Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-04-2011) 01-07-2011, n. 26016 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Bari, Sezione Distaccata di Acquaviva delle Fonti, con sentenza del 19 marzo 2010, ha confermato la sentenza del Giudice di pace di Gioia del Colle dell’11 dicembre 2008 che aveva condannato P.F. alla pena di Euro 800 di multa, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile per il delitto di lesioni personali in danno di C.F..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, personalmente, lamentando, in rito, una nullità assoluta del giudizio di primo grado, per la mancata audizione di un teste della difesa regolarmente ammesso, sulla quale il Giudice dell’impugnazione nulla aveva detto avendolo, peraltro, escusso in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ex art. 603 c.p.p.; quanto al merito, la illogica ricostruzione dei fatti.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Quanto al primo motivo e in rito, si osserva come la mancata assunzione di un teste ammesso, ancorchè illegittima, non avrebbe in ogni caso determinato alcuna nullità del giudizio ma soltanto l’insorgere del diritto dell’imputato ad ottenere l’integrazione della prova in grado di appello.

A ciò si aggiunga, con assorbente considerazione, come il teste della difesa sia stato poi effettivamente escusso in appello, a seguito della riapertura dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’art. 603 c.p.p. e che la sua deposizione non sia stata ritenuta dal giudicante neppure decisiva ai fini del chiesto proscioglimento dell’imputato.

A voler tutto concedere, poi, l’ipotetica nullità avrebbe potuto essere qualificata come "concernente le prove" e, pertanto, non avrebbe determinato alcuna regressione del procedimento, secondo quanto disposto dall’art. 185 c.p.p., comma 4. 3. Quanto al secondo motivo, del pari, giova premettere in diritto come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, che il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato debba essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del Giudice.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

In fatto, questa volta, si osserva come i motivi di ricorso risultino simili se non identici a quelli presentati in sede di appello e disattesi dal Tribunale pugliese per cui il ricorso sarebbe già affetto da una genericità ai limiti dell’inammissibilità.

A ciò si aggiunga come, nell’impugnata decisione, le dichiarazioni della parte lesa siano state ritenute, con motivazione pienamente logica, del tutto attendibili nonchè corroborate dalle ulteriori acquisizioni probatorie (in particolare la certificazione medica del tutto compatibile con il racconto dei fatti nonchè le testimonianze escusse).

4. Il ricorso va, in conclusione, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *