Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-05-2011) 01-07-2011, n. 25886 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 17 giugno 2010, depositata in cancelleria il 13 settembre 2010, la Corte di Assise di Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza 20 novembre 2008 della Corte di Assise della medesima città – assolto S.G. dal reato di cui al capo D) della rubrica (detenzione ai fini di spaccio di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente) – confermava la sentenza di primo grado che aveva dichiarato S.G., D. S.S. e Sa.Ga., imputati del reato di cui al capo A) (omicidio aggravato ai danni di B.M. commesso in (OMISSIS)) e di quello di cui al capo B) (detenzione di arma aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7), nonchè i soli D.S. e S. sia del reato di cui al capo C) (associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti) che di quello di cui al nominato capo D) – delitti, questi ultimi, commessi in (OMISSIS) – e, esclusa l’aggravante dell’ingente quantitativo contestata al capo D), li condannava, ciascuno, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per mesi sei.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata G.V., detto "(OMISSIS)", assistito materialmente da D.S.S. detto "(OMISSIS)", ma anche da S. C., S.G. e A.F., per ragioni da individuarsi nella volontà di espansione sul territorio nel campo del traffico di droga dell’associazione Bocchetti-Sacco, operante in (OMISSIS), esplodeva all’indirizzo di B.M., detto "(OMISSIS)", con una pistola, più colpi d’arma da fuoco di cui due lo attingevano mortalmente alla testa.

1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito, in relazione al fatto omicidiario:

– nelle disposte intercettazioni ambientali effettuate in particolare sulla vettura dell’ A. e anche telefoniche (disposte sia prima che dopo l’omicidio) da cui risultava che il G., coadiuvato da D.S.S., detto "(OMISSIS)", chiamato a coadiuvare materialmente il G. nell’omicidio in questione, per la sua maggiore esperienza nel campo, era stato incaricato dalla consorteria di eseguire l’omicidio del B. quale prova da superare per entrare a far parte della cosca. A tal fine l’ A., che aveva procurato le armi sia al G. che al D.S., eseguì con il G. dei sopralluoghi nella zona dell’agguato, venendo altresì il G. aiutato da S.G. e Sa.Cl.

(quest’ultimo aveva partecipato anche alla fase deliberativa dell’omicidio) che non solo lo aiutavano materialmente, ponendolo in contatto con altri sodali, allertandolo altresì dell’arrivo della vittima, ma prodigandosi inoltre, entrambi, con consigli, suggerimenti e incoraggiamenti;

– nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia P. M. in merito alla figura e al ruolo della vittima e su quello dei prevenuti, non mancando di individuare fotograficamente sia il S. che il Sa., indicati come appartenenti al gruppo di fuoco del clan Bocchetti-Sacco, sia il D.S. ricordato con il soprannome di "(OMISSIS)";

– nella documentazione acquisita;

– negli accertamenti di polizia giudiziaria.

In relazione ai reati in materia di sostanze stupefacenti il giudice di secondo grado faceva parimenti richiamo a intercettazioni telefoniche e ambientali, nonchè alle risultanze delle indagini di PG da cui risultava che D.S. e il S. erano stabilmente inseriti in una duratura organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti. Il D.S., in particolare, aveva nella sua zona operativa la gestione diretta di una piazza di cocaina, ancorchè per conto del gruppo cui faceva parte altresì A. e G., mentre il S., sebbene uscito dal carcere nell’agosto del 2006, si occupava di questioni relative a vario titolo all’organizzazione.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite i propri difensori avv.ti Domenico Ducci e Claudio Davino per S.G., l’avv. Claudio Davino per il solo D.S.S. e l’avv. Arturo Buongiovanni per Sa.Cl. hanno interposto tempestivo ricorso per cassazione i prefati chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

2.1 – In particolare S.G., con il ministero dell’avv. Ducci, ha sviluppato i seguenti profili di censura:

a) con il primo motivo di impugnazione del gravame svolto nell’interesse del S. veniva rilevata la genericità del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429 c.p.p. sia sotto il profilo delle condotte addebitate che dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7; se in relazione alla indeterminatezza quantomeno del capo C) nulla era stato detto in sentenza, in relazione al capo A) il provvedimento gravato è caduto nella contraddizione di ritenere che la condotta fosse concreta per come delineato nella sentenza di condanna. Non solo, ma mentre veniva addebitato al prefato un concorso di tipo materiale, il giudice di secondo grado lo ha poi condannato per concorso morale. b) con il secondo motivo veniva rilevata l’omessa pronuncia in ordine alla invocata richiesta di annullamento dell’ordinanza adottata dalla Corte di Assise di Napoli 26 marzo 2008 e alla conseguente declaratoria di mutilizzabilità processuale delle intercettazioni telefoniche e ambientali per violazione del diritto di difesa; in altre parole il giudice di secondo grado, impegnato a contrastare le doglianze avanzate dal codifensore in merito alla stessa materia delle intercettazioni, non ha dato risposta sulla eccezione autonomamente espressa dalla impugnazione Ducci e relativa al fatto che la difesa non fosse stata hi grado di poter esaminare il decreto autorizzativo delle intercettazioni di cui al procedimento n. 4922/05. Finanche la Corte di Assise, su ciò investita, aveva omesso di eseguire il controllo di ritualità. c) con il terzo motivo veniva avanzata doglianza a quella parte della motivazione della sentenza che ha respinto la richiesta di annullamento delle ordinanze della Corte di Assise in data 9 e 14 luglio 2008 e 16 ottobre 2008 e quella conseguente di rinnovazione della istruttoria dibattimentale finalizzata a escutere il Maresciallo L., il consulente tecnico ing. Po., il teste di riferimento del collaboratore P.M., Ba.Vi., i fratelli della vittima, Bo.Ma. e B.C., nonchè Z.D.;

d) con il quarto motivo di impugnazione veniva censurata la motivazione espressa in sentenza in punto di riconoscimento dell’associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, dovendosi tutt’al più optare, vista la circostanza che il S. era rimasto detenuto dall’ottobre 2005 all’agosto 2006 e che le intercettazioni telefoniche davano conto di dazioni in danaro dall’ A. al S. per motivi d’ordine amicale piuttosto che costituire una sorte di retribuzione, per l’ipotesi di concorso di persone nel reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1.

Nulla sul punto argomenta il giudice. Peraltro ancorchè la Corte distrettuale abbia acquisito la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Giudice della Udienza preliminare del Tribunale di Napoli a carico del S. per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, per condotta perdurante contestata dal 31 ottobre 2004 il giudice di secondo grado nulla dice al riguardo mancando altresì di correlare la decisione con la deposizione resa dall’ispettore Ci. che, seppur ridimensionata dalla sentenza di non luogo a procedere, è stata pur sempre posta a fondamento dalla Corte di Assise di appello del giudizio di condanna. Non solo, è evidente la carenza di logicità nel punto in cui il giudice di seconde cure ha desunto l’esistenza della associazione dalla "vicinanza" del S. al gruppo di Bo.Ga.. Difetta di motivazione inoltre la sentenza gravata nel punto in cui ritiene che il S. avesse un movente personale alla eliminazione del B. quando in realtà la difesa aveva prospettato altre ragioni per le quali la vittima fosse in possesso di quella droga insieme alla quale è stato rinvenuto cadavere. c) con il quinto motivo veniva rilevato vizio di motivazione in merito alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato di omicidio. Veniva contestato che il comportamento del S. fosse stato tale da incidere quale concorrente morale sull’esecuzione dell’omicidio tanto è vero che il G. era già determinato a uccidere il B.. f) con il sesto e ultimo motivo veniva eccepito il vizio motivazionale concernente il diniego della attenuante di cui all’art. 114 c.p. e delle attenuanti generiche.

2.2 – D.S.S. e ancora S.G., con il ministero dell’avv. Davino, ha sviluppato invece le seguenti censure:

a) con il primo motivo è stata eccepita la nullità della sentenza per avere i giudici utilizzato i contenuti di conversazioni telefoniche e ambientali violando le disposizioni di cui all’art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., comma 3; i decreti sono carenti in punti di motivazione non dando conto delle condizioni legittimanti l’intercettazione stessa, limitandosi per contro a un mero richiamo alla richiesta del Pubblico Ministero o alle informative di polizia giudiziaria. Inoltre, in particolare il decreto n. 2559/06, il giudice ha fatto riferimento a intercettazioni telefoniche e non ambientali, come è in realtà erano, sicchè è evidente che la convalida è stata meramente apparente. Veniva altresì rilevato come l’uso del sistema MITO nella fattispecie abbia consentito che la registrazione, senza alcuna autorizzazione del Pubblico Ministero, sia avvenuta presso gli uffici dei Carabinieri e non presso la Procura della Repubblica. Prova ne sarebbe che nel fascicolo del dibattimento sono allegati i DVD su cui la PG ha scaricato i dati presso i propri uffici in luogo di quelli che sarebbe dovuti essere gli originali registrati in Procura, mentre mancano le cassette DAT originali prova che il server della Procura è stato usato come mero ripetitore. La negata verifica presso il server centrale del file criptato, nonchè il diniego di procedere alla certificazione di conformità alle registrazioni originali di quelle contenute sui supporti informatici presenti nel fascicolo del dibattimento dimostra che le intercettazioni sono avvenute con impianti da quelli in dotazione della Procura. b) con il secondo motivo di gravame veniva eccepito il vizio motivazionale della sentenza in relazione alla supposta organizzazione criminale ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, facente capo al S.; è stata riportata acriticamente la motivazione del primo giudice senza dare risposta alle censure difensive espresse in gravame; dal contenuto delle intercettazioni, contrariamente a quanto assunto dal giudice, è dato evincere che non esiste una associazione stabile emergendo infatti una concreta difficoltà nel reperire la droga. Manca per contro una suddivisione di ruoli e l’autonomia del sodalizio anche rudimentale onde realizzare il programma criminoso e manca addirittura la prova della commissione dei reati fine. c) con il terzo motivo di impugnazione veniva censurata la motivazione in relazione al capo A); anche in questo caso è stata riportata acriticamente dalla Corte distrettuale la motivazione del primo giudice senza dare risposta alle censure difensive espresse in gravame; veniva osservato che la eccepita insussistenza della associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti priva l’omicidio del movente indicato dal giudice di merito, atteso essere risultato anche dalle dichiarazioni del collaborante P. che l’omicidio era maturato quale vendetta del cosiddetto "Principino", tale E.V., nipote di L.M., ucciso appunto, si dice, dal B.. Dalle indagini svolte, in particolare dall’ispettore Ci., non se ne trae alcuna indicazione che il B. avesse una propria piazza di spaccio e quindi che la consorteria dei Boschetti-Sacco avesse un qualche vantaggio nella sua eliminazione. Venivano reiterati dubbi inoltre sulla esatta identificazione del "(OMISSIS)" con il ricorrente D. S., così come emerge chiaramente dall’esame della intercettazione ambientale del n. 219 del 30 agosto da cui emerge, per la concatenazione degli eventi, che i "(OMISSIS)" sono quantomeno due. Veniva inoltre confutato l’assunto del secondo giudice secondo cui il S. aveva preso parte all’organizzazione essendo infatti rimasto detenuto ininterrottamente dal 28 ottobre 2005 al 21 agosto 2006 e come emergente da alcune conversazioni quali quella del 10 agosto 2006 e quella del 3 settembre 2006. Inoltre il S. era interessato ai luoghi frequentati in quel periodo dal G. in vista dell’omicidio, ma per altre questioni, ancorchè non meglio emerse, ma che nulla hanno a che fare con il fatto di sangue. Nessun riferimento al B. viene mai fatto nelle intercettazioni, nè alcun suggerimento è ricavabile in relazione alla preparazione o organizzazione dell’omicidio. Nessuna azione istigatrice è individuabile, nè agevolazione di sorta o cooperazione delittuosa sotto nessuna forma, ma tutt’al più una semplice connivenza o una mera adesione morale passiva non punibile. d) Con il quarto motivo di impugnazione veniva censurata la motivazione in relazione al diniego della esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 e della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Veniva osservato che per i soggetti imputati, giusto il loro ambiente di provenienza, non vi è fatto sproporzione tra la causale per cui si sono mossi (sia esso individuabile nel progetto di espansione sul territorio sia esso da ravvisarsi in quello della vendetta per l’uccisione del (OMISSIS)) e l’azione delittuosa. Inoltre il giudice ha motivato in modo solo apparente in relazione alla minima partecipazione all’omicidio contestato del S.. Infine veniva rilevata la eventualità che, nell’ipotesi di applicazione delle attenuanti generiche sulla pena base possa risultare più favorevole l’applicazione del criterio moderatore piuttosto che ricorrere alla disciplina del reato continuato.

2.3 – Sa.Cl. ha infine esposto le seguenti censure:

a) con il primo motivo venivano avanzati rilievi motivazionali osservando che la sentenza gravata sulla posizione del Sa., non rispondendo alle doglianze espresse nei motivi di appello, si è limitata a riportare uno stralcio della sentenza di primo grado omettendo la valutazione della prova e dei criteri adottati per addivenire al giudizio di colpevolezza del prefato (segnatamente in relazione al ruolo avuto come concorrente morale) dando contezza del ragionamento probatorio seguito;

b) con il secondo motivo veniva segnalata la violazione dei canoni valutativi della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p.; non vi era alcun elemento di prova da cui poter desumere che il Sa. fosse coinvolto nella vicenda con il ruolo a lui attribuito; in realtà si tratta solo di indizi che non si presentano come gravi, precisi e concordanti, avendo per contro carattere di equivocità e avendo il giudice del merito omesso di rispondere ai motivi di gravame.

Motivi della decisione

3. – I ricorsi sono destituiti di fondamento e vanno rigettati.

3.1. – Deve premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, di talchè – sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte – deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, Ballan ed altri e, da ultimo, Sez. 1, 21 marzo 1997, Greco ed altri;

Sez. 1,4 aprile 1997, Proietti ed altri).

3.1.1 – Il primo motivo di ricorso dell’impugnazione nell’interesse del S. (genericità del capo di imputazione) non è fondato e deve essere respinto.

3.1.2. – In materia di indeterminatezza del capo di imputazione questa Corte di legittimità ha già avuto modo di enunciare il principio (espresso in una pronuncia risalente nel tempo, ma mai successivamente contraddetta) secondo cui è nullo il decreto di citazione a giudizio, quando il pubblico ministero non rispetti l’obbligo di formulare la contestazione in modo chiaro, preciso e completo sotto il profilo materiale e soggettivo, allorquando tale genericità o la semplice indeterminatezza dell’imputazione finisca con incidere sul diritto di difesa, poichè non pongono l’interessato in grado di effettuare una scelta meditata sulla linea da assumere.

3.1.3 – Ciò posto deve osservarsi che i capi di imputazione contestati ai prevenuti sono sufficientemente specifici indicando gli elementi integrativi del reato e la loro collocazione nel tempo e nello spazio (Cass., Sez. 3, 19 maggio 2009, n. 28047, Mazzettini e altro, rv. 244579; Sez. 3,9 gennaio 1992, n. 1077, Giorgetta, rv.

189594). Gli imputati sono stati pienamente in grado, come del resto dimostrato dal tenore delle argomentazioni sviluppate in entrambi i gradi di giudizio e nelle rispettive impugnazioni, di poter approntare le loro analitiche difese. Ancorchè il giudice di secondo grado nulla abbia a scritto in relazione alla pretesa indeterminatezza, tuttavia ha espresso un giudizio di concretezza in relazione al capo A) perfettamente utilizzabile anche per gli altri capi.

3.1.4 – Nessuna contraddizione è rilevabile inoltre nell’affermazione del giudice che la condotta addebitata al S. sia poi quella di cui alla sentenza di condanna, posto che, cosi esprimendosi, non ha certamente inteso affermare che la decisione abbia integrato il capo di imputazione, bensì che la condotta in esso sviluppata è risultata quella su cui è poi convenuto il giudizio di responsabilità. 3.1.5 – Non è condivisibile peraltro l’assunto difensivo secondo cui il capo di imputazione sub A) individui per il S. un ruolo materiale in contrapposizione al mero ruolo morale ritenuto dal giudice, posto che in realtà, a ben esaminare la contestazione, la descrizione della condotta formale addebitata al S. con ruolo intercambiabile a quello del Sa. nella fase dell’organizzazione delle modalità esecutive e della ricerca del momento opportuno per l’azione, disegna un contributo concorsuale che non è solo morale, di incoraggiamento con suggerimenti e consigli all’omicida, ma anche materiale e concreto, di supporto funzionale al fatto, inquadrabile, appunto, nella condotta delineata dal giudice di merito nella decisione di condanna. In sentenza, per vero, in modo esplicito, ancorchè erroneamente, si parla, è vero, di solo concorso morale, rinvenendo tuttavia (e facendo pure riferimento esplicito) a ben vedere, anche un comportamento attivo fattuale di tipo complesso, sia nel campo propriamente organizzativo che di aiuto morale, che non può essere ridotto, a meno di voler ingiustificatamente assegnare un valore minusvalente al testo (che però non ha) a quanto argomentato dalla difesa. E con ciò si intende non l’ausilio esternato dal S. a fine di far rafforzare o nascere un proposito criminoso nel G. che prima non aveva, quanto piuttosto di instradare, istruire, rincuorare chi, al battesimo del fuoco, era in "ansia da prestazione" ed era giocoforza titubante e incerto.

3.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.

3.2.1 – E’ noto al riguardo che la giurisprudenza di questa Corte è unanime nel ritenere che, ai fini della utilizzabilità degli esiti intercettativi di conversazioni telefoniche in procedimenti differenti da quelli nei quali esse sono state disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l’autorità giudiziaria competente per il diverso procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 17 novembre 2004 n. 45189, rv 229244 e più recentemente Cass., Sez. 1, 21 ottobre 2010, n. 38626, Romeo, rv. 248665).

Non è chi non veda come il vaglio di utilizzabilità delle captazioni sia stato già infatti superato nel procedimento di origine sicchè, qualora voglia essere messo di nuovo in discussione spetterà, a chi eccepisca una nuova irritualità, farsi carico dell’acquisizione del decreto (presso il giudice della cognizione competente) e porlo in contestazione. Sotto questo profilo vi è un preciso parallelismo (a contrariis) tra l’inutilizzabilità già dichiarata in altro procedimento, che rende inutilizzabile le intercettazioni telefoniche in altri giudizi di merito anche di prevenzione o cautelare, e la concreta utilizzabilità già dichiarata (anche perfacta concludentia) in altro giudizio. In altre parole, fino a prova contraria, vi è una sorta di presunzione di legittimità della intercettazione già (valutata e) utilizzata da un giudice di merito. Nessun obbligo grava dunque sul giudice che fa uso di intercettazioni telefoniche allogene, dichiarate utilizzabili in altri procedimenti, di verificare, anche su istanza del difensore, quando generica e non correlata da specifiche doglianze come nel caso concreto, il decreto di autorizzazione. Da quanto sopra consegue l’assoluta ininfluenza delle censure mosse dal ricorrente in ordine alla ritualità del decreto autorizzativo delle intercettazioni telefoniche eseguite.

3.3 – Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione (eccezioni motivazionali in relazione alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria).

3.3.1 – Va osservato che la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sul rilievo che, nel giudizio di appello, essa costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicchè il potere del giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Cass., Sez. Un., 24 gennaio 1996, Panigoni; Sez. 1, 11 novembre 1999, Puccinelli ed altro). Atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Cass., Sez. 3, 29 luglio 1993; Sez. 1, 15 aprile 1993, Ceraso) deve sottolinearsi che la motivazione della sentenza impugnata da conto, in modo inequivoco, delle ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di rinnovazione parziale, essendo stato ritenuto che gli elementi probatori disponibili risultano completi e concludenti per la formazione del convincimento del giudice di secondo grado (Cass., Sez. 1,19 marzo 2008, n. 17309, Calisti). Ed è altresì consolidato principio di questa Corte ritenere, che la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio d’appello può costituire violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado ( art. 603 c.p.p., comma 2) (Cass., Sez. 5,8 maggio 2008, n. 34643, P.G. e De Carlo e altri, rv. 240995) mentre l’error in procedendo è rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), e configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (ex plurimis, Cass., Sez. 4, 14 marzo 2008, n. 23505, Di Dio, rv.

240839).

3.3.2. – Ciò posto, deve rilevarsi che la Corte territoriale, nella confutazione della richiesta difensiva più sopra indicata, ha posto l’accento, ancorchè in modo stringato, ma non per questo meno esauriente (sul punto cfr. Sez. 4, 2 dicembre 2009, Sergio e altri, n. 47095, rv. 245996, che esprime il principio di diritto condiviso da questo Collegio secondo cui il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non bisognevole di approfondimenti indispensabili) sulla non decisività e sulla superfluità delle istanze avanzate; un loro accoglimento non avrebbe sortito alcun concreto progresso nell’accertamento della verità (neppure in punto di movente stante la possibilità di coesistenza di plurimi moventi tra loro non incompatibili) stante anzi la doverosa ottemperanza, in carenza di una effettiva esigenza accertativa, del cogente principio della ragionevole durata del processo, la cui elaborazione giurisprudenziale da parte della Corte di Strasburgo, nell’interpretazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha condotto al riconoscimento nel nostro ordinamento del relativo principio con la riforma costituzionale del 1999. 3.4 – Il quarto motivo di ricorso (censure inerenti all’associazione ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) è altresì infondato.

3.4.1 – Le doglianze difensive avanzate costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto, poichè non inerenti a errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata ovvero in travisamento della prova, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per – pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perchè in violazione della disciplina di cui all’art. 606 cp.p. (Giurisprudenza consolidata: Cass., Sez. Un. 2 luglio 1997, n. 6402, rv. 207944; Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930, rv. 203428; Sez. 1,6 maggio 1998, n. 5285, rv. 210543; Sez. 5,31 gennaio 2000, n. 1004, rv. 215745; Cass. Sez. 5, ord. 14 aprile 2006, n. 13648, rv. 233381). Il provvedimento gravato si impone peraltro con una motivazione congrua e compiuta avendo dato conto delle emergenze probatorie, segnatamente dalla conversazioni telefoniche e ambientali relative al periodo in contestazione da cui era emersa l’esistenza di un gruppo attivo nel campo del traffico di sostanze stupefacenti che, sfruttando l’organizzazione preesistente, unitariamente, di acquisti e vendite, con suddivisione al proprio interno di ruoli e compiti specifici con utilizzo dei medesimi luoghi per l’occultamento della droga. La Corte territoriale analizza a tal fine le captazioni in questione mettendo in evidenza come l’attività svolta dal prevenuto era ben più pregnante di quella del semplice acquirente consumatore essendo protesa anche alla pianificazione dello spaccio.

3.4.2. – Del resto, in punto di valutazione della esistenza del vincolo associativo in materia di traffico di sostanze stupefacenti, è appena il caso di richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive dei reati fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale (ex pluribus, Cass., Sez. 6, 17 giugno 2009, n. 40505, il Grande e altro, rv. 245282).

3.4.3. – Per quanto riguardava in particolare il ricorrente, il giudice della cognizione ha valorizzato gli indici rivelatori cui fa riferimento la giurisprudenza citata e, in particolare, i continui rapporti con gli altri sodali dell’associazione in merito ad argomenti esplicitamente collegati alle sostanze stupefacenti così come emergente, secondo il giudice del merito, dalle conversazioni telefoniche.

3.4.4. – Le sollecitazioni difensive che attengono a una diversa interpretazione del contenuto delle conversazioni captate (quella secondo cui le dazioni in danaro si svolgevano per causali di mera ed esclusiva amicalità) oltre che prive di qualsivoglia sostegno probatorio, si risolvono in determinazioni in fatto improponibili in questa sede in quanto intimanti una diversa rivalutazione del governo probatorio che è, com’è noto, preclusa davanti a questo giudicante.

3.4.5. – Del tutto priva di rilevanza è poi la questione relativa alla mancata motivazione sia in punto della sentenza di non luogo a procedere da parte del Giudice della Udienza preliminare, cui si fa riferimento in gravame, sia in relazione alla deposizione dell’isp. Ci. che ne uscirebbe da quella decisione "depotenziata" o quantomeno svilita; a parte la genericità del rilievo (non si indica neppure la data di emissione della sentenza in questione sicchè non è apprezzabile la eventuale conseguente sovrapponibilità del periodo contestato in quel giudizio con quello di cui al procedimento che ci occupa) non è chi non veda come la sentenza di non luogo a procedere non sia suscettibile per sua stessa natura di passare in cosa giudicata anche perchè verte sulla insussistenza degli elementi accusatori per il successivo giudizio dibattimentale (non parificabile in nessun modo, pertanto, a una sentenza assolutoria) non ostando che tali profili siano nel prosieguo corroborati determinando, appresso la relativa richiesta, la revoca della sentenza in questione.

3.4.6. – Inammissibile è il rilievo difensivo che attiene all’interpretazione circa il possesso della droga da parte della vittima al momento della sua uccisione (sarebbe stata sua intenzione, secondo la versione espressa in ricorso, farne una scorta per portarla a (OMISSIS)). Trattasi per vero di una mera quaestio facti peraltro irrilevante in questo giudizio in quanto, come implicitamente fa valere la Corte distrettuale, il possesso contingente di droga nell’occasione dell’omicidio non contrasta con il movente "personale" del S., quale emerso secondo il giudice di secondo grado dalla istruttoria svolta, di voler eliminare un concorrente "fastidioso" dalla sua piazza.

3.4.7. – Peraltro non pare che il giudice di secondo grado deduca l’intraneità del S. dalla sua "vicinanza" al gruppo Bocchetti.

Il giudice al contrario argomenta il coinvolgimento diretto del prefato proprio analizzando i suoi stretti rapporti con l’organizzazione non limitati alla mera contiguità. 3.5 – Il quinto motivo di ricorso (vizi motivazionali in relazione al reato omicidiario) non è fondato e deve essere respinto.

3.5.1 – Sulla questione si richiamano le determinazioni già espresse al paragrafo 3-1-3. 3.5.2 – Qui si intende solo aggiungere che l’apporto contributivo del S. è in stretto nesso causale con il medesimo e non solo perchè l’apporto, come già argomentato fu anche materiale, ma in quanto l’ausilio è stato quello di "guidare" l’omicida per rendere più efficace la sua azione e garantire il successo finale dell’azione. E’ il caso qui di richiamare la giurisprudenza del Supremo Collegio formatasi sul punto che ha avuto modo di chiarire che, ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato ( art. 110 c.p.), il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perchè in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (Cass., Sez. 4, 22 maggio 2007, n. 24895, P.M. in proc. Di Chiara, rv. 236853; Sez. 5, 3 aprile 2004, n. 21082, Terreno, rv. 229200). Non è dunque un caso che il G., dopo l’omicidio, si rechi dal S. non solo per festeggiare, ma anche per ringraziarlo dell’aiuto concreto datogli così come non manca di indicare il giudice di merito.

3.6 – Il sesto motivo di ricorso (vizio motivazionale concernente l’attenuazione della pena) è destituito di fondamento e deve essere rigettato.

3.6.1 – Va ribadito che per la sussistenza della circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza al reato è necessario che l’apporto causale del soggetto sia stato di lievissima entità, tale cioè da poter essere facilmente ovviato mediante una diversa distribuzione dei compiti tra gli altri compartecipi (Cass., Sez. 1, 7 marzo 1978, n. 9106, Malerba, rv. 139641). E invero per la concessione dell’attenuante della partecipazione di minima importanza al reato non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso:

ciò che si verifica allorquando la condotta del correo risulti tale da poter essere avulsa, senza apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell’evento (Cass., Sez. 6, 4 maggio 2006, n. 33435, Battistella e altri, rv. 234365; Sez. 4,12 gennaio 2006, n. 11380, Agostino ed altri, rv. 233664).

3.6.2 – Ciò posto si osserva che un contributo causale, materiale e morale, come quello svolto dal prevenuto, è stato, dal giudice di merito, fatto oggetto di concreta apprezzabilità sia sotto il profilo organizzativo che concreto.

3.6.3 – Deve essere altresì respinta la censura motivazionale concernente il diniego delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. La Corte di merito, lungi dal negare apoditticamente la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle attenuanti generiche, ha argomentato il diniego di tali attenuanti e la congruità del trattamento sanzionatorio, da un lato, rilevando l’assenza in atti di un qualsivoglia elemento suscettibile di positiva valutazione a tali fini e, dall’altro lato, sottolineando la valenza ostativa dei plurimi precedenti penali del S. sintomatici di una sua spiccata pericolosità sociale, nonchè la gravità del fatto e ciò dopo una attenta analisi delle componenti oggettive e soggettive del fatto e delle sue specifiche modalità. E poichè la statuizione in ordine all’applicazione o meno delle circostanze attenuanti generiche deve fondarsi sulla globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole ed è censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi in cui essa appaia frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico, deve convenirsi sulla congruità dell’argomentare della Corte di Assise di appello di Napoli, che è privo di vizi logico-giuridici, in linea con i principi enunciati in materia da questa Corte e aderente alle norme di legge.

4.1 – Il primo motivo di ricorso dell’impugnazione a firma dell’avv. Davino (censure aventi ad oggetto le disposte intercettazioni) non è fondato e deve essere respinto.

4.1.1 – Per la soluzione delle questioni proposte in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e sul tema della motivazione dei relativi decreti autorizzativi, appare assolutamente necessario che si parta concettualmente dalla considerazione di base che, ciò che rileva e conta, è che da esse motivazioni possa dedursi l’iter cognitivo e valutativo, seguito dal giudice, e se ne possano conoscere i risultati, i quali, per il loro utilizzo, debbono profilarsi ed essere conformi alle prescrizioni della legge. Ed è su questa regola, angolare e di riferimento, che vanno sviluppate e tarate le valutazioni di questa Corte al fine della verifica della validità della giustificazione logica giuridica data dal Tribunale del riesame al provvedimento impugnato.

Ciò detto, va rammentato che i numerosi interventi, anche delle Sezioni Unite, hanno nel tempo comportato l’enunciazione di una serie di principi (cfr. in termini anche: Cass., Sez. 1, 3 febbraio 2005, n. 11525, P.M. in proc. Gallace, rv. 232261) che, per la parte che qui interessa, possono essere così riassumibili:

a) la motivazione "per relationem" dei relativi provvedimenti va considerata legittima, quando faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risponda a due connotazioni di base: 1) risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione tipica del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il decidente ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia pesate e ritenute coerenti alla sua decisione; b) l’atto di riferimento (con siffatta qualità di motivazione), se non è allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve peraltro essere conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed eventualmente di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Cass., Sez. Un., 17/00, 21 giugno 2000, Primavera ed altri);

c) agli effetti della motivazione "per relationem", al fine di istituire una connessione tra due provvedimenti, non occorrono però formule particolari e la idoneità di quella che è stata usata va valutata in concreto, tenendo conto dei rapporti esistenti tra i provvedimenti (Cass., Sez. Un., 919/04,26 novembre 2003, Gatto);

d) che, quanto alle conseguenze della motivazione "assente o apparente" rispetto al diverso vizio di "inadeguatezza ed insufficienza della motivazione" (dei provvedimenti autorizzativi di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni), va ribadita la distinzione di effetti tra motivazione assente o apparente, che comporta la conseguenza dell’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, e il vizio di inadeguata o insufficiente motivazione, che invece non rileva ai fini della loro utilizzabilità (SS.UU. 23 novembre 2004, 45189/2004, rv. 229246, Esposito, Massime precedenti Conformi: n. 11 del 1998 rv. 210610, Primavera n. 17 del 2000 rv. 216664). Da tali regole ne deriva che non possono considerarsi motivazioni meramente apparenti dei decreti autorizzativi emessi dal G.I.P., quei provvedimenti che, analizzati in concreto e nella loro concreta successione procedimentale, trovano supporto argomentativo sufficiente, come nella specie, nel richiamo alle richieste del P.M. e alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, le quali, per il fatto di essere state prese in esame e fatte proprie dal giudice, integrano l’idonea motivazione per relationem dei decreti anzidetti, nella misura e nel senso in cui sono idonei a evidenziare l’iter cognitivo e valutativo seguito dal decidente 16 a giustificazione del particolare mezzo di ricerca della prova adottato (Cass., Sez. 6,14 novembre 2008, n. 46056, Montella, rv. 242233; Sez. 1,11525/2005 Gallace).

4.1.2 – Nella vicenda di causa i decreti indicati in ricorso sono ottemperanti ai principi anzi detti dando sufficiente contezza del vaglio di legittimità richiesto dal provvedimento. Peraltro è appena il caso di rilevare che la doglianza difensiva si profila meramente (formale e per quel che più qui rileva) astratta posto che non individua alcun vizio (anche opinabile) che il giudice, nel suo presunto non attento esame, non abbia rilevato pur nella sua ricorrenza.

4.1.3 – Del tutto irrilevante, generico e in fatto, è per contro l’assunto difensivo secondo cui un mero errore di indicazione del tipo di intercettazione autorizzata sarebbe indice di superficialità della convalida stessa.

4.1.4 – Giova richiamare il principio di diritto già espresso da questa Corte di legittimità sul punto secondo cui sono utilizzabili le intercettazioni di conversazioni eseguite mediante gli apparecchi esistenti negli uffici della Procura della Repubblica anche quando l’ascolto avvenga "in sede remota" da parte degli organi di polizia giudiziaria, in quanto il mezzo di prova è costituito esclusivamente dalla registrazione delle conversazioni che viene effettuata presso gli uffici di Procura e non dall’ascolto delle stesse che viene eseguito contestualmente dalla P.G. in luogo diverso, ai fini della prosecuzione delle indagini. (Fattispecie di ascolto eseguito dalla P.G. presso propria sala intercettazioni con il sistema "Mito a o Innova") (Sez. 3, 20 novembre 2007, n. 4111, Musso, rv. 238534).

4.1.5 – La circostanza che, nello specifico, la difesa dubiti della legittimità delle intercettazioni ritenendo che il server presso la Procura abbia funzionato da mero ripetitore, costituisce mera illazione non supportata da alcuna dimostrazione concreta e comunque non rilevabile in questa sede risolvendosi infatti in valutazioni inammissibili.

Peraltro il giudice di secondo grado ha pienamente confutato in sentenza la relativa questione oggi riproposta avendo dato contezza con sufficiente ed esaustiva argomentazione della regolarità e legittimità delle operazioni svolte, avendo dato atto che dai verbali di inizio e fine delle intercettazioni risulta che i medesimi, pur recando la intestazione RONO venivano redatti dal militare di volta in volta delegato dal Pubblico Ministero, il quale dava atto che le operazioni erano state eseguite con apparecchiature MITO, installate presso la Procura della Repubblica di Napoli, con ascolto remoto presso il comando RONO, secondo una procedura che risulta espressamente autorizzata dal PM;

Inoltre è notorio che le specifiche tecniche del sistema MITO, proprio per rispettare le disposizioni normative in materia, prevede una architettura client-server che si basa su una centralizzazione di registrazione non alterabile che confina i dati sensibili sul server centrale senza distribuire nessuna informazione permanente ai client in remoto, garantendo il più elevato livello di sicurezza possibile.

4.2 – Anche il secondo motivo di gravame (censure inerenti all’associazione ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) è privo di pregio e va rigettato. Si richiamano qui le argomentazioni già spese ai paragrafi 3.4, 3.4.1, 3.4.2., 3.4.3., 3-4.4.

Del tutto privo di rilevanza è invece l’assunto che il momentaneo prosciugamento delle fonti di approvvigionamento di droga proverebbe l’inesistenza di una struttura organizzativa di fondo. Non è chi non veda come tali fonti siano esterne all’organizzazione e come tali non controllabili dipendendo da numerose variabili non direttamente gestibili.

4.3 – Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione (vizi motivazionali che attengono al reato di omicidio).

4.3.1 – La censura difensiva che concerne il movente non tiene conto del fatto che il giudice di merito agganci la morte del B. alla futura espansione dell’associazione per il significato e il ruolo che la vittima aveva sul territorio e nel campo della vendita di sostanze stupefacenti. Il collegamento rilevato nella sentenza tra l’omicidio e gli sviluppi futuri della consorteria è esplicito perchè deducibile dalle intercettazioni, ma questo non significa che il collegamento debba essere attribuito in via esclusiva alla funzione di spaccio della vittima (reso di per sè palese, argomenta il giudice di merito, dalle stesse intercettazioni, ma anche dal ritrovamento di droga accanto al cadavere), ben potendo essere ricollegato al maggior prestigio del gruppo derivante dalla eliminazione di un soggetto indicato tra i responsabili della morte del nipote di L.M., maggior prestigio che altro non poteva se non tradursi in una sorta espansione nel campo del narcotraffico. Nessuna contraddizione pertanto è rilevabile nella sentenza gravata.

4.3.2 – Del tutto priva di fondamento è la doglianza che attiene al dubbio di identificazione del (OMISSIS) nel D.S..

Le argomentazioni sul punto del giudice di merito sono esaustive e prive di contraddizioni. Le doglianze difensive si risolvono in una mera rilettura interpretativa del corredo probatorio già operato esaurientemente dal giudice di merito.

Peraltro corre l’obbligo rilevare che è la stessa difesa, nel propugnare l’esistenza di un altro (OMISSIS) nella vicenda, che fa riferimento alla conversazione telefonica n. 114 non accorgendosi che tale (OMISSIS), come accade in determinati ambienti, proprio per la diffusione degli stessi comuni patronimici, ha un soprannome il quale (per lo stretto collegamento con un difetto fisico o una caratteristica morale evidente del soggetto, lo rende pubblicamente riconoscibile) lo individua univocamente ( S.), proprio per evitare equivoci e fraintendimenti. In altre parole il giudice di secondo grado, ancorchè implicitamente, segnala come ci sia (tra i possibili diversi "(OMISSIS)", diminutivo diffuso di S.) un solo (OMISSIS) ovvero "(OMISSIS)", anche perchè se così non fosse, quando i conversanti fanno a lui riferimento si sarebbero trovati nella condizione di dover chiarire a chi tra i (OMISSIS) stavano in realtà facendo riferimento, cosa che non è invece avvenuta. Peraltro la Corte distrettuale fa chiaramente richiamo al fatto che sia il collaborante P. a rammentare che è proprio il D.S. a essere soprannominato in tal modo, mentre nulla riferisce della esistenza di una omonimia di soprannome in quella stessa zona.

4.3.3 – Del tutto privo di fondamento è poi il rilievo difensivo secondo cui il S. non avrebbe partecipato alla organizzazione dell’omicidio per il solo fatto di essere stato detenuto fino al 21 agosto. Non tiene per vero conto la difesa, come evidenziato dal giudice di merito, che alla data del 21 agosto, se da un lato era stata già decisa la eliminazione del B., molto ancora doveva essere fissato in termini logicisti in vista dell’omicidio avvenuto infatti ben dodici giorni dopo, tanto è vero che, anche se il S. è intervenuto in medias res, ha avuto ugualmente modo di rendersi utile vuoi come supporto morale del G., vuoi nella segnalazione della vittima, vuoi infine nel fare da portavoce al Sa. e in altre non irrilevanti incombenze. Non è un caso, come più sopra già evidenziato, sottolinea il giudice di merito, che dopo l’uccisione del B., il G. sia andato a ringraziare il S. per l’aiuto fornitogli, festeggiando con lui offrendo vino e pasticcini.

4.3.4 – Parimenti destituito di fondamento è la censura difensiva che riguarda l’eventuale esistenza di diversi interessi del S. in quella stessa via nei pressi della quale sarebbe stato poi commesso l’omicidio B.. Trattasi per vero di sollecitazioni di merito non ricevibili in questa sede. La Corte territoriale ha dato ampia ed esaustiva contezza del ruolo avuto dal prefato, previa analisi delle captazioni, nell’ambito del significato complessivo espresso. Sull’apporto contributivo del S. si rimanda a quanto più sopra sviluppato al paragrafo 3.5.2..

4.4 – Il quarto motivo di ricorso (censure attinenti all’aggravante dei futili motivi e della non riconosciuta attenuante della minima partecipazione) è parimenti infondato.

4.4.1 – La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha chiarito che, ai fini della sussistenza dell’aggravante dei motivi futili deve intendersi l’antecedente psichico della condotta, ossia l’impulso che ha indotto il soggetto a delinquere, e che il motivo deve qualificarsi futile quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da poter considerarsi, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale (Cass., Sez. 1, 8 aprile 2009, Same U Ullah); Sez. 1,22 maggio 2008, n. 24683, Sez. 1,11 febbraio 2000, Dolce; Sez. 1, 19 gennaio 1999, P.M. in proc. Zumbo ed altri;

Sez. 6, 3 giugno 1998, Rova). La circostanza aggravante ha, quindi, natura prettamente soggettiva, dovendosene individuare la ragione giustificatrice nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto che legittima l’applicazione di un più severo trattamento punitivo (Cass., Sez. 1,20 ottobre 1997, Trovato).

4.4.2 – Ciò posto deve rilevarsi che le causali emerse in sentenza si pongono sicuramente come non proporzionate al grave fatto di sangue commesso, essendo stato eseguito l’omicidio B. come mero atto strumentale per garantire una supremazia illecita in un determinato territorio.

4.4.3 – L’assunto difensivo secondo cui, per la cultura dei prevenuti, le ragioni dell’omicidio, qualunque essere fossero, non costituiva una sproporzione è privo di fondamento. E’ evidente per vero che il legislatore ha tenuto conto dell’idem sentire della gente comune e non certo di chi delinque, la cui sensibilità è spesso ancorata, come nel caso di specie, a parametri illeciti e illegittimi tipici di una subcultura, non condivisi dal resto della popolazione.

4.4.4 – In relazione alla censurata motivazione in punto di attenuante ex art. 114 c.p. si richiamano le sovra estese determinazioni di cui ai paragradi 3.6.1 e 3.6.2..

5.1 – Il primo motivo del ricorso S. (censure motivazionali della sentenza) non è fondato e deve essere respinto.

5.1.1 – Deve innanzitutto rilevarsi la genericità delle doglianze atteso che ci si lamenta di una mancata risposta da parte della Corte territoriale senza chiarire quali siano stati i motivi che in via specifica sano stati pretermessi dal giudice.

5.1.2 – Ciò chiarito va osservato che, per contro, le argomentazioni sviluppate dal giudice di secondo grado sono esaustive delle ragioni poste a fondamento del proprio convincimento avendo esplicitato come il contenuto delle captazioni telefoniche e ambientali diano piena contezza del ruolo del Sa. nella vicenda vuoi come concorrente morale vuoi come concorrente materiale.

5.2 – Anche il secondo motivo di gravame (violazione dei canoni valutativi della prova) è privo di pregio e va rigettato.

5.2.1 – La sentenza impugnata non si sottrae all’esame analitico delle conversazioni captate che vengono esaminate nella concatenazione degli eventi in stretta correlazione con l’evento omicidiario. Deve poi aggiungersi che alcun dubbio può nutrirsi in ordine alla identificazione del Sa. attesa anche l’individuazione fotografica del collaborante P. che ha riconosciuto in foto il Sa. indicando come appartenente al gruppo di fuoco del clan Bocchetti. Le doglianze espresse in ricorso sono per contro ge-neriche e non correlate con il contenuto del provvedimento gravato.

6. – Al rigetto dei ricorsi consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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