T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 06-07-2011, n. 1808 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I presenti giudizi hanno ad oggetto diversi provvedimenti adottati dal Comune di Rho nell’ambito della bonifica di un’area denominata "ex Chimica Bianchi", sulla quale l’omonima industria chimica, facente parte del "Gruppo Montedison", ha svolto la propria attività produttiva per decenni, poi cessata verso la fine degli anni settanta del secolo scorso.

Successivamente è stato realizzato nel 1982 un intervento di messa in sicurezza dei terreni, mediante incapsulamento della vasca interrata per il recupero dei solventi e l’area è stata alienata e quasi interamente riedificata mediante lottizzazione ed insediamento di circa 80 attività di tipo artigianale ("Condominio Artigianale di Via Magenta n. 77").

A seguito di indagini esperite nel 1999 da parte della Provincia di Milano, il settore settentrionale della predetta area è stato individuato quale centro di contaminazione della falda acquifera. In particolare si è accertato che il dispositivo di contenimento realizzato nel 1982 non era più idoneo a trattenere le sostanze inquinanti, da cui la necessità di predisporre uno sbarramento idraulico dell’intera area, nonché di adottare tutte le possibili soluzioni praticabili per interventi mirati di bonifica (v. relazione tecnica del 16.11.1999).

Su tale scorta è stato istituito presso la Provincia un "Gruppo di lavoro" onde adottare gli interventi necessari. Il verbale del 1.2.2000 invitava il Comune a "procedere celermente alla formalizzazione dei disposti dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97 nei confronti della proprietà", prospettando la concorrente necessità di eseguire ulteriori campionature dei pozzi "per confermare l’ipotesi sostenuta nella Relazione secondo cui si tratterebbe di un unico fenomeno di contaminazione".

Con ordinanza n. 18974 del 29.2.2000 il Comune ha intimato al Condominio Artigianale di Via Magenta, n. 77 l’adozione degli interventi necessari alla messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e di ripristino ambientale dell’area de quo. L’ordinanza veniva tuttavia impugnata e sospesa dal T.A.R. in sede cautelare.

Con il provvedimento impugnato con il ricorso principale nel giudizio R.G. n. 3425/2000 il Comune ha ordinato "alla società Montedison S.p.a." di provvedere entro trenta giorni ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale della parte nord dell’area denominata "Chimica Bianchi", ai sensi del D.M. n. 471 del 25.10.1999.

Le principali premesse di tale provvedimento sono le seguenti:

– la predetta area, in precedenza "sede di un insediamento produttivo della Montedison S.p.a.", ha successivamente formato oggetto di un piano di recupero, divenendo successivamente sede di insediamenti artigianali, costituitosi nel Condominio di Via Magenta, n. 77, già Insediamenti Produttivi di Rho (I.P.R.), di proprietà dell’immobiliare Edera S.r.l.;

– a seguito di indagini analitiche effettuate dalla Provincia di Milano e dall’A.S.L. Milano 1 si accertava la presenza di rilevanti quantità di inquinanti nel sottosuolo;

– a norma dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97 il soggetto obbligato a provvedere alla bonifica del sito inquinato è colui che ha cagionato l’inquinamento. Conseguentemente, l’ordine di esecuzione degli interventi necessari alla messa in sicurezza è stato rivolto alla Società Montedison S.p.A., in qualità di dante causa della I.P.R. S.r.l.

Con ordinanza cautelare n. 2724/2000 il T.A.R. accoglieva, peraltro, la domanda di sospensione degli atti impugnati, affermando "che nel persistente difetto di ogni definitivo accertamento in ordine alle cause ed alla responsabilità del rilevato inquinamento, spetta dunque all’Ente Locale, che ritenga sussistenti ragioni di indilazionabile urgenza, di attivarsi direttamente".

Gli atti successivamente emanati sono stati impugnati con autonomi ricorsi (R.G. nn. 2854/2002 e 1498/2003) e con motivi aggiunti a questi ultimi e a quello R.G. n. 3425/2000. Tali atti hanno riguardato, in particolare, l’approvazione del progetto preliminare per la realizzazione della barriera idraulica a sud dell’area ex Chimica Bianchi, a suo tempo predisposto da un professionista "per conto di Edera S.r.l., proprietaria dell’area". Il detto progetto è stato successivamente acquisito, sviluppato in un documento definitivoesecutivo, e concretamente attuato dal Comune stesso, salva l’intenzione di "perseguire un’azione di rivalsa nei confronti del responsabile".

Motivi della decisione

I ricorsi R.G. nn. 1498/2003 e 2854/2002 vanno riuniti al ricorso R.G. n. 3425/2000, ex art. 70 c.p.a., attesa la loro connessione soggettiva ed oggettiva.

Preliminarmente osserva il Collegio che il thema decidendum è integrato dalla contestata legittimità del provvedimento impugnato con il primo ricorso (R.G. n. 3425/2000).

Le censure ivi formulate sono in parte di ordine formale (motivi 2, 5 e 7) e nel resto di ordine sostanziale (motivi 1, 3, 4, 6 e 8). La ricorrente ha, infatti, dedotto con i primi rilievi il mancato invio di avviso del procedimento (n. 2), nonché l’esiguità del termine assegnatole, contestando, poi, la possibilità di applicare retroattivamente l’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97 (n. 1), l’individuazione del responsabile, le modalità seguite per l’accertamento di un nesso causale tra le attività ascritte e la situazione di inquinamento riscontrata (n. 4), la contraddittorietà tra il provvedimento impugnato e la destinazione urbanistica dell’area de quo negli ultimi decenni (n. 8).

I provvedimenti successivi alla proposizione del detto ricorso sono stati autonomamente impugnati, ma la ricorrente attesta espressamente che il proprio interesse a contestare tali atti, ed in primis il progetto per la realizzazione delle opere di bonifica, trae fondamento dall’intenzione del Comune di intraprendere un’azione di rivalsa nei confronti del responsabile; il che è avvenuto anche in sede di proposizione dei successivi motivi aggiunti, con i quali si reitera la contestazione della qualifica riferita alla società ricorrente, quale "responsabile dell’inquinamento dell’area".

Appare dunque di preminente rilievo la definizione della legittimità o meno dell’ordine comunale n. 39180/2000, impugnato con il ricorso n. 3425/2000 con effetti direttamente rilevanti sugli altri due ricorsi profotti; in particolare, solo dall’accoglimento dei motivi volti a censurare vizi sostanziali del provvedimento impugnato (motivi nn. 1, 3, 4, 6 e 8) può derivare automaticamente l’invalidità dei provvedimenti successivi, in quanto fondati sui medesimi presupposti (ad es. possibilità di applicare retroattivamente l’art. 17 cit.). Per contro, poiché con le censure di ordine meramente formale (motivi nn. 2, 5 e 7), si contestano aspetti propri unicamente del provvedimento prot. n. 39180 del 11.7.2000 (es. esiguità del termine), dal loro accoglimento non consegue l’invalidità degli atti successivi, impugnati con gli ulteriori ricorsi

1) Con il primo motivo di detto ricorso è stato rappresentato che le attività svolte da società facenti parte del Gruppo Montedison nell’area di che trattasi sono cessate al più tardi nel 1982, data di trasferimento della proprietà, e dunque antecedentemente all’entrata in vigore del combinato disposto degli artt. 17 del D.Lgs. n. 22/97 e del D.M. n. 471 del 25.10.1999, che sarebbero, quindi, stati applicati retroattivamente.

Il motivo è infondato.

Il Consiglio di Stato ha statuito che "le previsioni del decreto Ronchi si applicano a qualunque sito che risulti attualmente inquinato, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica" e che "la normativa in parola, che peraltro presenta profili di continuità sostanziale con le disposizioni pregresse, trova applicazione a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo", posto che l’inquinamento dà luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause (C.S. Sez. VI 9.10.2007, n. 5283, pertinente una vicenda relativa ad una raffineria per la quale ogni attività era cessata fin dai primi anni 80). Il principio di derivazione comunitaria "chi inquina paga", consiste, infatti, nell’imputazione dei costi ambientali al soggetto che ha causato la compromissione del’ambiente, nel quadro di una logica risarcitoria ex post factum (T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 20.10.2009, n. 1118).

In altra occasione il Consiglio di Stato, pur negando la continuità normativa dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97 con gli artt. 2043 e 2058 c.c., ha ulteriormente precisato che un divieto di applicazione retroattiva del predetto art. 17 deve intendersi riferito solo "ad un soggetto estinto prima del 1997" (C.S. Sez. V 5.12.2008 n. 6055; contra T.A.R. Toscana Sez. II 1.4.2011, n. 573).

Infine, per quanto concerne il diritto comunitario, deve osservarsi che, sebbene la versione originaria del Trattato di Roma non contenesse alcun riferimento all’ambiente, dunque antecedentemente all’entrata in vigore della direttiva 2004/35, nel diritto derivato erano già presenti "positivizzazioni" del principio "chi inquina paga", come, ad esempio, nell’art. 15 della direttiva 75/442/CEE, in materia di smaltimento di rifiuti.

2) Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 7 della L. n. 241/90 e dei principi in tema di partecipazione al procedimento amministrativo.

Il motivo è fondato.

Il Comune oppone al riguardo che il procedimento de quo sarebbe nominato, per cui non si applicherebbero le disposizioni generali in materia di partecipazione; tale assunto non può tuttavia essere condiviso.

La giurisprudenza nazionale ritiene, infatti, che l’attività istruttoria del procedimento di bonifica debba prevedere la partecipazione del soggetto interessato (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27.7.2001, n. 488), attesa l’onerosità degli obblighi imposti (T.A.R. Toscana Sez. II 6.7.2010, n. 2316).

La Corte di Giustizia CE (Grande Sezione, sentenza 9 marzo 2010 nei procedimenti riuniti C379/08 e C380/08), ha chiarito che, mentre l’art. 7, n. 4, della direttiva 2004/35 obbliga l’autorità competente, in qualunque caso, ad invitare le persone sui cui terreni devono essere eseguite misure di riparazione a presentare le loro osservazioni, di cui essa deve tener conto, lo stesso art. 7, in particolare il n. 2 del medesimo, non contiene una formula analoga riguardo all’operatore interessato dalle misure di riparazione che detta autorità programmi di imporgli (v. punto 53). Tuttavia, il principio del contraddittorio impone all’autorità pubblica di sentire gli interessati prima dell’adozione di una decisione che li riguardi (v. punto 54). Alla luce di ciò, benché un diritto dell’operatore interessato ad essere ascoltato in qualsiasi caso non sia stato espressamente citato nell’art. 7, n. 2 della direttiva 2004/35, si deve riconoscere che questa disposizione non può essere interpretata nel senso che, in sede di definizione delle misure di riparazione, l’autorità competente non sia tenuta ad ascoltare detto operatore (v. punto 55).

Sostiene ancora la difesa comunale che l’ordinanza impugnata costituirebbe essa stessa avviso di avvio del procedimento, ma il Collegio non condivide tale assunto, posto che la vista ordinanza è direttamente lesiva, avendo posto a carico della deducente numerosi adempimenti, alcuni dei quali da compiere entro termini brevissimi (v. artt. 17 del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22, 7 e 8 D.M. 25.10.1999 n. 471).

Da un diverso punto di vista resiste ulteriormente il Comune, sottolineando che alla ricorrente era stata previamente notificata l’ordinanza n. 18974 del 29.2.2000, rivolta agli attuali proprietari dell’area, ma avente il medesimo contenuto di quella già impugnata, il che varrebbe dunque a considerarla equipollente alla comunicazione di cui all’art. 7 della L. n. 241/90.

Anche tale affermazione va disattesa.

Seppure la giurisprudenza riconosca che determinate comunicazioni dell’Amministrazione, nell’ambito di una vicenda procedimentale, possano implicitamente integrare l’avviso di cui al richiamato art. 7 (cfr. T.A.R. Campania Napoli Sez. II 8.1.2010, n. 19; T.A.R. Lazio, Latina Sez. I 9.6.2008, n. 703; T.A.R. Liguria Sez. I 19.4.2004, n. 444; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 12.6.2003 n. 306; Consiglio Stato Sez. VI 26.4.2002, n. 2253) l’affermazione vale in ogni caso soltanto quando le comunicazioni siano state effettuate agli "interessati", diversamente da quanto avvenuto nell’ambito della vicenda per cui è causa, essendosi il Comune limitato a rendere edotta la ricorrente dell’esistenza di un procedimento che, sebbene avesse ad oggetto l’area su cui essa aveva svolto attività industriale per molti anni, non la riguardava, essendone per tale via riferite le conseguenze unicamente ad altro soggetto (cfr. per analogia T.A.R. Liguria Sez. I 17.10.2003, n. 1144 secondo cui "quale atto equipollente della comunicazione di avvio del procedimento non assume rilievo il mero avviso per conoscenza da parte di un soggetto diverso da quello procedente, titolare del potere sanzionatorio").

36) Con il terzo e con il sesto motivo è stata denunciata l’insufficienza dell’istruttoria e della motivazione del provvedimento impugnato, essendo stato esso notificato "alla società Montedison S.p.a.", la quale sarebbe un "gruppo" (holding), all’interno del quale operavano decine di società, autonome ed indipendenti ai fini giuridici, in primis quanto all’assunzione di responsabilità. La ricorrente non potrebbe dunque ad alcun titolo essere ritenuta "responsabile" di quanto posto in essere in passato da varie società facenti parte del "gruppo", che pur assumendo la ragione sociale "Montedison", sarebbero da considerarsi completamente autonome dalla stessa.

I suddetti rilievi sono infondati.

Il doc. n. 37 del Comune testimonia che nel 1976 la "società Montedison" era "titolare dell’insediamento produttivo costituito da impianti chimici (…) in esercizio dal 1907 sotto il nome di Società Chimica Lombarda Bianchi, sito in Rho, Via Magenta 77". Il predetto documento, sottoscritto per "Montedison S.p.a.", la cui autenticità non è stata disconosciuta, attesta dunque che sull’area di che trattasi un’impresa avente la medesima denominazione e ragione sociale della ricorrente ha esercitato attività industriale di natura chimica, proprio nell’area in cui si sono rinvenuti i materiali inquinanti (analogamente v. il doc. n. 38).

4) Con il quarto motivo la ricorrente osserva come l’area de quo sarebbe stata profondamente trasformata nel corso degli anni, da parte di soggetti privati. Il provvedimento sarebbe pertanto carente di istruttoria e di motivazione, nella parte in cui ha addossato alla ricorrente la responsabilità dell’inquinamento.

Il motivo non merita accoglimento, dovendosi rilevare che l’ordinanza in questione rinvia alla relazione tecnica della Provincia di Milano del 16.11.1999, ed al verbale del 1.2.2000 del "Gruppo di lavoro", ove si ricava che, a seguito di indagini esperite nel 1999, era stato individuato il settore settentrionale dell’area de quo quale centro di contaminazione della falda acquifera; il che era stato riferito alla constatata incapacità del dispositivo di contenimento realizzato nel 1982 a contenere le sostanze inquinanti ivi raccolte, con conseguente necessità e urgenza di predisporre uno sbarramento idraulico sull’intera area, nonché di adottare tutte le possibili misure praticabili per interventi mirati di bonifica. Quanto alle sostanze inquinanti rinvenute, il campionamento ha espressamente riguardato "quei contaminanti che possono rappresentare dei traccianti per le loro caratteristiche chimicofisiche e lo scarso o nullo impiego in settori industriali diversi da quello occupato dalla Chimica Bianchi e dalla Montedison" (pag. 4).

Sulla scorta delle predette allarmanti risultanze, il Comune era stato invitato a "procedere celermente alla formalizzazione dei disposti dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97", evidenziando altresì la necessità di eseguire ulteriori campionature dei pozzi "per confermare l’ipotesi sostenuta nella Relazione secondo cui si tratterebbe di un unico fenomeno di contaminazione", e quindi di "stabilire se sullo stesso territorio siano presenti insediamenti produttivi attuali o pregressi in cui siano state trattate e/o stoccate le medesime sostanze origine della contaminazione in oggetto, al fine di comprendere se tale inquinamento possa avere anche altre sorgenti e contributi locali che si sommano alla contaminazione".

Dagli atti istruttori richiamati, emerge dunque sul piano obiettivo una situazione di inquinamento causata dalle attività poste in essere nell’area dall’attuale ricorrente, pur senza escludersi peraltro l’esistenza di eventuali ed ulteriori focolai di inquinamento, imputabili a terzi.

La responsabilità della ricorrente, ed il nesso causale tra la situazione di inquinamento accertata e le attività poste in essere dalla stessa, sono state in ogni caso sufficientemente provate.

La Corte di Giustizia CE nella ricordata sentenza 9 marzo 2010 ha affermato che "allorché l’autorità competente, nell’esercizio delle sue attribuzioni, è chiamata a compiere valutazioni complesse, il potere discrezionale di cui gode si applica parimenti, in una determinata misura, all’accertamento degli elementi in fatto alla base della sua azione". Per poter presumere l’esistenza del nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo l’autorità competente deve disporre di indizi "quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività".

La prova dell’imputabilità dell’inquinamento può essere data in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c., prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possono trarsi indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (C.S. Sez. V 16.6.2009 n. 3885). Il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la contaminazione riscontrata deve essere accertato applicando la regola probatoria del "più probabile che non": pertanto, il suo positivo riscontro può basarsi anche su elementi indiziari, quali la tipica riconducibilità dell’inquinamento rilevato all’attività industriale condotta sul fondo (T.A.R. Piemonte Sez. I 24.3.2010 n. 1575).

In definitiva dunque le amministrazioni procedenti non sono tenute alla dimostrazione, del "fatto negativo", in quanto non comprovabile, dell’assenza di inquinamenti ricollegabili alla condotta di soggetti diversi; per contro, il soggetto responsabile è sicuramente onerato della specifica individuazione dei terzi (C.S. n. 6055/2008 citata, che peraltro proprio sul punto riforma la sentenza n. 1913 del 19.4.2007 del T.A.R. Lombardia). L’ipotetica esistenza di altri concorrenti fattori causativi dell’inquinamento non esclude pertanto la comprovata responsabilità della ricorrente.

Nel caso di specie l’inquinamento è stato quindi attendibilmente ricondotto alla mancata tenuta della vasca realizzata nel 1982 per contenere le sostanze nocive prodotte negli anni in cui sull’area la ricorrente ha svolto attività industriali nel settore della chimica. Il fatto che l’Amministrazione abbia manifestato l’intenzione di verificare l’esistenza di altre eventuali fonti di inquinamento, onde prevenire ulteriori pericoli per la salute pubblica e per l’ambiente, non elide il predetto nesso causale. Né la ricorrente allega in proposito specifiche deduzioni, limitandosi ad affermare genericamente che altri soggetti hanno svolto sull’area attività produttive, successivamente alla dismissione della propria industria chimica.

Non colgono nel segno neppure le argomentazioni sviluppate dalla ricorrente nella replica finale, volte a desumere il vizio di carenza di istruttoria, sulla base di taluni atti comunali emanati successivamente all’anno 2000.

Il provvedimento impugnato è, infatti, già sufficientemente motivato ed adeguatamente istruito in ordine alla dimostrazione del nesso causale tra situazione di inquinamento e responsabilità della ricorrente, per cui è irrilevante che il Comune non abbia concluso le ulteriori e successive ricerche per definire le responsabilità della ricorrente, onde emettere "nuovi provvedimenti" (v. doc. n. 37).

Parimenti non sono decisivi i rilievi volti ad evidenziare che lo stesso Comune ammetterebbe "l’esistenza in zona di altri fenomeni di inquinamento", e che "non sono ovviamente noti tutti gli episodi che hanno interessato l’evento di contaminazione dal suo insorgere e nel suo sviluppo". (doc. n. 40, pag. n. 21). La ricorrente riconosce infatti che "la tematica afferisce ad un’area sita nel polo produttivo a cavallo dei Comuni di Pero, Rho e Settimo Milanese, per decenni sede di industrie principalmente chimiche". Il Comune ha, tuttavia, dimostrato che i fenomeni di inquinamento presupposti al provvedimento impugnato sono dovuti alle perdite della vasca di contenimento realizzata nel 1982, e riguardano sostanze tipicamente in uso nei processi industriali a suo tempo esercitati dalla ricorrente. La legittimità del provvedimento impugnato non è pertanto incisa dall’impossibilità per il Comune di risalire alla provenienza di altre sostanze inquinanti presenti nell’area, attesa la pluralità di industrie insalubri a suo tempo ivi presenti. La ricorrente non può pretendere, in questa sede, che un’eventuale mancato accertamento di autonome responsabilità di terzi, potenzialmente afferenti al quantum dell’inquinamento riscontrato, elida il nesso causale, dimostrato dal Comune, tra la propria attività industriale e le specifiche sostanze nocive rinvenute nel terreno, attinente invece all’an del provvedimento impugnato.

Nessun rilievo può infine assumere il fatto che mancherebbero riscontri analitici anteriori agli anni ottanta, laddove le produzioni nel sito cessarono negli anni settanta, essendo non superabile il fatto che l’inquinamento accertato è riconducibile alla perdita della vasca interrata realizzata nel 1982.

57) Con il quinto ed il settimo motivo è stata contestata l’assegnazione alla ricorrente di un termine di 30 giorni, che sarebbe palesemente irragionevole, essendo stato tra l’altro contestualmente associato a quello della "messa sicurezza d’emergenza", della "bonifica" e del "ripristino ambientale", che integrano tre distinti interventi (ex artt. 4 e ss. del D.M. n. 471/2009). L’irragionevolezza del provvedimento impugnato sarebbe inoltre dimostrata dal fatto che l’inosservanza dell’ordine di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97 avrebbe pesanti conseguenze ex art. 51 bis della medesima legge, e che successivamente all’ordinanza cautelare di sospensione del T.A.R., l’Amministrazione avrebbe realizzato a distanza di anni ciò che la ricorrente avrebbe dovuto porre in essere in trenta giorni, peraltro coincidenti con il periodo estivo.

I motivi sono egualmente infondati.

Il provvedimento impugnato richiamava espressamente l’art. 17 del D.Lgs. 5.2.1997 n. 22 e l’art. 8 del D.M. n. 471/2009, il quale a sua volta rinvia all’art. 7 del medesimo D.M.

L’art. 17 del D.Lgs. 5.2.1997 n. 22, nella versione allora vigente in materia di "bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati" stabiliva che:

"2. Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determini un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento. A tal fine:

a) deve essere data, entro 48 ore, notifica al Comune, alla Provincia e alla Regione territorialmente competenti, nonché agli organi di controllo sanitario e ambientale, della situazione di inquinamento ovvero del pericolo concreto ed attuale di inquinamento del sito;

b) entro le quarantotto ore successive alla notifica di cui alla lettera a), deve essere data comunicazione al Comune e alla Provincia ed alla Regione territorialmente competenti degli interventi di messa in sicurezza adottati per non aggravare la situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento, contenere gli effetti e ridurre il rischio sanitario ed ambientale;

c) entro trenta giorni dall’evento che ha determinato l’inquinamento ovvero dalla individuazione della situazione di pericolo, deve essere presentato al Comune ed alla Regione il progetto di bonifica delle aree inquinate.

3. I soggetti e gli organi pubblici che nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali individuano siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai limiti previsti, ne danno comunicazione al Comune, che diffida il responsabile dell’inquinamento a provvedere ai sensi del comma 2, nonché alla provincia ed alla Regione.

4. Il Comune approva il progetto ed autorizza la realizzazione degli interventi previsti entro novanta giorni dalla data di presentazione del progetto medesimo e ne dà comunicazione alla Regione. L’autorizzazione indica le eventuali modifiche ed integrazioni del progetto presentato, ne fissa i tempi, anche intermedi, di esecuzione, e stabilisce le garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore della Regione per la realizzazione e l’esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica medesimo. Se l’intervento di bonifica e di messa in sicurezza riguarda un’area compresa nel territorio di più Comuni il progetto e gli interventi sono approvati ed autorizzati dalla Regione.

5. Entro sessanta giorni dalla data di presentazione del progetto di bonifica la Regione può richiedere al Comune che siano apportate modifiche ed integrazioni ovvero stabilite specifiche prescrizioni al progetto di bonifica".

L’art. 8 del D.M. 25/10/1999 n. 471 a sua volta prevedeva che:

"1. Qualora i soggetti e gli organi pubblici accertino nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali una situazione di pericolo di inquinamento o la presenza di siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai valori di concentrazione limite accettabili di cui all’Allegato 1 ne danno comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune.

2. Il Comune, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, con propria ordinanza diffida il responsabile dell’inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale ai sensi del presente regolamento.

3. L’ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 17, commi 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni.

4. Il responsabile dell’inquinamento deve provvedere agli adempimenti di cui all’articolo 7, comma 2, entro le quarantotto ore successive alla notifica dell’ordinanza. Se il responsabile dell’inquinamento non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito inquinato né altro soggetto interessato, i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale o di messa in sicurezza permanente sono adottati dalla Regione o dal Comune ai sensi e per gli effetti dell’articolo 17, commi 9, 10 e 11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22".

L’art. 7 c. 2 e 3 del citato D.M. prevedevano che:

"2. Entro le quarantotto ore successive al termine di cui al comma 1, il responsabile della situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento deve comunicare al Comune, alla Provincia e alla Regione territorialmente competenti gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza adottati e in fase di esecuzione. La comunicazione deve essere accompagnata da idonea documentazione tecnica dalla quale devono risultare le caratteristiche dei suddetti interventi.

3. Entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, il Comune o, se l’inquinamento interessa il territorio di più comuni, la Regione verifica l’efficacia degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza adottati e può fissare prescrizioni ed interventi integrativi, con particolare riferimento alle misure di monitoraggio da attuare per accertare le condizioni di inquinamento ed ai controlli da effettuare per verificare l’efficacia degli interventi attuati a protezione della salute pubblica e dell’ambiente circostante".

Dal combinato disposto delle norme sopra richiamate emerge che lo stesso Legislatore aveva già allora previsto che "gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale" dovevano svolgersi secondo un iter procedimentale articolato in una serie di scadenze e di passaggi, nell’ambito dei quali il termine di trenta giorni, espressamente fissato dal provvedimento impugnato, è previsto per la sola presentazione del progetto di bonifica delle aree inquinate, a sua volta sottoposto ad approvazione ed autorizzazione da parte del Comune, nei successivi novanta giorni.

Alla luce di quanto precede è evidente come il termine di trenta giorni menzionato nel provvedimento impugnato non potesse essere letto quale termine finale per il compimento di tutte le opere di "messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate", ma solo per la presentazione del progetto di bonifica.

Peraltro, nel caso di specie, sussistevano ragioni di urgenza, per evitare il rischio della propagazione della contaminazione (v. su tale aspetto T.A.R. Toscana Sez. II 6.5.2009 n. 762), come illustrata e motivata negli atti richiamati nel provvedimento amministrativo impugnato.

Non merita infine accoglimento l’ulteriore censura prospettata, secondo cui gli atti impugnati sarebbero viziati da incompetenza, trattandosi di inquinamento di portata "sovra comunale".

La ricorrente non ha invero dimostrato che gli interventi da adottare avrebbero dovuto aver luogo anche su un territorio comunale diverso da quello del Comune, da cui l’infondatezza della censura.

8) Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta come l’area de quo, circa dieci anni prima del provvedimento impugnato, era stata oggetto di un piano urbanistico attuativo, che aveva riportato tutte le autorizzazioni richieste dalla vigente disciplina, con ciò dimostrandosi l’insussistenza dei rischi paventati.

Anche questo motivo è palesemente infondato.

La relazione tecnica della Provincia indica come la causa dell’inquinamento sia dovuta alla perdita della vasca di contenimento delle sostanze inquinanti, installata nel 1982 proprio per consentire la bonifica del terreno e il suo utilizzo da parte di terzi, da cui l’irrilevanza ai fini urbanistici dei pericoli di danno ambientale emersi solo nel 1999.

Conclusivamente, il ricorso R.G. n. 3425/2000 va accolto limitatamente al secondo motivo, attinente la mancanza di avviso di avvio del procedimento alla ricorrente, dovendo invece essere respinti tutti i rimanenti motivi.

Il procedimento avviato successivamente alla sospensione in sede cautelare del provvedimento del 11.7.2000 prot. n. 39180, i cui atti sono stati impugnati con motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 3425/2000, e con i ricorsi autonomi R.G. nn. 2854/2002 e 1498/2003, è stato invece preceduto dall’avviso di avvio del procedimento (nota prot. n. 30197del 11.6.2002).

L’accoglimento del secondo motivo di ricorso R.G. n. 3425/2000 non estende dunque automaticamente i propri effetti agli atti emanati successivamente ed impugnati con i motivi aggiunti e con i ricorsi autonomi nn. 2854/2002 e 1498/2003.

La ricorrente, ripropone in detti ricorsi i medesimi vizi già dedotti, che devono essere respinti per le medesime ragioni già esaminate (v. quanto al ricorso R.G. n. 3425/2000 i motivi 9, 10, 25, 26, 27, 29, 30, 31, 32 e 33, il quarto e il quinto motivo aggiunto al medesimo ricorso R.G. n. 3425/2000. I predetti vizi vengono identicamente riproposti nei ricorsi R.G. nn. 2854/2002 e 1498/2003 e nei relativi motivi aggiunti, senza ulteriori profili innovativi).

La ricorrente censura inoltre gli atti emanati successivamente al provvedimento del 11.7.2000 prot. n. 39180 anche per vizi propri, dedotti nei motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 3425/2000 e nei ricorsi R.G. nn. 2854/2002 e 1498/2003.

9) La nota prot. n. 30197 del 11.6.2002 è stata impugnata con i primi motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 3425/2000 e con il ricorso principale R.G. n. 2854/2002, deducendo due distinti profili.

9.1) Violazione degli artt. 17 comma 12 del D.Lgs. n. 22/97 e 17 del D.M. n. 471/99, per non aver menzionato l’anagrafe dei siti da bonificare, né per aver effettuato alcuna comunicazione degli interventi de quo alla Regione, entrambe prescritte dalle predette norme (motivo n. 11 ricorso R.G. n. 3425/2000).

9.2.1) Contraddittorietà con la nota prot. n. 39180 del 11.7.2000, nelle cui premesse era stata individuata una società diversa della ricorrente, onde collaborare per la realizzazione e successiva gestione della barriere idraulica (motivo n. 12 ricorso R.G. n. 3425/2000).

9.2.2) Illegittimità per incompetenza ex art. 17 comma 4 del D.Lgs. n. 22/97; trattandosi di fenomeni di inquinamento incidenti su aree comprese nei territori di più Comuni, il progetto e gli interventi di messa in sicurezza sarebbero dovuti essere approvati ed autorizzati dalla Regione (motivo n. 12 ricorso R.G. n. 3425/2000).

10) La nota del Comune di Rho del 20.2.2003 prot. n. 12567 e gli atti nella stessa richiamati, sono stati impugnati con i secondi motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 3425/2000, con i primi motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 2854/2002 e con il ricorso principale R.G. n. 1498/2003.

10.1) Violazione dell’art. 17 comma 12 del D.Lgs. n. 22/97 e dell’art. 14 del D.M. 471/99, per mancanza dei presupposti richiesti da tali norme onde consentire la realizzazione diretta da parte del Comune delle opere di bonifica (motivi nn. 13, 14 e 15 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

10.2) Incompetenza per violazione dell’art. 10 D.M. n. 471/99. Si ripropongono le medesime argomentazioni sollevate al punto 9.2.2 (motivo n. 16 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

10.3) Il subingresso del Comune nella realizzazione dell’intervento progettato dalla società proprietaria dell’area avrebbe apportato indubbi vantaggi a quest’ultima, ma contrasterebbe con le regole dell’evidenza pubblica (motivo n. 17 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

11) La nota prot. n. 2172 del 17.1.2003, la nota prot. 815 del 9.1.2003 e la deliberazione di Giunta comunale n. 393/2002 sono state impugnate con i terzi motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 3425/2000, con i secondi motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 2854/2002 e con primi motivi aggiunti al ricorso principale R.G. n. 1498/2003.

11.1) Difetto di motivazione poiché dagli atti impugnati non sarebbe dato comprendere perché il progetto definitivo presentato dalla società immobiliare proprietaria dell’area è stato ceduto al Comune di Rho (motivo n. 18 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

11.2) Incompetenza per violazione dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97 e del 10 D.M. n. 471/99. Si ripropongono le medesime argomentazioni sollevate ai punti 9.2.2 e 10.2 (motivo n. 19 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

11.3) Il Comune avrebbe approvato il progetto definitivo fondandosi sui medesimi dati sui quali si fondava il progetto preliminare acquisito dalla società proprietaria dell’area, senza alcuna verifica o aggiornamento (motivo n. 20 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

11.4) Insussistenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 22/97 e dal D.M. n. 471/99 per l’intervento sostitutivo comunale (motivi nn. 21 e 22 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

12) La nota del 21.8.2009 prot. n. 40475, la determinazione dirigenziale 14.7.2009 prot. n. 36070, sono stati impugnati con i quarti motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 3425/2000, con i terzi motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 2854/2002 e con secondi motivi aggiunti al ricorso principale R.G. n. 1498/2003.

12.1) Violazione del "giudicato cautelare", che avrebbe escluso ogni responsabilità della ricorrente nell’inquinamento dell’area, invece presupposto nei provvedimenti impugnati (motivo n. 23 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

12.2) Incompetenza per violazione dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/97 e del 10 D.M. n. 471/99. Si ripropongono le medesime argomentazioni sollevate ai punti 9.2.2, 10.2 e 11.2 (motivo n. 24 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

12.3) Violazione del D.Lgs. n. 152/06, che avrebbe consentito di rimodulare gli obiettivi dei procedimenti di bonifica avviati prima della sua entrata in vigore solo qualora fosse stata presentata idonea dichiarazione in tal senso entro 180 giorni, che nel caso di specie non risulterebbe invece presentata (motivo n. 28 del ricorso R.G. n. 3425/2000).

Osserva il Collegio che "nell’attuale sistema normativo, l’obbligo di bonifica dei siti inquinati grava in primo luogo sull’effettivo responsabile dell’inquinamento stesso, che le competenti Autorità amministrative hanno l’obbligo di individuare e ricercare, mentre la mera qualifica di proprietario o detentore del terreno inquinato non implica di per sé l’obbligo di effettuazione della bonifica, con la conseguenza che questa può essere posta a suo carico solo se responsabile o corresponsabile dell’illecito abbandono" (C.S. Sez. V 16.6.2009 n. 3885).

Da quanto precede consegue la reiezione dei motivi di cui ai precedenti punti 9.2.1, 10.3, e 11.1, che a vario titolo hanno lamentato il mancato coinvolgimento della società proprietaria dell’area de quo nelle operazioni di bonifica.

Rileva ancora il Collegio che, come già esposto nella parte in fatto, tutti gli atti successivi al provvedimento impugnato con il ricorso principale R.G. n. 3425/2000, sono stati emanati per ottemperare all’ordinanza cautelare 2724/2000, la quale aveva imposto al Comune di attivarsi direttamente per dar corso alle opere di bonifica "fermo il recupero dei relativi oneri nei confronti degli eventuali soggetti responsabili".

Non vi è dunque stata violazione della detta pronuncia cautelare da parte del resistente, che ha invece proceduto d’ufficio, in ottemperanza alla stessa, ad avviare il procedimento per la bonifica dell’area, da cui l’infondatezza dei motivi di cui ai punti 10.1, 11.4, 12.1, 12.3.

Risultano invece inammissibili per carenza di interesse i motivi di cui ai precedenti punti 9.1, 9.2.2, 10.2, 11.2, 11.3, 12.2, dovendosi parzialmente accogliere l’eccezione sollevata dalla difesa comunale, essendo rivolti a censurare sotto vari aspetti le modalità dell’esecuzione di ufficio concretamente poste in essere dal Comune.

La ricorrente subisce, infatti, una lesione dagli atti emanati successivamente all’ordine n. 39180 del 11.7.2000, nei limiti in cui è stato disposto "il recupero dei relativi oneri nei confronti degli eventuali soggetti responsabili", non invece a causa dell’asserita violazione di norme procedurali disciplinanti le modalità di esecuzione degli interventi in materia ambientale. L’ interesse sotteso al ricorso giurisdizionale deve essere, infatti, sempre correlato ad un’utilità sostanziale attuale e concreta a tutela della quale agisce chi propone l’azione di annullamento (dal cui accoglimento quell’utilità trae almeno potenziale soddisfazione) e non deve mai tradursi nella mera pretesa al ripristino della legalità violata (T.A.R. Lombardia Milano Sez. II 14 gennaio 2009, n. 75).

Conclusivamente, il ricorso principale R.G. n. 3425/2000 va accolto quanto al secondo motivo e per il resto respinto, i motivi aggiunti vanno in parte respinti ed in parte dichiarati inammissibili, il ricorso R.G. n. 2854/2002 ed i relativi motivi aggiunti vanno in parte respinti ed in parte dichiarati inammissibili, il ricorso R.G. nn. 1498/2003 ed i relativi motivi aggiunti vanno in parte respinti ed in parte dichiarati inammissibili.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in ragione della soccombenza reciproca.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione I

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, riunisce i ricorsi R.G. nn. 1498/2003 e 2854/2002 al ricorso R.G. n. 3425/2000, accoglie il ricorso R.G. n. 3425/2000, nei limiti di cui in motivazione, in parte respinge ed in parte dichiara inammissibili i ricorsi R.G. n. 2584/2002 e R.G. n. 1498/2003.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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