Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-03-2011) 01-07-2011, n. 25912 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione, tramite il difensore, L.G. avverso la sentenza 9 marzo 2010 emessa dalla Corte d’appello di Palermo con la quale, confermando la sentenza resa in data 10 luglio 2008 dal Tribunale di Trapani, era stato condannato, concesse le attenuanti generiche, alla pena di mesi SEI e giorni QUINDICI di reclusione – pena sospesa – oltre al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 5.000 in favore di ciascuna delle parti civili:

B.A., B.P. e B.V. (fratelli della minore) ed in Euro 20.000, in favore di ciascuna delle altre parti civili costituite: Be.Pi. e S.V. (genitori della minore), perchè giudicato responsabile del delitto continuato di cui agli artt. 81 e 99 c.p., art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, per non essersi fermato e per non aver prestato soccorso alla minore B.G., rimasta gravemente ferita in incidente stradale dallo stesso provocato in (OMISSIS) dopo averla investita mentre ne effettuava il sorpasso alla guida di autocarro Fiat 190 tg. (OMISSIS), transitando in una strettoia.

Con il primo motivo, denunzia il ricorrente i vizi di violazione della legge sostanziale e processuale nonchè di carenza ed illogicità della motivazione in punto della dichiarata inammissibilità del motivo d’appello relativo al diniego della citazione in giudizio del responsabile civile con conseguente nullità dell’intero processo. Contrariamente agli assunti della Corte distrettuale, con sentenza n. 112 del 1998, la Corte Costituzionale, ha dichiarato illegittimo l’art. 83 c.p.p. nella parte in cui non prevede la facoltà per l’imputato di citare nel giudizio penale il soggetto con il quale ha concluso contratto di assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale. Nel caso di specie, ricorrendo il presupposto della circolazione intesa come uso del veicolo come strumento di locomozione e non come strumento di offesa, l’imputato aveva richiesto la citazione della propria compagnia di assicurazione in veste di responsabile civile, non solo per mantenersi indenne dalle conseguenze dannose del reato, ma anche per garantire la persona offesa.

Con il secondo motivo, lamenta la difesa la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) c) ed e) in relazione all’art. 63, art. 195, comma 4 e art. 530 cpv..

I Giudici d’appello avrebbero illegittimamente ritenuto di utilizzare, agli effetti della dimostrazione della penale responsabilità dell’imputato, anche dichiarazioni da costui rese spontaneamente nell’immediatezza del fatto, ad Ufficiale di P.G. che stava iniziando ad investigare sull’incidente occorso alla piccola B.G. – in violazione dell’art. 63 c.p.p., comma 2 – pur ricavandosi aliunde elementi di convincimento a sostegno dell’accusa. Nè lo stesso Ufficiale di P.G. avrebbe poi potuto rendere, sul contenuto delle stesse, dichiarazioni testimoniali indirette, in difetto della redazione del relativo verbale. Lamenta altresì il ricorrente che la sussistenza del delitto di omissione di soccorso sia stata ritenuta comprovata dalla Corte d’appello – con specifico riferimento all’elemento psicologico – sulla base di mere deduzioni ed alla stregua di un quadro indiziario non concludente, facendo sostanzialmente discendere la responsabilità dell’imputato, da quella ritenuta quanto al delitto di omicidio colposo in ordine al quale era stato già giudicato in via definitiva, ex art. 444 c.p.p., difettando la prova che il L. si fosse fermato sul luogo del sinistro, dopo essersi reso conto di aver investito la bambina per poi inopinatamente proseguire la marcia.

Con il terzo motivo,, deduce il ricorrente la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 132 e 133 c.p., avendo la Corte d’appello omesso qualsivoglia richiamo ai criteri stabiliti dalla legge in ordine sia alla quantificazione della pena che all’irrogazione della sospensione della patente di guida, stabilita in misura sproporzionata anche perchè già applicata in sede di patteggiamento.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto con il conseguente onere del pagamento delle spese a carico dell’imputato, ex art. 616 c.p.p..

Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.

L’imputato, con l’atto d’appello, ha censurato l’ordinanza con la quale il Primo Giudice, aveva respinto l’istanza di ammissione della citazione in giudizio, in veste di responsabile civile, della compagnia presso la quale il L. era assicurato per i danni da responsabilità civile derivanti dalla circolazione stradale dell’autocarro. Il Tribunale aveva motivato il diniego sottolineando che il contratto di assicurazione non prevedeva la copertura dei danni, derivanti da fatto doloso ovverosia dal reato previsto dall’art. 189 C.d.S., commesso dall’imputato mediante la circolazione del veicolo assicurato. La Corte d’appello di Palermo aveva confermato la pronunzia reiettiva, confutando tuttavia il motivo di gravame proposto sotto il profilo del difetto di legittimazione dell’imputato a richiedere la citazione del responsabile civile – ritenendo a tanto unicamente legittimata la sola parte civile – chiaramente obliterando il dictum della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 112 del 1998, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 c.p.p. nella parte in cui non prevede che "nel caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista dalla L. n. 990 del 1969, l’assicuratore possa esser chiamato nel processo penale, a richiesta dell’imputato" semprechè risulti preventivamente costituita, nel processo penale – e vi permanga – la costituzione della parte civile (cfr. in particolare l’art. 83 c.p.p., comma 6).

Appare invero corretta e condivisibile la statuizione conclusiva di reiezione dell’istanza, cui hanno fatto luogo i Giudici di merito, anche se per ragioni diverse da quelle richiamate dalla Corte distrettuale.

Osserva il Collegio che,muovendo dal dictum della Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 112 del 1998), deve ritenersi l’assoluta identità tra la posizione del convenuto, chiamato a rispondere del proprio fatto illecito in autonomo giudizio civile per il risarcimento dei danni provocati dalla circolazione di autoveicoli sottoposti alle norme della legge per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile e quella dell’imputato nei cui confronti, in relazione allo stesso tipo di illecito, vi sia stata costituzione di parte civile del danneggiato nel processo penale.

E’ peraltro fuori discussione la facoltà di chiamare in garanzia l’assicuratore da parte dell’assicurato convenuto in un giudizio civile per il risarcimento del danno; donde la violazione del principio costituzionale di eguaglianza che si verrebbe a determinare ove analogo potere non fosse attribuito all’imputato nel processo penale nel quale l’assicuratore, quando sia responsabile civile à sensi di legge, in base al testo dell’art. 83 c.p.p., in vigore anteriormente allo scrutinio del Giudice delle leggi, sarebbe potuto "entrare" solo in forza di citazione della parte civile o del pubblico ministero nel caso previsto dall’art. 77, n. 4) o in forza del proprio intervento volontario. In tal caso la richiesta dell’imputato (una volta riconosciutagli la legittimazione a proporre istanza di citazione del responsabile civile nei confronti dell’assicuratore per la responsabilità civile da circolazione del veicoli) trova titolo, in via generale, nel contratto di assicurazione stipulato à sensi della L. n. 990 del 1969 ed in particolare (secondo quanto in appresso si rileverà in relazione al caso di specie) nello specifico rapporto tra assicurato ed assicuratore. Come sostenuto dalla maggior parte della dottrina e dalla giurisprudenza (cfr. Cass. civ. Sez. 3 n. 4798 del 1999) deve tuttavia sottolinearsi che a seguito all’emanazione della L. n. 990 del 1969 (in vigore all’epoca dei fatto ed applicabile nel caso di specie) si è venuta ad operare una netta separazione tra il rapporto tra assicuratore ed assicurato (ancora soggetto, sia pure con qualche riserva, alla disciplina privatistica del contratto) ed il rapporto tra assicuratore e danneggiato, che ha invece connotazioni pubblicistiche in relazione alla finalità sociale perseguita dal legislatore di garantire a quest’ultimo il risarcimento anche quando il rischio non sia stato assunto nel contratto assicurativo. Nè è possibile sostenere che la responsabilità civile dell’assicuratore, in linea di principio, resti esclusa per i danni derivanti da fatti dolosi poichè il richiamo ai danni conseguenti alla responsabilità civile verso terzi prevista dall’art. 2054 c.c., operato dalla L. n. 990 del 1969, art. 1, concerne il tipo di responsabilità (ovverosia quella derivante dalla circolazione di veicoli: cfr. Cass. civ. Sez. 3, n. 11471 del 2004) disciplinata dal detto articolo che altro non è che la "species" del più ampio "genus" della responsabilità da fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. residuando invece, a quanto ritenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria, l’unico vero e serio ostacolo ad un siffatto assunto, nel disposto dell’art. 1917 c.c. il quale stabilisce che nell’assicurazione della responsabilità civile "Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi". Si dovrebbe quindi giungere ad escludere che l’assicuratore possa rispondere di danni derivanti da fatti dolosi dell’assicurato.

Ed anzi, in tale ipotesi, dovrebbe ritenersi la nullità del contratto ex art. 1895 c.c. in quanto privo dell’elemento del rischio, restando l’avveramento del rischio nelle "determinazioni" dell’assicurato e restando demandato al suo arbitrio il verificarsi del fatto che genera l’obbligazione dell’assicuratore. In verità, con riferimento ai rapporti tra assicuratore ed assicurato, si deve ritenere che il legislatore, nel dettare la particolare disciplina dell’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore di cui alla L. n. 990 del 1969, non abbia affatto inteso derogare al principio secondo il quale non è consentito ad alcuno assicurarsi per le conseguenze di un proprio fatto intenzionale, doloso. di guisa che non può che considerarsi nulla, anche nel campo dell’assicurazione obbligatoria (sempre limitatamente ai predetti rapporti) l’eventuale clausola che garantisca la copertura assicurativa anche per fatti dolosi dell’assicurato. In nome dell’esigenza, universalmente avvertita e divenuta vieppiù pressante, di apprestare adeguata tutela ai danneggiati dagli incidenti dovuti alla circolazione stradale di veicoli e natanti a motore, la specifica disciplina di natura pubblicistica che si distacca in larga misura dalla regolamentazione privatistica, introdotta dal legislatore riguarda invece solo l’ambito dei rapporti tra assicuratore e danneggiato allo scopo precipuo di garantire a quest’ultimo un risarcimento sempre e comunque (in linea generale), persino nell’ipotesi che un contratto assicurativo non sia mai stato stipulato (art. 19, lett. b) ovvero che il veicolo investitore sia rimasto sconosciuto (art. 19 lett. a).

Ciò posto, attesa siffatta rado della normativa e la posizione significativamente "privilegiata" del danneggiato sarebbe certamente incongruo ritenere che il legislatore abbia inteso escludere detta tutela nel caso di atti dolosi, come peraltro sostenuto nella già citata sentenza n. 11417 del 2004, emessa dalla stessa Sezione 3 in sede di giudizio civile di risarcimento del danno promosso dal terzo danneggiato nei confronti dell’assicuratore e del proprietario – assicurato del veicolo utilizzato da ignoti ladri come "ariete" per commettere un furto ai danni di una gioielleria, "restando salva la questione relativa ai rapporti tra assicuratore ed assicurato".

Differente deve invece ritenersi l’ambito dei rapporti tra assicurato ed assicuratore rispetto a quello tra danneggiato ed assicuratore (sostanzialmente "creato" dalla legislazione speciale, surrichiamata).

"Nel primo ambito l’assicurato non può mai incidere sul verificarsi o meno del rischio assicurato in quanto un suo eventuale atto doloso tendente a far verificare un incidente porrebbe automaticamente il danno cagionato al di fuori della previsione contrattuale; infatti nei rapporti tra assicurato ed assicuratore, il rischio in concreto assicurato (le Compagnie di Assicurazione sono abitualmente ben attente a precisarlo in contratto) e comunque l’unico assicurabile (ex art. 1917 c.c.) è solo quello derivante da atto colposo con esclusione assoluta dei danni derivanti da atto doloso dell’assicurato (che pertanto non entrano affatto a far parte del rischio oggetto del contratto). Nel secondo ambito di rapporti invece è improprio parlare di rischio assicurato dato che si è al di fuori della disciplina assicurativa privatistica propriamente detta.

Infatti l’obbligo dell’assicuratore di risarcire il danneggiato nel caso di cui al cit. art. 18 deriva (solo) da una specifica normativa dettata dal legislatore per esigenze che trascendono i contraenti, in quanto riguardano il danneggiato; normativa che pertanto (come si è visto) prescinde dalla disciplina del codice civile in tema di assicurazioni (e quindi anche in tema di rischio assicurato), prescinde inoltre dalla disciplina pattizia che si sono dati i contraenti e nel caso di cui all’art. 19 e segg. può (come si è già esposto) prescindere addirittura dall’esistenza di un contratto" – (Cass. Civ. Sez. 3 n.4798 del 1999).

Nei confronti del danneggiato devono pertanto ritenersi (in linea generale) irrilevanti i rapporti assicurato – assicuratore nell’ambito dei quali invece la permanenza del rischio assicurato è essenziale, risultandone la relativa disciplina saldamente ancorata ai principi di carattere civilistico. Ora, nel caso di specie, attesochè l’imputato aveva legittimamente azionato il rapporto assicurato – assicuratore mediante la richiesta di citazione di quest’ultimo in veste di responsabile civile, del tutto correttamente venivano giudicate inaccoglibili le censure sollevate dal ricorrente al disposto diniego, non avendo egli titolo alla garanzia assicurativa per i danni derivanti da fatti dolosi commessi per effetto della circolazione dell’autocarro tantopiù che in atto d’appello lo stesso difensore dell’imputato aveva ammesso che il contratto di assicurazione non copriva i danni dolosamente cagionati dalla circolazione dell’autocarro.

Neppure il secondo motivo di ricorso può dirsi fondato.

La Corte distrettuale, con esaustive e condivisibili argomentazioni (fgl. 8 e segg.), ha fatto proprio,in primo luogo, il principio, ribadito da consolidata giurisprudenza anche delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui l’inutilizzabilità, ex art. 63 c.p.p., delle dichiarazioni rese da chi avrebbe dovuto esser sentito dalla polizia giudiziaria "in qualità di persona sottoposta alle indagini" è necessariamente subordinata alla sussistenza di precisi ed inequivoci indizi di reità,anche se non gravi, ben noti all’autorità di polizia giudiziaria. Ma inoltre sottolineato, in punto di fatto, con considerazioni egualmente condivisibili, che pur non avendo rivestito le dichiarazioni spontanee rese dal L., nel complesso del materiale probatorio già acquisito dall’istruttoria, un ruolo imprescindibile ai fini della dimostrazione della penale responsabilità dello stesso in ordine al delitto ascrittogli di cui all’art. 189 C.d.S., avrebbero potuto ritenersi tuttavia sussistenti indizi di reità nei confronti del medesimo, in ordine esclusivamente al delitto di omicidio colposo, avendo la bambina riferito, subito dopo l’incidente, di esser stata investita da un "camion bianco". Sicchè l’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee avrebbe dovuto semmai circoscriversi a quanto riguardava il suddetto reato, oggetto delle indagini già avviate e non a ciò che si riferiva al diverso reato previsto dall’art. 189 C.d.S..

Ne discende l’esclusione dell’asserita violazione del disposto dell’art. 195, comma 4, in riferimento all’art. 357 c.p.p., comma 2, lett. b) essendo risultate trasfuse le dichiarazioni spontanee del L., nella relazione di servizio redatta dall’Ufficiale di P.G., poi acquisita con il pieno consenso della difesa e ribadita dal predetto in sede di esame dibattimentale (cfr.sentenza impugnata fgl.

8).

Quanto all’altra doglianza concernente l’elemento psicologico, osserva il Collegio che sia la violazione all’obbligo di fermarsi in presenza di un incidente sia l’omessa prestazione di soccorso a soggetti coinvolti nell’incidente cagionato dallo stesso utente della strada integrano comportamenti che possono esser sorretti anche dal dolo eventuale che può configurarsi, non solo quanto alla componente volitiva, ma anche in relazione all’elemento intellettivo/conoscitivo del dolo, "quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza" (cfr.

Sez. 4, n. 34134 del 2007; Sez. 4, n. 8103 del 2003). Il dolo deve investire, secondo le fattispecie incriminatrici contestate ex art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, non solo l’incidente (evento) ma anche il danno alle persone e, quindi, la necessità di prestare soccorso, che non funge da condizione obiettiva di punibilità (come ritenuto dalla citata pronunzia di questa Corte).

La Corte distrettuale, richiamando per relationem l’esaustiva motivazione della sentenza di primo grado, ha evidenziato che la consapevolezza del L. di aver cagionato l’investimento della minore era inequivocamente desumibile dalla stessa ricostruzione dell’incidente sul cui presupposto era stato riconosciuto l’imputato responsabile del delitto di omicidio colposo dal Tribunale di Trapani, sulla scorta, in particolare, di accertamenti tecnici peritali. Il L., percorrendo alla guida del proprio autocarro la strada comunale (OMISSIS), nell’abitato di (OMISSIS), aveva investito – letteralmente " arrotandola" – con la ruota motrice posteriore destra dell’autocarro di cui era alla guida, la minore B.G., che procedeva, nel suo stesso senso di marcia in sella alla bicicletta. L’imputato aveva effettuato il sorpasso della bicicletta benchè la sede viabile della strada fosse ristretta dalla contemporanea presenza di un motocarro "Ape Piaggio", in sosta sul lato opposto. Era quindi risultato pacificamente provato che l’imputato aveva avuto ampia visuale del teatro del sinistro, prima di affrontare la strettoia e l’imprudente sorpasso della bicicletta della vittima, essendo quindi in condizione di valutare le condizioni del pericoloso "passaggio" e che, grazie agli specchi retrovisori esterni, nell’allontanarsi dal punto dell’impatto reso inequivoco dall’avvenuto schiacciamento di qualche cosa (visto che la bambina aveva con sè anche uno zaino contenente un asciugamano da mare) era stato in condizione di "verificare" perfettamente la posizione della bicicletta e della bambina, rimasta esanime sull’asfalto dopo il passaggio del pesante veicolo. Ad un ulteriore riprova della incontestabile consapevolezza dell’incidente cagionato, ha altresì messo in luce la Corte d’appello di Palermo che, sulla base della riscontrata presenza, in prossimità della macchia ematica, di due piccoli cumuli di sabbia bianca a forma conica, doveva ritenersi che l’autocarro condotto dall’imputato avesse arrestato la marcia, potendo essersi "formati" detti accumuli costituiti dalla precipitazione sul piano viabile di residui della sabbia trasportata dall’autocarro, una volta arrestatosi. Mentre invece, se il mezzo avesse disperso parte del carico, sia pure in piccole quantità, durante la marcia e senza fermarsi, si sarebbe formata una traccia, una scia di sabbia sull’asfalto, ma non i piccoli cumuli poi riscontrati dalla P.G. in presenza del punto d’impatto. Ne discende quindi, come correttamente e logicamente argomentato dalla Corte distrettuale a confutazione delle infondate tesi difensive, che il L., ben cosciente di aver cagionato l’investimento della bambina per effetto dell’imprudente sorpasso, tantochè aveva arrestato l’autocarro, aveva poi deliberatamente omesso di fermarsi e di prestare soccorso. Per sottrarsi ad una possibile identificazione, il L., come dimostrato dalle rilevazioni del disco cronotachigrafo successive all’ora dell’incidente, si era poi diretto, a gran velocità, verso il porto di (OMISSIS), per imbarcarsi con il primo traghetto in partenza per (OMISSIS).

Infondata risulta altresì l’ultima doglianza proposta attinente al trattamento sanzionatorio.

La Corte distrettuale, facendo corretta e condivisibile applicazione dei criteri fissati dall’art. 133 c.p. ai fini dell’esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena irroganda in concreto, entro il minimo ed il massimo edittale, ha motivato in termini congrui che non vi erano i presupposti, attesa la gravità del fattocommesso dall’imputato e la notevole capacità a delinquere desumibile dai precedenti (donde la contestata recidiva ex art. 99 c.p., comma 4), per far luogo ad una ulteriore diminuzione della pena inflitta dal Tribunale, già sensibilmente mitigata per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche; pena fissata in concreto in mesi sei e giorni quindici di reclusione, applicato l’aumento per la continuazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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