T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 06-07-2011, n. 1162 Regolamenti comunali e provinciali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I ricorrenti espongono di essere, l’U.P.P.I. (Unione Piccoli Proprietari Immobiliari), con sede in Prato, un’associazione senza fini di lucro avente lo scopo di tutelare e rappresentare in ogni sede ed a qualsiasi livello gli interessi economici e morali della proprietà edilizia e di assistere i proprietari in questioni di carattere giuridico, amministrativo, ecc., presso enti pubblici o privati, qualora siano comunque coinvolti gli interessi della categoria, ovvero interessi di singoli proprietari, o di gruppi di essi. La sig.ra M.G.D.F., iscritta all’associazione, è proprietaria, in Prato, di un immobile condotto da altri in locazione, giusta contratto stipulato il 15 dicembre 2009 e registrato il 5 gennaio 2010, e di un altro immobile concesso in comodato. Ha, inoltre, la nuda proprietà di un ulteriore immobile ubicato in Prato.

1.1. Con il ricorso indicato in epigrafe gli esponenti impugnano il regolamento del Comune di Prato – approvato con la deliberazione del Consiglio Comunale 30 marzo 2010, n. 22 – per l’applicazione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani – usualmente denominata Tariffa di Igiene Ambientale (T.I.A.) – disciplinata dall’art. 49, comma 2, del d.lgs. n. 22/1997 (ed ora dall’art. 238 del d.lgs. n. 152/2006) nelle parti in cui (art. 4, commi 6, 7 ed 8) ha addossato ai proprietari l’obbligo di pagare la tariffa stessa nelle seguenti ipotesi:

a) affitto (rectius, locazione) di abitazione per breve periodo, che si esaurisca prima del termine di ventiquattro mesi;

b) affitto (rectius, locazione) per utenze non domestiche di durata inferiore a ventiquattro mesi;

c) conduzione di immobile a titolo diverso, come ad es. (con elencazione che il regolamento stesso definisce solo esemplificativa) il comodato, la concessione d’uso, l’usufrutto.

1.2. Il regolamento comunale de quo viene impugnato, altresì, nella parte in cui (art. 27) stabilisce la propria entrata in vigore a far data dal 1° gennaio 2010.

1.3. Gli esponenti hanno impugnato, altresì, i pareri espressi dalle Commissioni consiliari nn. 1 e 2, nonché quelli di regolarità tecnica e contabile, la deliberazione della Giunta Comunale di Prato 29 aprile 2010, n. 181, recante approvazione delle aliquote della T.I.A. per il 2010, e la deliberazione del Consiglio Comunale (n. 36/2010) di approvazione del piano finanziario presentato dall’A.S.M. S.p.A. (concessionaria del servizio di gestione dei rifiuti nel Comune di Prato): piano che – secondo quanto recita la deliberazione stessa – si pone come elemento propedeutico alla successiva adozione della tariffa.

1.4. A supporto del gravame, con cui si domanda l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, degli atti impugnati, vengono dedotte le seguenti censure:

– violazione degli artt. 23, 42, 117 e 119, secondo comma, Cost., dell’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997 e dell’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 446/1997, eccesso di potere per carenza o per erronea valutazione dei presupposti, poiché l’indicazione, quali soggetti obbligati al pagamento del tributo, dei proprietari, ancorché non utilizzatori, né detentori degli immobili, modificherebbe sia i soggetti passivi che i presupposti del tributo stabiliti dall’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997, ponendosi in tal modo in contrasto con tale norma, nonché con la riserva di legge ex art. 23 Cost.;

– violazione del principio "chi inquina, paga", nonché dei principi di proporzionalità, adeguatezza, non discriminazione e parità di trattamento, violazione degli artt. 42 e 53 Cost., dell’art. 174 del Trattato UE, degli artt. 1, n. 1, lett. c), e 15, lett. a), della direttiva n. 2006/12/CE, dell’art. 49 del d.lgs. n. 22/1997, ed eccesso di potere per difetto od erronea valutazione dei presupposti, in quanto il Comune farebbe ricadere gli oneri finanziari derivanti dalla produzione dei rifiuti solidi urbani sui proprietari che non utilizzano, né occupano l’immobile, né comunque ne godono, e cioè su soggetti diversi dagli effettivi produttori dei rifiuti;

– violazione dell’art. 42 Cost., dell’art. 3 della l. n. 241/1990, dell’art. 7 della l. n. 212/2000, dell’art. 49 del d.lgs. n. 22/1997, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza di istruttoria, contraddittorietà, illogicità manifesta ed errore di fatto, giacché la scelta del Comune sarebbe priva di motivazione e comunque affetta da carenza di istruttoria per non essere stata preceduta da alcuna concertazione con le categorie interessate e le relative associazioni, compresa la ricorrente;

– violazione degli artt. 2 e 3 della l. n. 212/2000, dell’art. 52, comma 2, del d.lgs. n. 446/1997, degli artt. 1322 e 1339 c.c. e dell’art. 11 delle preleggi, eccesso di potere per difetto di motivazione e per carenza di istruttoria, perché la nuova disciplina sarebbe retroattiva, dal momento che, pur essendo stata approvata con deliberazione del Consiglio Comunale del 30 marzo 2010, sarebbe efficace dal 1° gennaio 2010 ed inciderebbe retroattivamente (anche) sui contratti stipulati dai proprietari degli immobili con i conduttori e/o occupanti degli stessi;

– violazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 2 della l. n. 212/2000, dell’art. 49 del d.lgs. n. 22/1997, degli artt. 1 e ss. della l. n. 392/1978 e degli artt. 1 e ss. della l. n. 431/1998, nonché eccesso di potere per indeterminatezza e perplessità, in quanto le previsioni gravate non consentirebbero di comprendere a quali situazioni si riferiscano, tenuto conto che la durata del contratto di locazione è stabilita dalla legge e solo il conduttore (non anche il proprietario) può recedere in ogni momento dal contratto, il che farebbe sì che sia rimesso al solo detentore dell’immobile determinare (o no) l’insorgenza della fattispecie impositiva;

– violazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000, dell’art. 49 del d.lgs. n. 22/1997, eccesso di potere per carenza od erronea valutazione dei presupposti, incompetenza, illegittimità derivata, in quanto la deliberazione della Giunta Comunale di approvazione della T.I.A. per il 2010 sarebbe affetta da incompetenza, giacché l’atto avrebbe dovuto essere adottato dal Consiglio Comunale, trattandosi di una rimodulazione della tariffa, equivalente al costo sostenuto per l’I.V.A. fatturata dal gestore del servizio di smaltimento e non più imputabile in bolletta;

– violazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000, dell’art. 49 del d.lgs. n. 22/1997, dell’art. 1, comma 7, del d.l. n. 93/2008, conv. con l. n. 126/2008, e dell’art. 77bis, comma 30, del d.l. n. 112/2008, conv. con l. n. 133/2008, eccesso di potere per carenza od erronea valutazione dei presupposti, in quanto la rimodulazione della T.I.A., risolvendosi in un sostanziale aumento del tributo, violerebbe l’art. 1, comma 7, del d.l. n. 93/2008, che ha sospeso il potere degli Enti locali di aumentare i tributi (fatta eccezione, in base all’art. 77bis, comma 30, del d.l. n. 112/2008, per la T.A.R.S.U. e pertanto non per la T.I.A.).

2. Si è costituito in giudizio il Comune di Prato, depositando una memoria con cui ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ad agire dell’U.P.P.I. e di interesse a ricorrere della sig.ra G.D.F.. Ha, poi, eccepito la carenza del fumus boni juris e del periculum in mora, concludendo per la reiezione dell’istanza cautelare.

2.1. Si è costituita in giudizio, altresì, la concessionaria del servizio di gestione dei rifiuti A.S.M. (A.M.S.) S.p.A., depositando una memoria con cui ha, a propria volta, eccepito in via preliminare il difetto di legittimazione ad agire dell’U.P.P.I. e di interesse a ricorrere della sig.ra G.D.F.. Nel merito, ha poi eccepito l’infondatezza del gravame, concludendo per la sua reiezione, previo rigetto dell’istanza cautelare.

2.2. Dopo il differimento della trattazione dell’istanza cautelare, le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle conclusioni già rassegnate. In particolare, i ricorrenti hanno replicato alle eccezioni di inammissibilità, mentre il Comune di Prato ha condotto una disamina più approfondita del merito del ricorso, chiedendo che fosse respinto, previa reiezione dell’istanza di sospensione.

2.3. Nella Camera di consiglio del 22 giugno 2010 il Collegio, considerata la carenza del periculum in mora, per essere il danno lamentato di natura meramente economica, con ordinanza n. 525/2010 ha respinto la domanda di sospensione degli atti impugnati.

2.4. In vista dell’udienza pubblica i ricorrenti e l’A.S.M. S.p.A. hanno depositato memorie finali. I ricorrenti hanno depositato, altresì, memoria di replica ex art. 73 del d.lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo).

2.5. All’udienza pubblica del 31 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

3. Il Collegio deve prioritariamente scrutinare le eccezioni formulate in via preliminare dal Comune resistente e dalla controinteressata, attesa l’idoneità delle stesse, se accolte, a precludere l’esame del merito.

3.1. Viene, in primo luogo, eccepito il difetto di legittimazione ad agire della ricorrente U.P.P.I., in quanto l’azione intrapresa contrasterebbe con gli interessi di alcuni soci della predetta associazione (rappresentativa dei proprietari dei fabbricati). Infatti, il regolamento comunale impugnato accolla gli oneri della T.I.A. ad una specifica categoria di proprietari (ossia a coloro che hanno concesso gli immobili a terzi da individuare statisticamente come morosi rispetto al pagamento della tariffa), al fine di ridurre la percentuale di evasione del tributo, con l’effetto di evitare che i costi della gestione conseguenti al permanere dell’insolvenza diffusa vadano a gravare anche sugli altri proprietari. Al contrario, poiché il concessionario è tenuto a garantire l’equilibrio del bilancio, ove il ricorso fosse accolto si verificherebbero consistenti aumenti della tariffa, che andrebbero a gravare sui proprietari in discorso: donde la carenza di legittimazione dell’U.P.P.I., atteso che, per costante giurisprudenza, le associazione rappresentative degli interessi di categoria non sono legittimate ad agire in favore di alcuni degli associati e contro l’interesse di altri, non potendo occuparsi di questioni tali da dividere la categoria in posizioni disomogenee. In realtà, le predette associazioni possono agire per la tutela di interessi riferibili alla categoria unitariamente considerata, mentre nella vicenda de qua l’U.P.P.I. pretenderebbe di agire a tutela di una (ristretta) parte della categoria, cioè dei proprietari che hanno concesso i loro immobili per brevi periodi. Né sussisterebbero gli estremi dell’altra ipotesi in cui le associazioni di categoria hanno la legittimazione ad agire, ossia quando difendono interessi propri, non essendo l’U.P.P.I. individuabile quale soggetto tenuto a corrispondere la tariffa e non potendo, perciò, derivare ad essa alcun danno dall’applicazione del regolamento impugnato.

3.2. Sempre in via preliminare, viene poi eccepito il difetto di interesse dell’altra ricorrente, la sig.ra M.G.D.F., che nessun beneficio potrebbe ottenere dall'(eventuale) accoglimento del ricorso. Infatti, la stessa è proprietaria di tre immobili, dati in comodato o locati, ai quali, tuttavia, la nuova disciplina non sarebbe applicabile, in quanto:

a) relativamente al primo immobile, dato in comodato a terzi con contratto stipulato il 22 settembre 2009, si tratterebbe di contratto anteriore all’entrata in vigore del nuovo regolamento (che, dunque, concernerebbe solo i contratti successivi alla sua entrata in vigore);

b) relativamente al secondo immobile, locato ad uso abitativo per tre anni con contratto stipulato il 15 dicembre 2009, si tratterebbe, ugualmente, di contratto anteriore all’entrata in vigore del nuovo regolamento ed, inoltre, con durata superiore ai ventiquattro mesi (periodo considerato dalle norme regolamentari impugnate);

c) relativamente al terzo immobile, locato ad uso commerciale per sei anni, si tratterebbe anche qui di contratto che prevede una durata ben superiore ai ventiquattro mesi considerati dalle disposizioni gravate.

3.3. Ambedue le suesposte eccezioni devono essere respinte.

3.4. Per quanto riguarda la posizione dell’U.P.P.I., il Collegio non può esimersi dall’osservare che il ragionamento difensivo del Comune e della controinteressata risulta del tutto arbitrario ed illogico. Invero, il problema di base è rappresentato dall’ingente importo dell’evasione ed elusione rispetto al pagamento della T.I.A. nel Comune di Prato, quantificabile, secondo quanto si legge in atti, in circa Euro 34.000.000: è la stessa difesa comunale a precisare, infatti, che le norme regolamentari contestate rispondono all’esigenza della P.A. di individuare meccanismi efficaci di repressione dell’evasione, che, per ciò che concerne la T.I.A., è stato accertato riguardare prevalentemente quanti occupano o detengono locali per periodi limitati di tempo, di solito coincidenti con i ventiquattro mesi necessari per la notificazione delle cartelle di pagamento. Quindi l’addebito della T.I.A. ai proprietari che non occupano, né altrimenti utilizzano l’immobile, servirebbe a coprire la succitata quota di morosità. E tuttavia il ragionamento non convince, in quanto, a ben guardare, nessun nesso di consequenzialità è ipotizzabile tra l’accoglimento del ricorso ed un aggravio generalizzato dell’aliquota della tariffa. Infatti, anche a voler ammettere che, per effetto dell’accoglimento del gravame, si aprisse una falla nell’equilibrio finanziario della gestione del servizio rifiuti (ascrivibile alle morosità nel pagamento della relativa tariffa, non più "coperte" dalla quota che, in virtù delle previsioni impugnate, ricadeva sui proprietari non occupanti degli immobili), il primo compito della P.A. sarebbe di intensificare le misure di lotta alle suindicate morosità, non certo di sopperire all’inefficienza nei controlli mediante l’inasprimento indiscriminato della tariffa. In altre parole, non è per niente affatto vero che, a causa del buco finanziario conseguente all’accoglimento del ricorso, il Comune di Prato sarebbe costretto ad un generalizzato aumento della T.I.A., potendo ed anzi dovendo (in ossequio ai canoni di buona amministrazione) seguire vie diverse, in primo luogo quella del miglioramento dei controlli e della lotta all’evasione ed elusione nel pagamento della tariffa. Donde la conclusione per cui l’U.P.P.I. è legittimata ad agire, conseguendo alla sua iniziativa giudiziale, ove accolta, un esito favorevole per l’interesse della categoria, mentre l’eventuale inasprimento generalizzato dell’aliquota della T.I.A. sarebbe solo il frutto di una scelta politica del Comune, ma in nessun caso, direttamente, il prodotto dell’accoglimento del gravame.

3.5. In altri termini, è arbitrario il ragionamento per cui, poiché la P.A. incontra gravi difficoltà nel combattere i fenomeni di morosità nel pagamento della T.I.A., qualora la soluzione escogitata dal Comune di Prato (accollo ai proprietari non occupanti) si rivelasse illegittima, il superamento delle difficoltà stesse potrebbe avvenire solo tramite l’aumento indiscriminato della tariffa. È questa una soluzione del tutto illogica, atteso che la tariffa deve servire a garantire l’equilibrio finanziario (in linea di principio) del servizio di gestione dei rifiuti, ma non può certamente essere uno strumento (surrettizio) di lotta all’evasione ed all’elusione, altri essendo gli strumenti a ciò deputati in base al vigente ordinamento. Ed invero, sia i Comuni che i concessionari del servizio hanno, ciascuno per i profili di propria competenza, diversi strumenti (intensificazione dei relativi controlli, snellimento delle pratiche, ecc.) per combattere i ricordati fenomeni di morosità: laddove, poi, fosse dimostrata l’insufficienza di essi, gli Enti locali dispongono di meccanismi associativi ed istituzionali (Unione dei Comuni, Conferenza Unificata, ecc.) per far udire la propria voce, in modo da ottenere ulteriori strumenti sul piano normativo, organizzativo, finanziario, ecc. tali da migliorare la lotta all’evasione ed elusione.

3.6. Certo, tra gli strumenti per ripristinare l’equilibrio finanziario della gestione del servizio rifiuti vi sarebbe anche un generale innalzamento della tariffa: ma il ricorrervi, si è visto, sarebbe il frutto esclusivo di una scelta politica del Comune, che se ne dovrebbe assumere le relative responsabilità, come già detto, sul piano politico. Giammai una tale scelta potrebbe, invece, esser configurata quale conseguenza diretta dell’iniziativa giudiziale assunta dalle ricorrenti, cosicché, per questo aspetto, il ricorso si manifesta ammissibile, considerata la sussistenza della legittimazione ad agire in capo alla ricorrente U.P.P.I.: a ben guardare, questa agisce a tutela di un interesse dell’intera categoria, poiché è interesse di tutta la categoria dei proprietari il non vedersi obbligati al pagamento della T.I.A. ove procedano alla locazione per brevi periodi dell’immobile di proprietà, ovvero lo diano in comodato o in usufrutto. La lesione arrecata a tale interesse dal regolamento gravato ha, peraltro, i requisiti di immediatezza, attualità e concretezza, cui la giurisprudenza (cfr. C.d.S., Sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1540) subordina anche la tutela giurisdizionale esperibile dai soggetti collettivi: è, invero, evidente il riflesso sul mercato immobiliare, in tutti i suoi segmenti, delle previsioni regolamentari in esame, per il fatto stesso della loro introduzione. Donde l’ammissibilità anche per questo verso (interesse a ricorrere) della domanda dell’U.P.P.I..

3.7. Ad identica conclusione – sussistenza dell’interesse a ricorrere ed infondatezza dell’eccezione preliminare in proposito formulata dal Comune e dalla concessionaria – si deve pervenire anche per quanto riguarda la posizione della ricorrente sig.ra G.D.F.. Ed invero, si può prescindere dalla questione della decorrenza, anche a fini fiscali, dei contratti di locazione e comodato conclusi dalla stessa, se dalla data della stipulazione o, invece, da quella della registrazione (come sostiene la ricorrente, per desumerne l’applicabilità della nuova disciplina comunale sulla T.I.A. alle fattispecie contrattuali di cui è parte). Si è già visto, infatti, che la sig.ra G.D.F. è proprietaria di un immobile concesso in comodato ai sensi dell’art. 1810 c.c.: orbene, per l’ipotesi del comodato l’art. 4, comma 8, del regolamento comunale richiama i precedenti commi 6 e 7, ma senza precisare se il richiamo si intenda effettuato anche relativamente alla durata del rapporto, e cioè per i soli contratti di comodato aventi durata di ventiquattro mesi. Di tenore contrario è l’interpretazione offerta dalla concessionaria (mentre la difesa comunale nulla aggiunge in proposito) e, del resto, il comodato ben può essere senza determinazione di durata, con obbligo del comodatario, ai sensi dell’art. 1810 c.c., di restituire il bene non appena il comodante glielo richieda: a questa categoria, anzi, appartiene il contratto di comodato concluso dalla ricorrente, il cui art. 7 richiama la disciplina dell’art. 1810 c.c. (cfr. all. 12 al ricorso). Se ne deduce che, anche a voler seguire la tesi della controinteressata, volta a valorizzare l’anteriorità della data di stipulazione del contratto de quo rispetto all’entrata in vigore della nuova disciplina della T.I.A., ciò può al più portare ad escludere l’applicabilità a tale contratto della predetta nuova disciplina per la prima annualità, ma, certo, non per le annualità successive. La suddetta conclusione si ricava, del resto, dal medesimo regolamento impugnato, il cui art. 6, comma 5, stabilisce che "la tariffa è commisurata ad anno solare ed ogni annualità costituisce un’autonoma obbligazione da parte del soggetto obbligato". Quanto ora detto, perciò, vale già di per sé a radicare l’interesse a ricorrere in capo alla sig.ra G.D.F., almeno nei confronti delle disposizioni regolamentari introdotte dal Comune resistente, che addossano ai proprietari l’obbligo di pagare la T.I.A. per l’immobile dato in comodato.

3.8. Il surriferito interesse deve, inoltre, considerarsi esistente anche in relazione alle previsioni del regolamento comunale impugnato (artt. 4, commi 6 e 7) riguardanti le locazioni ad uso domestico o non domestico di durata inferiore a ventiquattro mesi, giacché, se è vero che i contratti di locazione stipulati dalla sig.ra G.D.F. hanno entrambi durata eccedente detto termine (cfr. all.ti 6 e 10 al ricorso), è altresì vero che la ricorrente in parola ha interesse ad impugnare le previsioni che le addossano il pagamento della T.I.A. per l’ipotesi in cui i relativi rapporti abbiano, nel concreto, una durata inferiore (ad es., per recesso del conduttore). In questo senso depone, in particolare, il tenore dell’art. 4, comma 6, cit., nel quale ci si riferisce all’affitto di abitazione "che si esaurisce prima del termine di 24 (ventiquattro) mesi..": la disposizione sembra, quindi, comprendere anche l’ipotesi di rapporti di locazione con durata prefissata maggiore dei ventiquattro mesi, ma che si interrompono prima della scadenza, sempreché l’interruzione del rapporto si verifichi nei ventiquattro mesi dalla sua instaurazione. Anche per siffatta ipotesi, allora, si ripropone la questione dell’applicabilità della nuova disciplina, almeno per la seconda ed ultima annualità, ai contratti stipulati dalla ricorrente (se non altro, a quello di locazione ad uso abitativo). Ne deriva la sussistenza, pure sotto questo profilo, dell’interesse a ricorrere in capo alla sig.ra G.D.F.. E la conclusione ora vista vale altresì per il contratto di comodato dalla stessa stipulato, ove si ritenga che il richiamo, da parte dell’art. 4, comma 8, del regolamento impugnato ai precedenti commi 6 e 7, si debba intendere nel senso che l’addossamento della T.I.A. ai proprietari di immobili dati in comodato riguarda soltanto i contratti (rectius, rapporti) di comodato con durata inferiore ai ventiquattro mesi.

4. Passando al merito del ricorso, osserva il Collegio che lo stesso è fondato e da accogliere.

4.1. In particolare, risulta fondato il primo motivo, con il quale si deduce la violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost.. Sul punto, il Collegio è ben consapevole che, con l’art. 14, comma 33, del d.l. n. 78/2010, convertito con l. n. 122/2010, il Legislatore ha dettato una norma di interpretazione autentica, stabilendo che le disposizioni di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152/2006 si interpretano nel senso che la natura della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani non è tributaria. La norma in esame è stata emanata per dirimere la vexata quaestio della natura tributaria o meno della T.I.A. (rilevante, tra l’altro, al fine di stabilirne l’assoggettamento o meno all’I.V.A.), dopo i contrasti verificatisi in materia nella giurisprudenza di legittimità e nonostante gli interventi della Corte costituzionale (cfr. le sentenze 24 settembre 2009, n. 238 e 24 febbraio 2010, n. 64), che, invece, ne avevano affermato la natura tributaria. Nondimeno, per quanto qui rileva, l’introduzione della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 14, comma 33, cit., provvista di efficacia retroattiva, non sposta i termini del problema, poiché la T.I.A., anche dopo che il Legislatore ne ha negato la natura tributaria, rientra in ogni caso nell’ambito applicativo dell’art. 23 Cost., trattandosi di prestazione patrimoniale imposta, la cui disciplina deve, pertanto, considerarsi assoggettata alla riserva (relativa) di legge prevista dal citato art. 23.

4.2. Ed invero, secondo la migliore dottrina e la costante giurisprudenza, il concetto di "prestazione imposta" ex art. 23 Cost. non si limita ai soli tributi (i quali certamente vi rientrano), ma è molto più esteso, essendovi ricomprese le prestazioni non tributarie, comunque riconducibili alla legge od ai provvedimenti amministrativi e, quindi, caratterizzate dal requisito della coattività: in questa ottica, dottrina e giurisprudenza ricomprendono tra le prestazioni patrimoniali imposte, tra l’altro, i prestiti forzosi, le sanzioni amministrative pecuniarie, i prelievi comunitari in materia agricola. In aggiunta, la giurisprudenza costituzionale ha qualificato come prestazioni patrimoniali imposte, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 Cost., alcune fattispecie contrattuali di natura sinallagmatica, che presentavano le seguenti caratteristiche comuni: a) determinazione unilaterale, integrale ed inderogabile, ad opera di una delle parti, della disciplina delle reciproche prestazioni; b) prestazione del servizio in regime di monopolio pubblico ed essenzialità del servizio stesso ai bisogni della vita. In definitiva, si deve parlare di prestazione imposta non solo quando la fonte della prestazione è di tipo autoritativo, ma anche quando vi sono profili autoritativi nella disciplina delle contrapposte prestazioni, in specie se il corrispettivo è fissato unilateralmente ed al privato è rimessa solo la libertà formale di richiedere o meno la prestazione (cfr., ex multis, Corte cost., 19 aprile 1969, n. 72).

4.3. Così delineate le caratteristiche delle "prestazioni imposte" di natura patrimoniale di cui all’art. 23 Cost., ad avviso del Collegio è indubbia la riconducibilità della T.I.A., anche una volta negatane la natura tributaria, all’ambito delle suddette prestazioni, sussistendone i requisiti di coattività e di autoritatività poc’anzi indicati. Come, infatti, precisato dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 238 del 2009, in relazione al pagamento della tariffa sussiste una struttura autoritativa e non sinallagmatica, che emerge sotto vari e concorrenti profili. In particolare: a) i servizi riguardanti lo smaltimento dei rifiuti debbono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata (ed infatti, nel caso di specie risultano impugnate alcune previsioni del regolamento del Comune di Prato per l’applicazione della tariffa); b) i soggetti obbligati al pagamento, salvo ipotesi tassative di esclusione od agevolazione, non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei predetti servizi; c) la legge non dà nessun rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio. Né varrebbe invocare in contrario che per la T.I.A., a differenza della preesistente T.A.R.S.U., il soggetto che la applica e riscuote si individua nel gestore del servizio, poiché comunque soggetto attivo dell’obbligazione resta il Comune: ciò, pur laddove il regolamento comunale affidi a terzi l’accertamento e la riscossione, nonché la legittimazione a stare in giudizio (Corte cost., sent. n. 238/2009, cit.).

4.4. Ricondotta la T.I.A. nell’ambito delle prestazioni imposte ex art. 23 Cost., si tratta ora di vedere se le previsioni regolamentari gravate abbiano o meno violato i limiti della riserva di legge derivanti dalla citata norma costituzionale. Sul punto, giurisprudenza e dottrina concordano che la riserva di legge de qua è relativa, il che significa che non tutta la disciplina istitutiva della prestazione imposta va demandata alla legge, sussistendo il quesito sul "minimum" di disciplina che va necessariamente rimesso alla legge. A tale quesito si è data concorde risposta, evidenziando come nella legge debba essere racchiusa la disciplina degli elementi necessari ad identificare la prestazione, cioè dei fatti, al cui verificarsi la prestazione è dovuta (il cd. presupposto) e dei soggetti obbligati ad effettuarla (cfr., ex multis, Corte cost., 5 maggio 1988, n. 507; C.d.S. Sez. V, 17 dicembre 1984, n. 920). Invece, la regolamentazione della determinazione quantitativa della prestazione pecuniaria dovuta può essere contenuta in atti diversi dalla legge, purché quest’ultima abbia fissato idonei criteri direttivi, limiti e controlli.

4.5. Alla luce delle suesposte indicazioni, è evidente come le previsioni regolamentari gravate non rispettino la riserva di legge ex art. 23 Cost.. Ed invero, l’art. 238, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 addossa il pagamento della tariffa a "chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani". Con formulazione leggermente diversa, l’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997 aveva stabilito che "la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale", sicché, come meglio si vedrà più oltre, nella già citata sentenza n. 238/2009 la Corte costituzionale aveva sottolineato come il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della T.I.A. debba essere rinvenuto non nell’effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e neppure nell’effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente nell’utilizzazione di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti e nella possibilità di fruire del servizio di smaltimento. È, quindi, indubbio che l’art. 4, commi da 6 ad 8, del regolamento gravato, nell’addossare, per le ipotesi ivi indicate, al proprietario non possessore, né detentore, né altrimenti utilizzatore od occupante dell’immobile, il pagamento della tariffa, ha modificato sia il presupposto della tariffa, sia (nelle fattispecie interessate) il soggetto passivo della stessa, violando la riserva di legge ex art. 23 Cost..

4.6. A ben guardare, la modifica del presupposto della tariffa viene ammessa dalle stesse difese del Comune di Prato e della concessionaria del servizio, lì dove queste riconoscono che lo scopo delle disposizioni impugnate è di fronteggiare i fenomeni di diffusa morosità nel pagamento della tariffa, statisticamente riscontrati in prevalenza a carico di quanti occupano e/o detengono locali per periodi di tempo inferiori a ventiquattro mesi. Si tratta, in particolare (osserva la concessionaria) di arginare il fenomeno delle imprese cd. apri e chiudi, delle imprese, cioè, che cessano l’attività entro un anno dalla data di inizio e che rappresentano situazioni a specifico rischio di evasione e di frode fiscale e contributiva. In quest’ottica, sarebbe ragionevole far convergere i costi dell’evasione della T.I.A. su una categoria di soggetti (i proprietari) che manifestano un’evidente correlazione con i produttori di rifiuti e che, in ogni caso, traggono profitto dalla presenza di costoro nei propri immobili. La scelta, poi, sarebbe rispettosa del principio "chi inquina, paga", inteso nel senso – che la giurisprudenza ha fatto proprio – di attribuire il danno a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi, giacché il proprietario si troverebbe, comunque, nelle suddette condizioni di controllo. Ma, in questo modo, è indiscutibile il mutamento del presupposto della tariffa, che non viene più rinvenuto nel possesso o detenzione a qualsiasi titolo dei locali che producono rifiuti urbani, come vuole la legge: esso viene, invece, rinvenuto nella proprietà del bene, anche disgiunta dal possesso o detenzione, per tre profili che vi si riconnetterebbero: a) la correlazione con i produttori di rifiuti, b) il corrispettivo percepito dai medesimi produttori per il godimento che costoro hanno dell’immobile; c) l’esistenza, in capo al proprietario, delle condizioni per "controllare i rischi". Si tratta, tuttavia, di condizioni che portano ad una modifica del presupposto della tariffa, non più legata – va ribadito – al possesso o detenzione dell’immobile e, per l’effetto, ad una modifica nell’individuazione del soggetto passivo di essa. Sul punto, è, infatti, decisiva l’obiezione che il Legislatore, al contrario delle disposizioni regolamentari gravate, non assume la mera titolarità dell’immobile, disgiunta dal suo possesso o detenzione, quale presupposto della tariffa. Donde la fondatezza della doglianza, rispetto alla quale, del resto, le difese delle controparti si appalesano, invero, di assai ridotta consistenza.

4.7. Peraltro, le condizioni surriferite risultano palesemente arbitrarie, fuorvianti ed erronee: infatti, la "correlazione", se, come pare desumersi da vari passaggi delle difese del Comune e, soprattutto, della controinteressata, deve essere intesa come concorso nell’evasione od elusione del pagamento, ha certo altri strumenti per essere repressa; il profitto è totalmente inesistente in ipotesi, come quella del comodato, che pure sono contemplate dalle disposizioni gravate; quanto al controllo del rischio, non si vede, invero, come il proprietario dell’immobile dato in locazione, in comodato, o altrimenti concesso in godimento possa controllare fenomeni di evasione/elusione legati non già al rapporto di locazione o comodato stesso, ma al pagamento della T.I.A. da parte di un terzo.

5. Parimenti fondato risulta, altresì, il secondo motivo, con il quale si deduce la violazione, ad opera delle disposizioni impugnate, del principio "chi inquina, paga". In proposito, si è già avuto modo di osservare che, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della T.I.A. è costituito dall’utilizzazione di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti e dalla potenziale fruizione del servizio di smaltimento, in disparte sia l’effettiva produzione di rifiuti, sia l’effettiva fruizione del predetto servizio. C’è da rilevare, peraltro, che la Corte prende a riferimento l’art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997: diversa è, però, la formulazione dell’art. 238, comma 1, del d.lgs. n. 152 cit., ai sensi del quale i locali o le aree, il cui possesso o detenzione rende legittimati passivi al pagamento della tariffa, sono locali od aree "che producano rifiuti urbani". Se, dunque, si assume come fatto generatore dell’obbligo di pagare la T.I.A., l’utilizzazione di superfici che producano effettivamente rifiuti, è evidente la violazione, da parte del regolamento impugnato, del principio "chi inquina, paga": violazione che, peraltro, ad avviso del Collegio, si rinviene anche nell’altra accezione del fatto generatore della T.I.A., quella dell’utilizzo di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti, in quanto l’art. 4, commi da 6 ad 8, del regolamento del Comune di Prato prescinde comunque dall’utilizzazione delle superfici, sia che producano effettivamente i rifiuti, sia che siano solo potenzialmente idonee alla suddetta produzione.

5.1. Ancora, è fondato il quinto motivo, con cui si contesta l’indeterminatezza e la genericità delle previsioni regolamentari impugnate, che si riferiscono a locazioni di durata inferiore a ventiquattro mesi, mentre la legge prevede una durata minima del contratto superiore a tale limite, sia per gli usi abitativi, sia per quelli non abitativi. Le disposizioni impugnate finiscono, pertanto, per rimettere al conduttore dell’immobile il potere di determinare o meno l’insorgenza della fattispecie impositiva, consentendo la legge solo a quest’ultimo la facoltà di recedere in qualsiasi momento dal contratto di locazione. In proposito, tanto la difesa del Comune di Prato, quanto quella della concessionaria del servizio rifiuti replicano, richiamando l’ampia congerie delle locazioni cd. transitorie previste dalla vigente normativa (per finalità turistiche, per soddisfare esigenze abitative di studenti universitari, per le attività di carattere transitorio da svolgere in immobili locati ad uso non abitativo, ecc.), cui, perciò, si riferirebbero le previsioni impugnate. Si tratta, però, di obiezione che non convince, atteso che nelle disposizioni impugnate non si rinviene un’esplicita limitazione della loro portata alle sole locazioni transitorie, tanto ciò vero che, già in sede di disamina dell’ammissibilità del gravame, si è menzionata l’ipotesi in cui i contratti di locazione stipulati dalla sig.ra G.D.F., ancorché di durata superiore a ventiquattro mesi, si interrompano prima della scadenza, finendo per rientrare nell’ambito applicativo della nuova disciplina. Ove, poi, si volesse ribattere che la limitazione alle locazioni cd. transitorie deve ritenersi implicita nel riferimento, contenuto nell’art. 4, comma 6, del regolamento, al cd. "affitto di abitazione per breve periodo", si dovrebbe comunque rilevare che un simile riferimento non è rinvenibile nel successivo comma 7, nel quale si parla, più genericamente, di "durata inferiore a 24 (ventiquattro) mesi": quindi, la limitazione de qua sussisterebbe per le sole locazioni ad uso abitativo, ma non anche per le locazioni ad uso non abitativo (per es., per l’ipotesi ex art. 27, quinto comma, della l. n. 392/1978, indicata dalle difese di resistente e controinteressata). L’incertezza circa l’esatta portata applicativa delle disposizioni regolamentari in discorso – almeno di quelle contenute nei commi 6 e 7 dell’art. 4 del regolamento – comporta, perciò, che è fondata la doglianza al riguardo formulata dalle ricorrenti.

5.2. Debbono, invece, essere respinti il terzo ed il quarto motivo di ricorso, giacché, anzitutto, l’art. 3, comma 2, della l. n. 241/1990 esclude una particolare motivazione per gli atti normativi (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 29 dicembre 2005, n. 20689); né le disposizioni gravate possono reputarsi affette da carenza di istruttoria per il semplice fatto che la loro adozione non è stata preceduta dalla concertazione con l’associazione ricorrente, alla luce dell’art. 13 della l. n. 241 cit., il quale esclude l’applicabilità delle norme sulla partecipazione del privato nei confronti dell’attività della P.A. volta all’emanazione di atti normativi (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 7 febbraio 2011, n. 1121). D’altro lato, nessuna retroattività sembra riscontrabile nella fattispecie in esame, atteso che le disposizioni regolamentari gravate si applicheranno a (singoli) periodi tariffari, coincidenti con l’anno solare: si è già rammentato, infatti, che, ai sensi dell’art. 6, comma 5, del regolamento impugnato, la tariffa è commisurata all’anno solare e ciascuna annualità rappresenta un’autonoma obbligazione in capo al soggetto passivo (v., anche, artt. 9 e 13 del regolamento).

5.3. Da ultimo, risulta altresì fondato il sesto motivo di ricorso, dedotto avverso la deliberazione di approvazione dell’aliquota della T.I.A. per l’anno 2010. Ed invero, deve essere condivisa la censura di incompetenza, formulata con il sesto motivo, poiché la decisione di incrementare l’aliquota della tariffa per l’anno 2010, assunta dalla Giunta Comunale con l’impugnata deliberazione n. 181/2010, nel caso di specie fuoriesce dalla mera determinazione della tariffa, spettante alla Giunta ai sensi del combinato disposto degli artt. 42, comma 1, lett. f), e 48 del d.lgs. n. 267/2000. Come si legge nelle premesse della deliberazione, l’aumento consegue al maggior costo del servizio per il 2010 rispetto al 2009, imputabile alla mancata detraibilità, da parte del Comune di Prato, dell’I.V.A. fatturata dal gestore del servizio, connesso alla già citata sentenza della Corte costituzionale n. 238/2009, che ha affermato la natura tributaria della T.I.A., escludendola dall’ambito applicativo dell’I.V.A.: infatti – prosegue la deliberazione – l’aumento delle aliquote per le utenze domestiche equivale al costo in precedenza sostenuto per l’imposizione dell’I.V.A. e adesso non più imputato in bolletta, sicché per le famiglie non vi sarebbe nessun peggioramento rispetto al 2009. Ma, allora, la scelta del Comune di Prato di inserire un importo corrispondente all’I.V.A. all’interno della tariffa non si può ritenere una semplice rimodulazione delle aliquote, trattandosi di decisione che ha investito la stessa natura della tariffa in esame, considerata anche dal Comune alla stregua di un tributo: se ne deduce che la decisione de qua investiva la stessa disciplina generale della tariffa (poiché il Comune di Prato, con essa, ha preso posizione sulla natura della T.I.A.) e, per l’effetto, ai sensi dell’art. 42, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000, avrebbe dovuto essere presa dal Consiglio Comunale, e non dalla Giunta, com’è invece avvenuto. Donde la fondatezza della censura.

5.4. Alla stregua del suindicato art. 14, comma 33, del d.l. n. 78/2010 (conv. con l. n. 122/2010) – provvisto, quale norma di interpretazione autentica, di efficacia retroattiva (v. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 14 dicembre 2010, n. 36532) – non può, invece, essere accolto il settimo motivo, poiché sia l’art. 1, comma 7, del d.l. n. 93/2008 (conv. con l. n. 126/2008), sia l’art. 77bis, comma 30, del d.l. n. 112/2008 (introdotto in sede di conversione dalla l. n. 133/2008) limitano ai tributi (o addizionali, aliquote, o maggiorazioni di aliquote) la sospensione del potere delle Regioni e degli Enti Locali di deliberarne aumenti: si è visto, invece, che, ai sensi dell’art. 14, comma 33, cit., deve escludersi che la T.I.A. abbia natura di tributo. Nessuna violazione degli artt. 1, comma 7, cit. e 77bis, comma 30, cit. può, dunque rinvenirsi nella suindicata deliberazione dalla Giunta Comunale di Prato n. 181 del 29 aprile 2010.

6. In definitiva, il ricorso è parzialmente fondato, attesa la fondatezza del primo, secondo, quinto e sesto motivo. Per l’effetto va disposto l’annullamento dei provvedimenti con lo stesso impugnati ed in particolare:

– del regolamento del Comune di Prato approvato con la deliberazione consiliare n. 22/2010, nelle parti oggetto di impugnazione e più specificamente nei commi da 6 ad 8 dell’art. 4, con esclusione, invece, dell’art. 27;

– degli atti prodromici (pareri) richiamati in epigrafe;

– della deliberazione della Giunta Comunale di Prato n. 181 del 29 aprile 2010, nonché di quella del Consiglio Comunale n. 36 del 29 aprile 2010.

7. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo nei confronti delle parti costituite, facendosi luogo a compensazione nei confronti delle altre (che, non costituendosi, non hanno nemmeno spiegato difesa).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e per l’effetto annulla gli atti con esso impugnati, come specificato in motivazione.

Condanna indivisamente il Comune resistente e l’A.S.M. S.p.A. al pagamento di spese ed onorari di causa, che liquida in misura forfettaria in Euro 3.000,00 (tremila/00) per ciascuna delle parti ricorrenti, per complessivi Euro 6.000,00 (seimila/00), più gli accessori di legge. Compensa le spese nei confronti delle parti non costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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