Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-02-2011) 01-07-2011, n. 25908 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Torino ha pronunziato in sede di rinvio (giusta sentenza di annullamento resa da Cass. Pen. Sez. 3^ il giorno 1/2/2006) su appello proposto da A.M. contro sentenza di condanna pronunciata, in abbreviato, dal Tribunale ordinario di Torino, che aveva ritenuto A.M. responsabile del delitto di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., u.c., in danno dei nipoti "ex fratre" dell’imputato stesso.

Il giudice del rinvio, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenuta la prevalenza delle già riconosciute attenuanti generiche e ferme restando la continuazione e la diminuente per il rito, ha rideterminato la pena irrogata in anni due e mesi quattro di reclusione (in primo grado erano stati irrogati anni tre e mesi otto di reclusione) e ha condannato l’imputato al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile per il grado di appello, confermando nel resto la sentenza impugnata. La sentenza di appello oggi impugnata riporta attentamente e dettagliatamente "dictum" della sentenza di annullamento con rinvio. L’imputato A. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di appello da ultimo menzionata, per ottenerne l’annullamento (con o senza rinvio).

All’udienza pubblica del 15/2/2011 il ricorso è stato deciso con compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

La sentenza di appello oggi impugnata dedica una lunga e meticolosa analisi alla vicenda del processo, e ha particolare attenzione ai vizi ritenuti dalla sentenza di annullamento, riassumibili nella irritualità dell’utilizzo, in violazione dell’art. 228 c.p.p., comma 3, delle dichiarazioni rese dai minori al perito e intese dalla sentenza annullata come deposizioni testimoniali; nell’avere sviluppato il proprio convincimento sulla base di cognizioni scientifiche non verificate nella loro efficacia e rilevanza specifica, nell’avere la sentenza annullata ritenuto i due minori capaci di testimoniare senza adeguata confutazione delle conclusioni della perizia della Dott. L.A.. Il giudice di rinvio ha dunque adottato il metodo di svolgere un nuovo esame di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori acquisiti, ma ha anche disposto ex art. 196 c.p.p., comma 2, una nuova perizia (collegiale; dottoresse R. e Ro.) intesa a verificare la capacità a testimoniare dei due minori riferita al tempo del loro esame in forma di audizione protetta nel 1999. Le conclusioni di tale perizia sono state accompagnate dalle opposte conclusioni dei consulenti di parte.

Parte ricorrente formula quattro censure (la quarta solo in subordine) contro la sentenza impugnata;

La prima censura denunzia: manifesta illogicità e mancanza di motivazione rilevabili nel testo del provvedimento e degli atti del processo, poi indicati, in punto di valutazione ed apprezzamento delle conclusioni formulate dal perito, dott.ssa L.A., incaricata dal giudice di prime cure di accertare la capacità a testimoniare dei minori e, comunque, la loro credibilità, sia pure poste a confronto con le conclusioni delle perite dottoresse R. e Ro. da ultimo nominate ed, altresì, in punto di omesso rilievo, in concreto, della influenza esterna sul ricordo dei bambini. Secondo il ricorso, la sentenza impugnata non avrebbe raccordato adeguatamente le indicazioni esplicitate nell’elaborato della Dott. L.A. con le indicazioni della perizia R. – Ro. e neppure con le indicazioni versate nel processo dai consulenti della difesa del ricorrente. La prima perizia, svolta in prossimità temporale ai fatti addebitati dalla Dott. L.A. avrebbe rilevato nei due minori parti offese (nato uno il (OMISSIS) e l’altra il (OMISSIS) a fronte di fatti che sarebbero accaduti fino al (OMISSIS)) seri disturbi psicoevolutivi, risalenti, nel linguaggio della perizia in questione, alla c.d. fase orale, e tali disturbi avrebbero prodotto nei due un pensiero spesso confuso e poco coerente tale da impedire a loro un esame della realtà adeguato in modo costante. La perizia disposta in appello e svolta a circa dieci anni di distanza dai fatti, avrebbe ignorato i dati e le valutazioni della perizia di primo grado e sarebbe afflitta da incongruenze e contraddizioni tutte messe in rilievo dalle consulenti della difesa G. – M. (pgg 19 e ss. nonchè 34,35 e 36 e ancora conclusioni pgg. 8,9, e 10 della trascrizione di udienza 11/1/2010) le quali sviluppano la tesi della esistenza propulsiva di una funzione materna nella strutturazione del disturbo e nella richiesta, inconsapevolmente rivolta dalla madre ai minori, di aderire alla sua percezione dei fatti e della vicenda.

Il ricorso censura dunque la motivazione della sentenza impugnata che, nella messe di dati acquisiti al processo, non avrebbe colto l’evidenza della pesante influenza della madre nell’alterazione delle tracce mnestiche dei minori e la esistenza di un contesto familiare patogenetico tale da produrre sul versante della famiglia ristretta (padre, madre e due fratelli di sesso diverso) una eccessiva sessualizzazione riversata sul piano fantasmatico, e, sul piano della famiglia più ampia (lo zio), un senso dei minori di prevaricazione conseguente non ad abusi sessuali subiti ma, piuttosto, alla rozzezza dei modi dello zio.

Sul punto il ricorso riproduce frammenti di frasi dei ragazzi registrate nel corso dei colloqui con le perite (frasi sulla dinamica dei fatti e anche sul procedimento penale) e a quelle frasi affida la certezza di un avvenuto fraintendimento delle dichiarazioni dei due fratelli e la certezza di una incapacità a testimoniare sui fatti vissuti da piccoli.

Il ricorso sottolinea anche una diversa qualità scientifica degli elaborati tale che quella diversità dovrebbe rendere attendibili gli elaborati dei consulenti della difesa e inattendibili quelli dei periti della Corte di Appello.

L’impianto delle censure di cassazione descrive poi talune contraddizioni individuate nelle dichiarazioni della minore non valorizzate dalla perizia di appello, della quale è anche criticato l’approccio metodologico sviluppato non su un piano di collegialità e confronto pieno, ma su un piano di divisione dell’esame dei minori.

In conclusione la prima censura è intesa a dimostrare che la sentenza impugnata non ha colto la esistenza nei due minori di disturbi della personalità così gravi da escludere o porre in grave dubbio la loro capacità a testimoniare e, in ogni caso la loro attendibilità. La seconda censura denunzia: nullità dell’ordinanza 18/5/2009 della Corte di Appello di Torino per violazione dell’art. 603 c.p.p., comma 3. La nuova perizia sarebbe stata disposta senza alcuna necessità di rinnovazione La terza censura denunzia contraddittorietà, manifesta illogicità e mancanza di motivazione rilevabili nel testo del provvedimento e degli atti del processo, poi indicati, in punto di omessa rilevazione dei fraintendimenti, delle contraddizioni e delle discordanze emerse nelle versioni dei fatti riferite dai minori. Il ricorso evidenzia che i riferiti baci in bocca sono baci della buona notte e si sofferma sulla differenza tra posizione della mano a cucchiaio e posizione della mano con un solo dito teso per escludere la riferita penetrazione anale manuale, così come si sofferma sulla circostanza che i pantaloni del minore venivano abbassati dallo zio solo per le sculacciate e non in altre occasioni. Da tanto e da ulteriori considerazioni circa altri comportamenti – l’episodio della fellatio – addebitati allo zio in modo ondivago, il ricorso trae argomento per affermare che la sentenza di rinvio non ha rispettato la sentenza di annullamento che aveva stigmatizzato la mancanza di motivazione sulle contraddizioni e sulle discordanze nelle deposizioni e, ancora, che la sentenza di rinvio non ha colto la assoluta mancanza di prova dei fatti addebitati.

Con l’ultima censura il ricorrente denunzia in via subordinata la qualificazione data al fatto senza considerare che se veri fossero stati fatti riferiti dai bambini, questi avrebbero avuto una rilevanza più limitata ex art. 609 bis c.p., così da condurre ad una pena più adeguata all’effettivo disvalore dei fatti.

La sentenza di rinvio aveva annullato la prima sentenza di appello per un nuovo esame del merito. La sentenza rescindente aveva ritenuto adeguati i giudizi espressi dal CT del PM circa la attendibilità dei due bambini ma aveva ritenuto di escludere per il giudice del merito la possibilità di utilizzare come dichiarazioni testimoniali delle parti offese le dichiarazioni raccolte dai detti periti (restate incontrollabili per le difese e oltretutto non verbalizzate e non registrate). La sentenza annullata aveva operato una ricostruzione dei fatti senza motivare sui diversi scenari possibili secondo la prospettiva peritale e senza fornire rigorosa giustificazione dello scostamento da talune considerazioni specialistiche svolte dal perito medesimo che poteva portare ad escludere ogni rapporto tra la accertata precoce sessualizzazione dei due bambini e asseriti fenomeni di abuso in loro danno. Ancora la sentenza annullata non avrebbe fornito compiuta motivazione circa il contestato ruolo di interferenza della madre dei due e circa l’effetto di tale interferenza sulle dichiarazioni poi rese dai bambini in situazione ritualmente corretta.

Questa Corte rileva che la sentenza oggi impugnata ha affidato le adottate statuizioni ad un percorso motivazionale fedele alle indicazioni della sentenza rescindente.

La sentenza oggi impugnata risulta attentamente motivata sull’intera dinamica dei fatti, sul loro contesto e sullo stesso sviluppo procedimentale. Proprio in risposta alla necessità di un nuovo adeguato esame del merito la sentenza 15/3/2010 si è servita di un nuovo elaborato peritale assunto in accumulazione di dati e di valutazioni, così da raggiungere una più compiuta e ragionata analisi dei fatti ritualmente acquisiti al processo.

Peraltro il primo elaborato al quale pure si riferiva la sentenza di condanna escludeva dinamiche vendicative dei querelanti e la ragionevole ancorchè non certa veridicità dei fatti narrati dai bambini. La sentenza oggi impugnata conferma una sentenza di condanna che segnalava come l’azione penale fosse scaturita sì da querela dei genitori dei bambini, ma su consiglio in tal senso della psicologa del territorio dott.ssa B., che, per prima, aveva concluso per l’attendibilità delle dichiarazioni dei bambini. La sentenza si sofferma a smentire motivatamente la tesi difensiva di una preconcetta ed esclusiva ostilità della madre dei due bambini nei confronti del cognato e della suocera e a evidenziare che le dichiarazioni dei due bimbi non erano affatto l’unica fonte di prova raccolta contro l’imputato. La sentenza si sofferma sui vari giudizi di attendibilità e capacità a testimoniare fatti veri man mano accumulati nel processo e si sofferma sul significato genuino e non suscettibile di rimozione alcuna della audizione protetta del 1999 nella quale emerge, attraverso parole, disegni e mimi, un coagulo di verità non travolto dalle specifiche difficoltà di narrazione di così inconsueti vissuti. Compiuta e ragionata è la verifica della persuasività delle conclusioni peritali non subalterne ad una linea difensiva obbligata, come invece le conclusioni di consulenza di parte. Compiuta la analisi dei fatti e delle verifiche che per più aspetti ne hanno definito la fondatezza. La sentenza oggi impugnata valuta le "scene" viste dai due genitori, la narrazione attraverso agiti resa dai due minori ritenuti con motivazione inattaccabile, definitivamente attendibili, la incompatibilità degli specifici e inequivocabili gesti addebitati all’imputato (e riscontrati) con semplici manifestazioni di rozzezza comportamentale dell’adulto o, secondo la censura subordinata, pure disattesa, con il carattere ludico e superficiale di contatti sessuali eventualmente accaduti.

La sentenza oggi impugnata ha anche dato conto della particolare affidabilità dell’esame peritale disposto in appello, ha rapportato le indagini dei periti a quelle dei consulenti e ha motivato sulla assenza di vizi della indagine peritale, del ragionamento e delle conclusioni offerte per causa della distanza temporale tra situazioni da valutare e tempo della valutazione e per causa della denunziata scotomizzazione delle indagini peritali di appello semplicemente corrispondente ad un metodo di lavoro e di divisione dei compiti che non ha falsato le conclusioni concordemente rassegnate.

La negazione della qualificazione dei fatti accertati nella categoria dei casi di minore gravità di cui all’art. 609 c.p., comma 3 è ampiamente e adeguatamente motivata dalla sentenza impugnata che ha applicato i principi consolidati contenuti nelle decisioni di questa Corte in materia (per tutte Cass. Pen. Sez. 3A 16/5/2000 n. 5646;

Cass. Pen. Sez. 3^ 15/12/2003 n. 47730; Cass. Pen. Sez. 3^ 18/6/2004 n. 27485; Cass. Pen. Sez. 3^ 17/1/2007 n. 1057; Cass. Pen. Sez. 3A 11/1/2008 n. 1190). In sintesi il ricorso che ne occupa, per la parte in cui tende a sollecitare un nuovo giudizio di merito anche mediante il richiamo di singoli passaggi delle relazioni peritali estrapolati dalla interezza del contesto nel quale furono espressi con valutazione finale opposta a quella assunta nell’odierno ricorso, non è ammissibile, mentre nella più ampia tessitura delle sue censure, compresa quella proposta in subordine con riguardo alla qualificazione del fatto, è infondato e deve essere rigettato con ogni conseguenza per le spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto dalla legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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