dei dubbi sull’attendibilità dei dati su cui continua a concentrarsi la difesa di parte ricorrente, rimane tuttavia il fatto che, nel tempo, sono state introdotte, a livello normativo ed amministrativo (cfr precedenti punti 4.2 e seguenti), una serie di procedure che avevano l’obiettivo di accertare, anche attraverso controlli a campione dei modelli L1 e riesami richiesti dai singoli produttori, i dati reali sulla produzione lattiera.

L’esito di tali procedure di accertamento e di controllo hanno, in sintesi, portato alla redazione di documentazione ufficiale, riversata nella banca dati di AGEA, la cui veridicità, come detto, non è stata ancora smentita dalle autorità (giudiziarie) preposte, dal che deriva che i dubbi sulla attendibilità di dati possono essere considerati indizi non qualificati che non consentono di mettere in discussione l’affidabilità dell’intero sistema nazionale delle c.d. "quote latte".

Del resto, è sulla base della predetta documentazione ufficiale, basata peraltro su dati certificati dal produttore e dal primo acquirente e assoggettati al controllo di AGEA, che è stato determinato il livello di produzione lattiera; dati che, fino ad oggi, come detto, non sono stati mai stati smentiti in via definitiva o, comunque, non sono mai stati confutati in modo tale da mettere in discussione l’intero sistema.

6. In conclusione, il primo, secondo e quinto motivo del ricorso RG n. 9687/1998, come del resto il primo, secondo, terzo, quinto e sesto motivo del ricorso RG n. 13418/1999 (trattati congiuntamente in quanto intimamente connessi) vanno respinti perché infondati.

7. Con il terzo motivo del gravame RG n. 9687/1998, la ricorrente si duole della mancanza di motivazione in ordine al taglio della quota B.

Al riguardo, è sufficiente richiamare la giurisprudenza ormai costante del Consiglio di Stato (per tutte, sez. VI, 8 giugno 2009, n. 3847) secondo cui, a differenza della quota "B", ridotta ex lege, solo la diminuzione del quantitativo di latte imputabile alla quota "A" deve essere adeguatamente giustificata (cfr, Sez. VI, 26 giugno 2006, n. 4081).

L’onere di motivazione, pertanto, non concerne la quota B; le determinazioni così espresse sono applicative dei criteri legali di rideterminazione delle quote e, semmai, spettava alla ricorrente indicare quali specifici criteri non sono stati rispettati.

La censura va, quindi, respinta.

8. Con il quarto motivo del ricorso RG n. 9687/1998, la ricorrente ritiene che il DM 17 febbraio 1998 è illegittimo in quanto, trattandosi di un atto avente natura regolamentare, non è stato adottato con la procedura di cui all’art. 17 della legge n. 400 del 1988.

Sul punto, è sufficiente ancora richiamare la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. VI, 28 giugno 2007, n. 3777) secondo cui "il D.M. 17 febbraio 1998, in quanto attuativo delle previsioni dell’art. 2, comma 10, del citato decreto legge n. 411 del 1997, nel disciplinare le modalità per l’istruttoria dei ricorsi di riesame e le altre modalità di applicazione dello stesso decretolegge, detta una disciplina provvisoria espressamente riferibile solo alla rideterminazione delle quote latte per i periodi 19951996 e 19961997.

Ne consegue che il detto D.M. risulta avere il carattere della generalità ma non della astrattezza, che si compendia con l’attitudine all’applicazione ripetuta; mancando tale ultimo carattere, lo stesso D.M. va considerato quale atto sì generale, ma non normativo di natura regolamentare, sicchè non può configurarsi la violazione dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988.

Il Collegio, nel condividere le argomentazioni sopra esposte, non ha motivo per discostarsene.

9. Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta che, anche per l’annata di che trattasi, sarebbero stati reiterati i tagli della QRI di riferimento, senza l’apporto delle Regioni (come previsto, a suo tempo, dalla Corte Cost. con sentenza n. 520/1995).

Sul punto, è sufficiente osservare che il legislatore con il D.L. n. 43 del 1999 ha previsto il coinvolgimento delle Regioni nella procedura di che trattasi, successivamente rafforzandone il ruolo con la disciplina introdotta dal decreto legge n. 49 del 2003, convertito dalla legge n. 119 del 2003.

Il motivo è, quindi, infondato.

10. Passando ai restanti motivi del ricorso RG n. 13418/1999 (in quanto il primo, secondo, terzo, quinto e sesto, sono già stati esaminati per esigenze di connessione nel precedente punto 6.), la ricorrente, con il quarto motivo, deduce la mancanza di motivazione dei dati relativi alla compensazione nazionale.

Anche tale censura è infondata essendo sufficiente ribadire, in disparte il profilo dell’applicabilità alla fattispecie in esame della legge n. 241 del 1990, che il provvedimento di determinazione finale degli importi dovuti costituisce l’esito di mere operazioni aritmetiche. Da ciò deriva che la partecipazione al procedimento è assicurata e che, anche esercitando il diritto di accesso agli atti, le aziende possono verificare i conteggi, la cui determinazione non richiede una motivazione, trattandosi appunto di un mero calcolo, sulla base di dati comunque contenuti negli atti delle amministrazioni (cfr, per tutte, Cons. St., sez. VI, n. 1579/2009).

11. Con il settimo motivo, si lamenta la non corretta imputazione degli interessi in quanto la comunicazione è arrivata prima nel mese di luglio 1999 e poi nel mese di ottobre 1999, mentre i predetti interessi sono stati calcolati dal 1° settembre 1996 (per l’annata 1995/96) e dal 1° settembre 1997 (per la campagna 1996/97).

Sul punto, la Sezione ha comunque già avuto di affrontare la questione (per tutte, v. TAR Lazio, sez. Seconda Ter, 16 febbraio 2010, n. 2280 e 10 maggio 2010, n. 10588) tanto che, al riguardo, è sufficiente richiamare quanto già espresso in quella sede che, per quanto riguarda le annate dal 1995/96 al 1997/98, ha ritenuto che gli interessi vadano calcolati a partire dalla richiesta del prelievo supplementare rivolta da AGEA ai produttori (che, con riferimento alle annate 1995/96 e 1996/97, è avvenuta tra il mese di settembre ed ottobre 1999 e, per la campagna 1997/98, nel mese di giugno 2000).

Ed invero, per quelle campagne (dal 1995/96 al 1997/98), il sistema delineato dalla predetta legge n. 468/1992 è stato "sospeso", in ragione del fatto che vi erano stati – come detto – notevoli problemi nella assegnazione delle quote (QRI) ai singoli produttori.

Per tale motivo, la legge n. 5/98 aveva disposto una serie di accertamenti al fine di correggere errori nella distribuzione delle QRI (art. 2). In attesa dell’esito dei predetti accertamenti e dell’assegnazione delle QRI rideterminate ai produttori, è stato sospeso il meccanismo della trattenuta previsto dalla legge n. 468/1992 tanto che, con l’art. 1 della citata legge n. 5/1998, è stato ordinato ai primi acquirenti di restituire parte rilevante degli importi trattenuti unitamente agli interessi nel frattempo maturati.

Ora, non vi è dubbio che l’esito definitivo degli accertamenti si è avuto solo con la richiesta rivolta ai produttori del prelievo supplementare che, con riferimento alle annate 1995/96 e 1996/97, è avvenuta tra il mese di settembre ed ottobre 1999.

Per quelle annate, quindi, proprio in ragione delle difficoltà riscontrate nell’assegnazione delle QRI che ha portato all’adozione della legge n. 5/98 e alla sospensione (di fatto) per quelle campagne della procedura di cui alla legge n. 468/92, gli interessi vanno fatti decorrere dal momento in cui è stata comunicata al produttore l’entità del prelievo supplementare dovuto e non dal 1° settembre dell’anno di riferimento, seppure richiesto dalla normativa comunitaria.

La censura va, quindi, accolta.

12. Con i restanti motivi del ricorso RG n. 13418/1999, la ricorrente deduce l’illegittimità della procedura di compensazione prevista dall’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43 del 1999 per contrasto con l’art. 2 del Reg. CE n. 3950/1992 e l’art. 3, comma 3, del Reg. CE 536/1993.

Si rammenta, al riguardo, che il citato art. 1, comma 8, del D.L. n. 43/1999 prevede, tra le categorie privilegiate, le seguenti tipologie di produttori: 1) i titolari di quota delle zone di montagna; 2) i titolari di quota A e di quota B nei confronti dei quali è stata disposta la riduzione della quota B, nei limiti del quantitativo ridotto; 3) i titolari di quota ubicati nelle zone svantaggiate; 4) i titolari esclusivamente della quota A che hanno superato la propria quota, nei limiti del 5 per cento della quota medesima; 5) i titolari di quota; 6) tutti gli altri produttori.

12.1 Sul punto, va osservato che la Sezione ha assunto, nel tempo, due posizioni differenti al riguardo in quanto, con alcune sentenze del dicembre 2008 (tra tutte, TAR Lazio, sez. Seconda Ter, 15 dicembre 2008, n. 11376), l’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43 del 1999 è stato ritenuto compatibile con il Reg. CE n. 3950/1992, mentre, con pronunce del maggio e del giugno 2010 (per tutte, TAR Lazio, sez. Seconda Ter, 10 maggio 2010 n. 10588 e 30 giugno 2010 n. 21831), con una rimeditazione del precedente orientamento, è stata sancita l’incompatibilità comunitaria della suddetta previsione e disposta la disapplicazione della norma nazionale sopra citata.

12.2 Sulla questione, tuttavia, si è di recente espresso il Consiglio di Stato, sez. VI, il quale, con sentenza del 27 aprile 2011 n. 2941, in riforma delle sentenze della Sezione del 2010, ha ritenuto che le modalità di compensazione nazionale definite dall’art. 1, comma 8, del D.L. n. 43 del 1999, non si pongano in contrasto con il diritto comunitario ed, in particolare, con le previsioni contenute nei Regolamenti (CE) nn. 3950/92 e 536/93.

In particolare, il giudice di appello ha affermato che la scelta nazionale di impostare l’effettuazione della compensazione nazionale secondo un criterio preferenziale fondato sulla sequenziale individuazione di platee di beneficiari (ciascuna delle quali, in astratto, idonea ad escludere le categorie successive in caso di incapienza dei quantitativi oggetto di compensazione) non risulta vietata da alcuna delle richiamate disposizioni comunitarie, né violativa di alcun principio generale di matrice UE (e, segnatamente, dei principi di proporzionalità, certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento).

In particolare, l’esame della pertinente normativa comunitaria mostra che la scelta redistributiva in questione non risulta vietata in modo espresso:

– né dal secondo comma del paragrafo 1 dell’art. 2, Reg.(CE) 3950/92;

– né dal paragrafo 4 dell’art. 2 del medesimo regolamento;

– né dal paragrafo 3 dell’art. 3 del Reg.(CE) 536/93.

Al contrario, la pratica attuazione del richiamato meccanismo su base preferenziale di determinazione delle compensazioni (anche ai fini delle conseguenti restituzioni) ha comunque consentito il pieno esplicarsi delle finalità di riequilibrio fra domanda e offerta nel settore lattierocaseario, sottesa alla disciplina comunitaria di settore e, in ultima analisi, ha lasciato inalterate le finalità di tutela del mercato da essa perseguite.

Ha aggiunto, altresì, il giudice di appello che la normativa nazionale, oltre a non porsi in contrasto con i principi comunitari, ha, in definitiva, comportato che nessun produttore ha dovuto versare un prelievo supplementare più alto di quello dovuto in conseguenza delle disposizioni nazionali oggetto di censura, mentre l’interesse fatto valere in giudizio era quello – ben diverso – ad ottenere una riduzione dell’ammontare dovuto, mercé l’applicazione di un criterio distributivo di carattere squisitamente proporzionale e di riallocazione – per così dire – "in senso orizzontale’.

Afferma, poi, il Consiglio di Stato che, fermo restando che il criterio in contestazione non ha arrecato ad alcun produttore un concreto svantaggio (maggior prelievo rispetto a quello dovuto) ma si è limitato a distribuire secondo una particolare scelta allocativa alcuni vantaggi (minor prelievo rispetto a quello dovuto), la scelta nel complesso operata non può considerarsi irragionevole, anche perché giustificata (in un’ottica di bilanciamento di interessi) dal perseguimento di una finalità di carattere generale.

12.3 Ciò posto, il Collegio, proprio in ragione della complessità della questione che ha comportato le suddette oscillazioni interpretative, ritiene di poter condividere le argomentazioni del giudice di appello, anche nell’ottica di garantire una linea interpretativa unitaria a garanzia del principio di certezza del diritto, di derivazione comunitaria.

12.4 In ragione di quanto sopra, aderendo alla lettura fornita dal Consiglio di Stato, la censura va respinta.

13. Infine la ricorrente, con riferimento alla comunicazione impugnata dell’ottobre 1999, deduce una serie di violazioni formali concernenti il difetto di sottoscrizione e le modalità di invio.

Le doglianze sono infondate in quanto le note sono comunque riferibili all’Azienda resistente in quanto dall’intestazione degli atti è facilmente rilevabile l’ente da cui proviene l’atto, il che è sufficiente per escludere la sussistenza dell’omissione rilevata dalla ricorrente (per tutte, Cons. St., sez. V, n. 3804/2005).

Corretta è altresì la modalità di comunicazione della nota impugnata attraverso una raccomandata con avviso di ricevimento in quanto, sebbene l’art. 3, par. 3, del Reg. CE n. 536/1993 utilizzi il termine "notifica", questo deve essere inteso in senso "atecnico" ovvero che non esclude che la normativa nazionale non possa prevedere una tipologia di comunicazione come quella prevista dall’art. 1, comma 1, del DL n. 43/1999 che è in grado di assicurare la conoscibilità nei confronti del destinatario, garantendo comunque "l’effetto utile" voluto dalla normativa comunitaria.

14. In conclusione, il ricorso RG n. 9687/1998 va respinto mentre l’impugnativa RG n. 13418/1999 va accolta negli stretti limiti di cui al precedente punto 11..

15. Attesa la complessità e la novità delle questioni affrontate, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, così dispone:

– riunisce i ricorsi RG nn. 9687/1998 e 13418/1999;

– respinge il ricorso RG n. 9687/1998;

– accoglie il gravame RG n. 13418/1999 negli stretti limiti di cui in motivazione (punto 11. della parte in diritto).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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