Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-03-2011) 01-07-2011, n. 25917 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – V.A. propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Lecce, del 10 febbraio 2010, che ha respinto la domanda, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal 10.7.04 al 14.9.04 (da ultimo in regime di arresti domiciliari), essendo stato raggiunto da provvedimento di custodia cautelare in relazione alla fattispecie delittuosa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; delitto dal quale è stato poi assolto.

La corte d’appello ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che il richiedente, con la sua condotta gravemente colposa, aveva contribuito a dar causa al provvedimento restrittivo.

Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso, con il quale si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 314 c.p.p. e cit. D.P.R., art. 73, e vizio di motivazione del provvedimento impugnato con riguardo alla individuazione, in capo al ricorrente, di comportamenti gravemente colposi, ritenuti ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione.

L’Avvocatura Generale dello Stato, costituitasi in giudizio nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiede dichiararsi inammissibile, ovvero rigettarsi il ricorso.

2 – Il ricorso è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Orbene, nel caso di specie, la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico e nel rispetto della normativa di riferimento, sulla base di quanto desunto dalla lettura della stessa sentenza assolutoria, che la condotta del V. aveva sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pur in presenza di errore dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta.

E’ stato, in particolare, ricordato che il richiedente, notato da personale della polizia di Stato intento a conversare con un noto tossicodipendente e trovato in possesso di due involucri contenenti sostanza stupefacente, oltre che di una somma di denaro, aveva tenuto condotta certamente equivoca, tale da giustificare le accuse formulate a suo carico.

Peraltro, il possesso sulla pubblica via di due dosi di sostanza stupefacente, seppur non rilevante sotto il profilo penale, potendosi ritenere che lo stesso fosse finalizzato al consumo personale, costituisce, in ogni caso, illecito amministrativo. Sotto tale profilo, la condotta del V., proprio perchè contrastante con precise norme di legge, di per sè costituisce grave imprudenza e realizza il concetto di "colpa grave", nei termini indicati dall’art. 314 c.p.p., ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo riparatorio, poichè ha quantomeno contribuito alla formazione di un quadro indiziario significativo che ha determinato l’adozione del provvedimento restrittivo.

Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione, in favore del Ministero resistente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 750,00.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione, in favore del Ministero resistente, delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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