Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-04-2011) 01-07-2011, n. 26015 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza dell’8 febbraio 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze del 25 gennaio 2006 che aveva condannato R.A., quale amministratore di fatto e occulto della D.L. Service s.r.l. dichiarata fallita il (OMISSIS), alla pena di anni quattro di reclusione oltre alle pene accessorie dell’interdizione per dieci anni dai Pubblici Uffici e dell’inabilitazione per pari tempo all’esercizio dell’impresa commerciale per la commissione di plurimi reati di bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta:

a) l’inosservanza delle norme di legge nell’affermazione della qualifica di amministratore di fatto della società decotta;

b) l’erronea interpretazione e applicazione della norma penale, con particolare riferimento all’ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al punto n. 3 dell’imputazione;

c) la violazione di legge per l’utilizzazione da parte del Giudice dell’impugnazione di una motivazione per relationem;

d) la violazione di legge per la mancata concessione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di fattori.

2. In primo luogo perchè i motivi proposti avanti questa Corte ricalcano integralmente quelli proposti avanti la Corte territoriale e dalla stessa disattesi.

3. In secondo luogo con riferimento al primo motivo, perchè non si ravvisa alcuna illogicità manifesta della motivazione nell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato nella sua veste di amministratore di fatto della società dichiarata fallita, sulla base sia di quanto concretamente accertato e motivato sul punto dal Giudice del primo grado sia di quanto ribadito dal Giudice dell’impugnazione in conformità, inoltre, a quanto pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità sul punto.

Sulla base dei principi che regolano la materia non è dubbio che in tema di reati fallimentari, nell’ipotesi di fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione, e con riferimento alla posizione dell’extraneus in reato proprio dell’amministratore di società, debba ritenersi che il soggetto esterno alla struttura sociale possa sicuramente commettere il reato sia direttamente, attraverso la propria attività contraria alla tutela della par condicio creditorum, che, del pari, mediante condotta agevolativa di quella dell’intraneus, nella consapevolezza della funzione di supporto alla distrazione, intesa quest’ultima come sottrazione dal patrimonio sociale e suo depauperamento ai danni della classe creditoria, in caso di fallimento.

Nel caso in cui, a sua volta la distrazione venga realizzata mediante l’azione "combinata" di più soggetti, la consapevolezza del partecipe extraneus deve abbracciare le varie condotte ed i reciproci loro nessi, protesi al raggiungimento dell’evento conclusivo (v. Sez. 5, 15 febbraio 2008 n. 10742 e 2 ottobre 2009 n. 49642).

Nella specie, in punto di fatto, la Corte territoriale ha dato pienamente conto del ruolo svolto dal R. in concomitanza con quello di V.A., amministratrice legale della società decotta.

4. Quanto al secondo motivo di ricorso l’inammissibilità deriva dalla constatazione che esso riguarda la valutazione di fatti, integranti la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al punto n. 3 dell’imputazione, già esaminati dai Giudici del merito con motivazione pienamente logica che non può che sfuggire, di conseguenza, al vaglio di legittimità di questa Corte.

5. La contestazione circa una Indebita motivazione per relationem del Giudice dell’appello, integrante il terzo motivo del ricorso, viene a cozzare, da un lato, con la perfetta sovrapponibilità tra le decisioni dei due gradi del merito e, d’altra parte, non sembra venir meno ai principi di diritto affermati nella materia (v. da ultimo, Cass. Sez. 3, 13 maggio 2010 n. 24252).

La motivazione per relationem è, invero, ammissibile nell’ambito della mera ricostruzione del fatto, per le parti della sentenza non impugnate o in presenza di manifesta infondatezza o non specificità del motivo di appello.

Nella ipotesi (che è quella in esame), in cui l’imputato con precise considerazioni abbia svolto specifiche censure su uno o più punti della prima pronuncia, il Giudice di Appello non si è limitato a richiamarla, ma ha compiutamente risposto alle singole doglianze prospettate, non facendo venir meno la funzione del doppio grado di giurisdizione e quindi, il secondo controllo giurisdizionale.

6. Con riferimento al quarto e ultimo motivo, per affermarsene l’inammissibilità, basta osservare la doviziosa e completa motivazione con la quale la Corte territoriale ha dato conto della mancata concessione delle attenuanti generiche.

A tal proposito la pacifica giurisprudenza di questa Corte insegna che: "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime" (v. da ultimo, Cass. Sez. 2, 18 gennaio 2011 n. 3609).

7. Il ricorso va, in definitiva, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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