Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-02-2011) 01-07-2011, n. 25892

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza pronunciata il 1 giugno 2010 il la Corte di appello di Caltanisetta rigettava, in quanto inammissibile, l’istanza di revisione formulata, ai sensi dell’art. 630 c.p.p., lett. a) e lett. c), nell’interesse di B.A. in relazione alla sentenza della Corte di Assise di Palermo in data 26 luglio 1997, divenuta irrevocabile, con la quale il B. era stato condannato alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per anni tre, per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di associazione a delinquere di stampo mafioso aggravata, di omicidio premeditato ed aggravato in concorso, nonchè per il reato di soppressione di cadavere continuata ed aggravata in concorso.

Nell’istanza di revisione, il difensore di B.A., dopo aver ricostruito la vicenda processuale prospettava:

– la esistenza di un contrasto tra i giudicati con riferimento alla sentenza 5 luglio 2000, divenuta irrevocabile, con la quale la Corte di assise di appello di Palermo aveva assolto Br.Al., imputato, con identici capi di imputazione, dei medesimi reati per i quali era stato condannato il B., dai delitti di omicidio e soppressione di cadavere per non aver commesso il fatto.

– la sussistenza di una prova nuova, costituita dalle dichiarazioni rese, nel corso del processo a carico di Br.Al., all’udienza 14 giugno 2000, dal collaboratore M.G., il quale ricostruiva i fatti in maniera divergente rispetto agli altri collaboratori sia per quel che riguarda i locali ove le vittime sarebbero state strangolate, sia sulla durata delle operazioni di "scioglimento dei cadaveri", sia sulle modalità di reperimento dell’acido all’uopo usato, nonchè, soprattutto, in relazione alla circostanza che i partecipanti al summit non erano assolutamente transitati dall’officina del B., e neppure indicava B. A. tra le persone che avevano partecipato ai fatti.

La Corte di Appello ha motivato la sua decisione rilevando che:

– la sentenza di assoluzione di Br.Al., pronunciata con la formula per non aver commesso il fatto e non con quella perchè il fatto non sussiste – con ciò confermando l’attendibilità delle dichiarazioni degli altri collaboratori in punto di idoneità circa la prova del fatto -, si fonda su una diversa valutazione del materiale probatorio in relazione alla posizione del solo Br., senza nulla stabilire in maniera inconciliabile rispetto alla condanna del B..

– le dichiarazioni rese da M.S. non possono costituire prova nuova idonea a smentire le convergenti accuse mosse dagli altri tre collaboratori, D.M.B., S. V., b.G., in quanto non può affermarsi che la ricostruzione dei fatti operata dal M., laddove divergente da quella degli altri collaboratori, sia stata ritenuta maggiormente attendibile con la sentenza che assolse il Br.; inoltre, riguardo alle tardive asserzioni del M., non vi sono elementi per ritenere che le stesse, ove parrebbero escludere la condotta di partecipazione del B., siano meritevoli di una qualche credibilità, considerando che la partecipazione ai fatti (omicidiario e di soppressione dei cadaveri) del medesimo era stata affermata, in sede di condanna, sulla base delle precedenti chiamate in correità dei tre collaboratori, ritenute attendibili e convergenti.

2 – Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione l’avvocato Paolo Federico, difensore di B.A. denunciando: a) Vizio radicale di motivazione in relazione agli artt. 630, 631 e 634 c.p.p.; b) carenza ed illogicità della motivazione, nonchè inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 630, 631 e 634 c.p.p.. Con i due motivi il difensore ricorrente, in sostanza, lamenta che il giudizio di delibazione preliminare di ammissibilità della richiesta di revisione operato dalla corte d’appello si sia tradotto in un’indebita anticipazione, peraltro del tutto sommaria, del giudizio di merito senza la partecipazione del difensore. La corte territoriale, a fronte del novum, rappresentato dalle dichiarazioni rese dal collaboratore M.S., e dell’evidente contrasto tra i giudicati, quale evidenziato nell’istanza di revisione, ha, secondo il ricorrente, operato una valutazione superficiale e del tutto arbitraria, del materiale probatorio a disposizione. Valutazione, peraltro, carente ed illogica laddove, oltre a non fornire adeguate risposte agli assunti difensivi fondati su una completa rivisitazione dell’assetto probatorio cristallizzato nelle due sentenze, riguardo alle dichiarazioni rese dal M., si limita a non conferire alle stesse il rango di prova nuova affermando che esse, non acquisite e non vagliate nella vicenda giudiziaria in capo al B., ai fini della valutazione della posizione del Br. nel processo parallelo, non sarebbero state ritenute maggiormente attendibili rispetto a quelle degli altri collaboranti.

3.- Il Procuratore Generale presso questa Corte Dott. Guglielmo Passacantando, con atto depositato il 28 ottobre 2010, conclude per l’infondatezza del ricorso del quale chiede il rigetto.

Motivi della decisione

4.- Le censure mosse dal ricorrente sono fondate.

Come è stato puntualizzato dalla giurisprudenza (S.U. Sent.

26.9.2001, n. 624, Pisano) la delibazione preliminare circa l’ammissibilità della domanda di revisione deve, per quel che concerne la valutazione della sussistenza di ciascuna delle ipotesi di cui all’art. 630 c.p.p., limitarsi all’obbiettivo riscontro della presenza, alla stregua del contenuto delle allegazione difensive, di specifiche situazioni riconducibili a quelle che la legge considera sintomatiche della probabilità di errore giudiziario e della ingiustizia della sentenza irrevocabile, di cui si chiede la revisione.

Invero, in considerazione della peculiarità del rimedio della revisione, teso a rimuovere una decisione passata in giudicato, il vizio di manifesta infondatezza, previsto dall’art. 634 c.p.p. quale autonoma causa di inammissibilità della relativa domanda, deve essere collegato alla palese inidoneità delle ragioni poste a sostegno della richiesta ad accedere al giudizio di revisione; ciò in base ad una delibazione nella quale non possono assumere rilevanza regole di giudizio appartenenti alla fase del merito, poichè, se così non fosse, ne deriverebbe un’indebita sovrapposizione tra momenti procedimentali che il legislatore ha inteso tenere del tutto differenziati (Sez. 6, Sent. 3.12.2009, n.2437, Rv. 245770, Giunta;

Sez. 1, Sent. 14.10.2010, n. 40815, Rv. 248463, Ferorelli ed altro).

Infatti, mentre alla prima fase delibativa, c.d. rescindente, è rimesso il giudizio circa la capacità delle ragioni poste a base della richiesta a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, capacità da considerare quale requisito "tutto intrinseco alla domanda", o meglio alla forza persuasiva della richiesta da sola considerata, è, invece, riservata alla fase successiva del merito, c.d. rescissoria, ogni valutazione sulla effettiva idoneità di tale allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato.

Nel caso di specie l’assoluzione del Br., pronunciata nell’ambito di un compendio probatorio costituito dalle propalazioni dei collaboranti, che avevano fondato la condanna del B., e ritenute non riscontrate alla luce delle propalazioni, successive, di M.S., non poteva essere liquidata, così come fatto nell’ordinanza impugnata, con la apodittica argomentazione che la sentenza di assoluzione del Br. "nulla stabilisce in modo inconciliabile rispetto alla condanna del B.". La sentenza di assoluzione del Br., infatti, alla stregua delle dichiarazioni del M., prospetta una riscrittura dei fatti storici relativi all’episodio degli omicidi e della soppressione dei cadaveri, non coincidente con quella ritenuta nella sentenza di condanna divenuta irrevocabile in capo a B.A. e che, soprattutto, si appalesa idonea, o comunque tale da richiedere un adeguato approfondimento nel merito, in relazione alla sua capacità di incidere sulla complessiva ricostruzione della vicenda quale delineata sulla base delle sole dichiarazioni, peraltro difformi tra loro, dei primi tre collaboratori D.M., S. e b..

In tale ottica le propalazioni del M. costituiscono un elemento nuovo, non esaminato nel processo a carico di B. A., rispetto al quale la corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi più sopra enunciati, in quanto non si è limitata ad un’astratta valutazione circa la potenziale attitudine del novum, addotto a sostegno della richiesta di revisione, a porre in discussione il fondamento della pronuncia irrevocabile di condanna resa nei confronti del B., ma ha proceduto ad un apprezzamento concernente la attendibilità, maggiore o minore rispetto ad altre dichiarazioni, delle propalazioni del medesimo; con ciò anticipando un giudizio di merito, in una sede impropria ed in difetto del necessario contraddittorio tra le parti, che deve, invece, essere garantito in ogni caso in cui la valutazione di manifesta infondatezza si faccia derivare non già dalla evidente inidoneità della prova assunta come nuova ad incidere sui presupposti della decisione precedente, ma dalla ritenuta inattendibilità della sua fonte.

S’impone, di conseguenza, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al giudice competente per il giudizio di revisione.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per il giudizio di revisione alla Corte di appello di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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