T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 06-07-2011, n. 1159Onere della prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente, S.- S.I.A.&.D. S.p.A., espone di essere proprietaria di un terreno della superficie di circa mq. 9.400, con sovrastante stabilimento industriale, ubicato nel Comune di Carrara e ricompreso nel sito di bonifica di interesse nazionale di Carrara.

L’esponente evidenzia di svolgere attività di: imbombolamento di gas tecnici e medicali (ossigeno, azoto, ossigeno medicale); produzione di anidride carbonica solida (ghiaccio secco) immagazzinata in contenitori a pressione; commercializzazione di altri gas tecnici compressi, liquefatti e disciolti e commercializzazione di materiali a supporto delle vendite di gas.

L’area destinata allo stabilimento industriale dell’esponente è stata, fin dalla creazione della "Zona Industriale Apuana" (1938), nella disponibilità dell’Industria Manufatti in Cemento, che produceva lavorati in cemento, quindi della Compagnia Resiniera Italiana, che distillava resine naturali, e della I.C.T.A., che effettuava la macinazione del talco.

Nel 1951 l’area venne acquisita dalla CARBOGAS, la cui attività consisteva nell’imbombolamento di gas tecnici e nella produzione di anidride carbonica solida e di acetilene (quest’ultima, in base a quanto si legge in atti, cessata nel 1998). S. S.p.A. è succeduta a CARBOGAS ed evidenzia che nelle lavorazioni effettuate non era, né è impiegata alcuna sostanza chimica.

In esito alla Conferenza di Servizi decisoria del 24 marzo 2005, l’Amministrazione ha approvato, con prescrizioni, il piano di caratterizzazione presentato dalla società. Quest’ultima ha trasmesso al Ministero dell’Ambiente i risultati della caratterizzazione ambientale, esaminati nella Conferenza di Servizi istruttoria dell’11 giugno 2008. In esito a siffatta Conferenza, il Ministero ha richiesto alla S. di adottare misure di sicurezza d’emergenza delle acque di falda, consistenti nella costruzione dei pozzi di emungimento e nel trattamento delle acque emunte, nonché di presentare il progetto di bonifica della falda, dettando, altresì, una serie di ulteriori prescrizioni, attinenti, in particolare, alla ripetizione delle analisi. Al riguardo, l’esponente precisa:

– di essersi dichiarata disponibile ad una nuova campionatura delle acque, effettuata il 23 febbraio 2009 in contraddittorio con i tecnici dell’A.R.P.A.T.;

– che in data 28 maggio 2007 è stato sottoscritto un accordo di programma per la bonifica del sito di interesse nazionale di Carrara, in riferimento al quale il Ministero ha predisposto, nell’ottobre 2007, una proposta di accordo integrativo e modificativo recante previsioni del tutto incompatibili con la prescrizione, a carico della S., di realizzare un’autonoma barriera idraulica di emungimento ed il relativo autonomo trattamento delle acque. La proposta di accordo ha previsto, invece, un intervento unitario;

– che nell’aprile 2008 l’I.C.R.A.M. (ora I.S.P.R.A.) ha inviato al Ministero dell’Ambiente lo studio di fattibilità per la messa in sicurezza d’emergenza della falda, con allegato un progetto che prevede la realizzazione di un sistema di pozzi di emungimento collocati lungo un’asse mediana, in parallelo alla costa, che attraverserebbe tutto il sito, ed un sistema unitario di depurazione delle acque emunte per il riutilizzo a fini produttivi;

– che il Ministero ha elaborato un’ulteriore proposta di accordo di programma, che confermerebbe a sua volta l’esigenza di un progetto unitario di messa in sicurezza e di bonifica del sito.

Nonostante quanto appena esposto, il Ministero dell’Ambiente – Direzione Generale per la Qualità della Vita, con il decreto prot. 8107/Q.d.V./si/B del marzo 2009, ha recepito le prescrizioni stabilite nella Conferenza di Servizi decisoria del 10 febbraio 2009. Per quanto qui rileva, nella Conferenza de qua è stato tra l’altro chiesto alla S. di attivare, entro dieci giorni dal ricevimento del verbale, misure di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda, consistenti nella costruzione di una serie di pozzi di emungimento e nel successivo trattamento delle acque di falda emunte. Si è inoltre chiesto alla società di presentare entro trenta giorni un progetto di bonifica della falda.

La società esponente si duole, oltre che del contrasto tra le prescrizioni ora riportate ed il contenuto dello studio di fattibilità dell’I.C.R.A.M. (che escluderebbe nuovi pozzi di emungimento sull’area di sua proprietà, in aggiunta a quelli già presenti), del fatto che la contaminazione della falda acquifera non sarebbe imputabile alle attività da essa svolte, che non utilizzerebbero, né potrebbero produrre, le sostanze inquinanti reperite nell’analisi della falda stessa. Tanto premesso, con il ricorso indicato in epigrafe ha impugnato, nelle parti per essa lesive, sia il decreto direttoriale del 2 marzo 2009, ora citato, che ha approvato e considerato definitive le prescrizioni della Conferenza di Servizi decisoria del 10 febbraio 2009, sia il verbale di quest’ultima, sia – per quanto occorrer possa – il verbale della Conferenza di Servizi istruttoria dell’11 giugno 2008.

A supporto del ricorso, con cui ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, degli atti impugnati, la società ha dedotto i seguenti motivi:

– violazione ed errata applicazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, nonché degli artt. 8 e 9 del d.m. n. 471/1999 e dell’art. 242, in relazione all’art. 245, del d.lgs. n. 152/2006, violazione dell’art. 174 (ex art. 130/R) del Trattato CE, eccesso di potere per difetto dei presupposti soggettivi e per difetto di istruttoria, giacché gli atti gravati sarebbero affetti da violazione di legge e carenza di istruttoria nella parte in cui impongono interventi di messa in sicurezza e progetti di bonifica ad un soggetto non responsabile dell’inquinamento, chiamando in causa la ricorrente quale proprietaria dell’area interessata;

– eccesso di potere per carenza di istruttoria, violazione del corretto procedimento, violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, difetto di motivazione, violazione dell’art. 14 della l. n. 241/1990, illogicità, contraddittorietà, eccesso di potere per difetto dei presupposti oggettivi, violazione ed errata applicazione della direttiva n. 2000/60/CE, nonché dell’allegato 1 e dell’allegato 5 alla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, visto che nel caso di specie, in primo luogo, le prescrizioni imposte dalla Conferenza di Servizi decisoria del 10 febbraio 2009 imporrebbero alla ricorrente l’esecuzione di opere (pozzi di emungimento ed un sistema di depurazione) non previste dallo studio di fattibilità dell’I.C.R.A.M.. Inoltre tali prescrizioni sarebbero eccessivamente generiche, incongruenti rispetto alle indagini espletate e, comunque, tali da esporre a rischi di alterazione del flusso dell’acquifero. Ancora, l’imposizione delle suddette prescrizioni, la cui realizzazione è assai onerosa, non sarebbe sorretta da alcuna puntuale giustificazione. Infine, anche la prescrizione circa la presentazione del progetto di bonifica contrasterebbe con le conclusioni (progetto unitario) dello studio di fattibilità dell’I.C.R.A.M.;

– violazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 21 della l. n. 1034/1971 e dell’allegato 3 alla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà, difetto dei presupposti ed illogicità, difetto di motivazione, in quanto, anzitutto, l’imposizione di interventi di messa in sicurezza d’emergenza contrasterebbe con il fatto che l’inquinamento deve ricondursi ad attività industriali risalenti ed ormai cessate da anni. Inoltre, l’intervento di messa in sicurezza non sarebbe stato imposto tempestivamente, né la P.A. avrebbe svolto indagini per individuare le fonti inquinanti ed isolarle. Infine, alla luce del ricordato studio di fattibilità e della proposta di accordo di programma, sarebbe violato il precetto costituzionale del buon andamento della P.A., avendo il Ministero imposto prescrizioni di dubbia utilità, con inutile aggravio del procedimento.

Si sono costituiti in giudizio, con atto di costituzione formale, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero della Salute e l’I.S.P.R.A..

Nella Camera di consiglio del 2 luglio 2009 il Collegio, considerato sussistente, ad un sommario esame, il fumus boni juris, per non avere la P.A. provveduto ad alcun accertamento, a carico della ricorrente, della responsabilità a titolo di dolo o colpa quale autrice dell’inquinamento, in contrasto con la vigente normativa, con ordinanza n. 539/09 ha accolto l’istanza cautelare.

In vista dell’udienza pubblica, il Ministero dell’Ambiente ha depositato una memoria difensiva, con documentazione allegata, eccependo la parziale inammissibilità del gravame per la genericità della censura di difetto di motivazione e di istruttoria della prescrizione che ha imposto alla ricorrente la costruzione di una barriera idraulica. Nel merito, ha poi concluso per l’infondatezza del gravame, in considerazione anche dei principi desumibili dall’art. 2051 c.c. (norma in cui sarebbe sussumibile la fattispecie per cui è causa).

Anche la società ricorrente ha depositato una memoria, nonché una successiva memoria di replica, insistendo per l’accoglimento del gravame e ribattendo alle eccezioni della difesa erariale.

All’udienza pubblica del 3 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

La società ricorrente impugna gli atti (il verbale ed il decreto ministeriale di approvazione) relativi alla Conferenza di Servizi decisoria tenutasi il 10 febbraio 2009 presso il Ministero dell’Ambiente ed avente ad oggetto gli interventi ambientali per il sito di interesse nazionale di Massa Carrara. In dettaglio, si duole delle prescrizioni impartite per l’area di cui è proprietaria, contenute nel punto n. 14, lett. A), dell’ordine del giorno, lì dove alla ricorrente stessa viene richiesto:

1) di realizzare entro dieci giorni, quali misure di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda, una serie di pozzi di emungimento, ivi compresi quelli risultati contaminati, nonché misure consistenti nel successivo trattamento delle acque emunte;

2) di presentare entro trenta giorni un progetto di bonifica della falda.

In via preliminare va respinta l’eccezione della difesa erariale, di inammissibilità per genericità del (secondo) motivo di ricorso, nella parte in cui è incentrato sul difetto di istruttoria e di motivazione della prescrizione che ha imposto alla ricorrente di realizzare un sistema di pozzi di emungimento. La doglianza de qua, infatti, è tutt’altro che generica, facendo essa riferimento agli oneri economici cospicui che deriverebbero alla ricorrente dall’esecuzione delle opere richieste – come da relazione tecnica allegata al ricorso -, nonché al contrasto che sussisterebbe tra le prescrizioni impartite e le conclusioni dello studio di fattibilità commissionato all’I.C.R.A.M. (ora I.S.P.R.A.). Ne deriva che, in relazione al motivo in esame, l’onere di specificità deve ritenersi sufficientemente assolto, con il corollario dell’infondatezza dell’eccezione di genericità. In proposito si ricorda, infatti, che l’onere della specificità dei motivi deve considerarsi assolto ove sia possibile desumere dal ricorso la natura e la portata delle doglianze avanzate (pur se non siano indicati gli articoli di legge o di regolamento di cui si asserisce la violazione), mentre soltanto quando le censure non indichino, altresì, i principi violati e le ragioni per le quali la P.A. avrebbe dovuto adottare un atto diverso, si deve affermare la genericità assoluta del motivo così formulato, con conseguente declaratoria di inammissibilità (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 24 aprile 2007, n. 3679).

Venendo all’esame del merito del ricorso, osserva il Collegio che lo stesso è fondato e, per l’effetto, deve essere accolto.

Nello specifico, è fondato il primo motivo di ricorso, con cui la società ricorrente lamenta che la sua individuazione, quale soggetto obbligato alla realizzazione dell’intervento di messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.) ed alla presentazione del progetto di bonifica, è stata effettuata sulla base della sua qualità di semplice proprietaria dell’area, senza che sia stato accertato, a carico della ricorrente stessa, alcun profilo di responsabilità colpevole.

Come questa Sezione ha più volte avuto modo di affermare (cfr., ex multis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 5 marzo 2010, n. 594; id., 31 maggio 2010, nn. 1397 e 1398), sia la disciplina dettata con il d.lgs. n. 22/1997 (cfr. art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., nello stesso senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254). L’Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320). L’enunciato è conforme al principio "chi inquina, paga", cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto, confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006, dai quali si desume l’addossamento dell’obbligo di eseguire gli interventi di recupero ambientale, anche di tipo emergenziale, al responsabile dell’inquinamento, che può benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell’area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 594/2010, cit.). Va precisato, sul punto, che il principio "chi inquina, paga" vale altresì per le misure di messa in sicurezza di emergenza – quali sarebbero i pozzi di emungimento – come definite dall’art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Anche l’adozione di dette misure emergenziali è, infatti, addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).

Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del d.lgs. n. 152/2006 si ricava infatti che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso – e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448).

In senso difforme rispetto alle ora viste acquisizioni giurisprudenziali si è espressa la difesa erariale, la quale ha sostenuto, a proprio sostegno, che:

– la società ricorrente farebbe confusione tra autore materiale dell’inquinamento e responsabile dello stesso;

– nella direttiva n. 2004/35/CE e nell’art. 308 del d.lgs. n. 152/2006 verrebbe affermato il principio che la responsabilità finanziaria grava sull’operatore, la cui attività – non altrimenti qualificata – ha causato il danno o la minaccia imminente del danno;

– il rinvenimento di sostanze pericolose nell’insediamento produttivo della ricorrente integrerebbe la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., fondandosi la responsabilità del proprietario sul criterio economicogiuridico dell’internalizzazione dei costi derivanti dai danni, senza necessità di riscontro del dolo o della colpa nell’autore dei fatti;

– il criterio della responsabilità oggettiva si imporrebbe al fine di sollecitare il proprietario dell’area inquinata a svolgere attività di sorveglianza sul suo bene, pur senza coinvolgerlo in effetti dannosi estranei alla sua oggettiva possibilità di controllo;

– nel senso ora visto deporrebbero gli artt. 245 e 253 del d.lgs. n. 152/2006 (il primo, ove prevede il coinvolgimento del proprietario o gestore dell’area nei doveri di intervento, il secondo, nel chiarire che il proprietario ha vesti di garante economico dell’operazione);

– il richiamo al combinato disposto dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e degli artt. 2050 e 2051 c.c. si imporrebbe per configurare una responsabilità dei proprietari che siano al tempo stesso utilizzatori del sito, a carico dei quali sarebbe innegabile l’esistenza di una posizione di garanzia; né varrebbe alcunché l’affermazione che la contaminazione sia ascrivibile all’attività dei precedenti utilizzatori del sito (ovvero delle aziende limitrofe) – affermazione comune a tutte le aziende insediate in siti di interesse nazionale – in quanto le imprese subentranti non potrebbero invocare a proprio vantaggio il fatto che l’inquinamento sia da ascrivere a precedenti attività del sito, essendo consapevoli della situazione ambientale di questo;

– la riconducibilità della fattispecie all’art. 2051 c.c. sarebbe comprovata anche dal fatto che non è contestabile che l’odierna ricorrente abbia un effettivo potere fisico sulla cosa suscettibile di essere dannosa e che, più in generale, sussista una relazione di custodia tra il proprietario del sito e la cosa stessa;

– la responsabilità ex art. 2051 c.c. sarebbe configurabile per la posizione di garanzia riconnessa alla disponibilità del sito inquinato, che costituisce un’ulteriore fonte di inquinamento ove gli inquinanti non vengano contenuti o rimossi;

– altro criterio di responsabilità oggettiva utilizzabile nel caso di specie sarebbe (nel quadro della cd. analisi costi/benefici ambientali attesi) quella connessa all’attività di impresa, per cui gli operatori economici che producono e ritraggono profitti attraverso l’esercizio di attività pericolose, in quanto inquinanti o comportanti l’utilizzo di strutture contaminate, sarebbero tenuti a sopportare gli oneri per la tutela dell’ambiente: ciò varrebbe quand’anche la contaminazione fosse stata originata dalle pregresse attività, avendo il soggetto subentrato nella titolarità dell’area il potere di intervenire sulla fonte di pericolo;

– comunque, l’acquirente jure successionis del sito subentrerebbe nell’obbligo di bonifica di questo, in quanto il patrimonio del dante causa, cui è subentrato, sarebbe gravato da una passività costituita dall’obbligo legale di risanare l’area illecitamente trasformata;

– del resto la ricorrente si sarebbe mostrata consapevole della propria responsabilità e dell’obbligo a proprio carico di risanare l’area di sua proprietà;

– per altro verso, la ricorrente, non adottando all’inizio della propria gestione interventi di bonifica e risanamento del terreno, avrebbe contribuito alla produzione di un inquinamento finale di maggiore entità di cui risponderebbe, giacché il principio "chi inquina paga" le avrebbe imposto l’obbligo di intervenire onde contenere l’inquinamento ed evitarne la propagazione ad aree limitrofe;

– anche accedendo alla tesi esposta nel ricorso, opererebbe comunque un meccanismo di solidarietà passiva, come si desume anche dagli artt. 314 e 315 del d.lgs. n. 152/2006 (che individuano, quali responsabili tenuti in solido alla riparazione del danno ambientale, quanti hanno tratto vantaggio dal fatto dannoso): dunque la ricorrente, sia quale custode, sia quale concorrente responsabile in solido, sarebbe legittima destinataria delle prescrizioni impugnate;

– in definitiva, quindi, la P.A. si sarebbe conformata al principio di precauzione, che impone di dare prevalenza ai valori della sanità pubblica e dell’ambiente rispetto agli interessi economici, anche a mezzo dell’adozione di misure cautelari ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i pericoli indotti da un’attività potenzialmente pericolosa. Ciò, tanto più che il terreno ora in esame è ubicato all’interno del sito di interesse nazionale di Massa Carrara, la cui perimetrazione era conosciuta – o avrebbe dovuto esserlo – dalla ricorrente al momento dell’acquisto del terreno medesimo.

Nessuna delle argomentazioni ora esposte può, tuttavia, essere condivisa.

Vanno anzitutto respinte tutte le considerazioni basate sulla pretesa applicabilità alla fattispecie del regime di responsabilità civile stabilito dall’art. 2051 c.c., o dall’art. 2050 c.c.: ed invero, sin dalla vigenza del d.lgs. n. 22/1997, la giurisprudenza ha distinto il regime della responsabilità in materia di inquinamento dettato dall’art. 17 del decreto (e poi dal d.lgs. n. 152/2006) e quello di cui all’art. 2051 c.c.; in particolare, si è sottolineato che, per quanto riguarda il grado della colpa indispensabile per poter configurare la responsabilità del proprietario dell’area nella causazione dell’inquinamento, il d.lgs. n. 22/1997 non ha introdotto nessuna ipotesi di responsabilità aggravata analoga a quella ex art. 2051 c.c., e, pertanto, non ha imposto al proprietario uno specifico onere di prevenzione attiva o comunque un grado di diligenza diverso da quello dell’uomo medio o del buon padre di famiglia (v. T.A.R. Veneto, Sez. III, 26 luglio 2001, n. 2237). Per la medesima ragione, vanno altresì respinte le argomentazioni che evocano altri criteri di imputazione della responsabilità a titolo oggettivo (quale per es. il criterio del rischio d’impresa), giacché si tratta di criteri di imputazione comunque diversi da quello della responsabilità colpevole, sul quale si sono fondati il d.lgs. n. 22/1997 ed ora il d.lgs. n. 152/2006 (in applicazione del principio comunitario "chi inquina, paga").

Quanto, poi, alle ulteriori considerazioni, anzitutto negli atti gravati non si rinviene alcuna verifica, ad opera della P.A., della sussistenza di elementi di responsabilità colpevole in capo alla ricorrente, per cui si possa parlare di un concorso di colpa di quest’ultima nella causazione dell’inquinamento. Ed invero, né nella Conferenza di Servizi decisoria del 10 febbraio 2009, né tantomeno nel decreto ministeriale che l’ha approvata, si rinviene alcun tentativo di ricostruire un qualche comportamento dell’odierna ricorrente, che possa aver cagionato il (o concorso al) superamento dei valori limite per le sostanze nocive (manganese, tricloroetilene, ecc.) riscontrato in loco. Anche nella Conferenza di Servizi istruttoria dell’11 giugno 2008, la S. S.p.A. viene menzionata senza alcun riferimento ad eventuali sue condotte (attive o omissive) dolose o colpose, sicché deve giocoforza concludersi che essa sia stata evocata esclusivamente nella sua veste di attuale proprietaria del terreno interessato e dell’insediamento produttivo ivi ubicato. Nemmeno è comprovata la veste dell’odierna ricorrente di successore a titolo universale del soggetto (o soggetti) cui deve essere attribuita la responsabilità per l’inquinamento dell’area, ovvero un’identità soggettiva con tale soggetto (o soggetti). In ogni caso, resta fermo che, in disparte l’onere reale gravante sull’area medesima in base al combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del d.lgs. n. 152 cit., l’obbligo di bonifica è un peso che incombe non sul terreno, ma sul soggetto responsabile del suo inquinamento e, perciò, non potrebbe essere addossato all’acquirente del terreno stesso per il mero fatto dell’acquisto. Il predetto onere reale, che, come già detto, dà la possibilità alla P.A. di rivalersi delle spese sopportate per le opere eseguite nei limiti del valore dell’area bonificata, dovrebbe poi valere ad escludere fenomeni speculativi, quale quello che viene paventato dalla difesa erariale lì dove menziona la tendenza ad acquistare (evidentemente, ad un prezzo assai basso) terreni di cui è già noto l’inserimento nei cd. S.I.N. e cioè nei siti di bonifica di interesse nazionale.

Donde, in definitiva, la fondatezza della censura ora analizzata.

Risultano, parimenti, fondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso, nelle parti in cui sono volti ad evidenziare il difetto di istruttoria e di motivazione da cui sono affetti gli atti impugnati:

a) laddove impongono la realizzazione un intervento di messa in sicurezza di emergenza senza dare alcuna giustificazione circa l’esistenza dei presupposti – in specie, il carattere repentino dell’evento di contaminazione, ex art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152/2006 – che legittimano il ricorso a simili tipologie di intervento;

b) lì dove non approfondiscono la questione della compatibilità logica tra l’intervento prescritto (la realizzazione dei pozzi di emungimento e di un impianto di depurazione), con la sua tempistica e la sua onerosità, e la tipologia degli interventi di m.i.s.e. (v. T.A.R. Toscana, Sez. II, 14 ottobre 2009, n. 1540);

c) sotto il profilo della coerenza tra le prescrizioni imposte con gli atti gravati e le conclusioni alle quali perviene lo studio di fattibilità redatto dall’I.C.R.A.M. sulla base del paragrafo a) dell’allegato tecnico ("programma di interventi") all’accordo di programma sottoscritto il 28 maggio 2007 (v. all. 13 al ricorso).

Le violazioni evidenziate sono sufficienti, per il loro carattere assorbente, a determinare l’integrale accoglimento del gravame, restando assorbite le ulteriori censure. Per conseguenza, vanno annullati gli atti impugnati, nella parte in cui recano a carico della ricorrente le prescrizioni aventi ad oggetto la realizzazione di un sistema di pozzi di emungimento, con un impianto di trattamento delle acque emunte, e la presentazione di un progetto di bonifica della falda (v. lett. A) delle prescrizioni di cui al quattordicesimo punto all’ordine del giorno della Conferenza di Servizi decisoria del 10 febbraio 2009, p. 83 del relativo verbale).

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo a carico dei Ministeri dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico, della Salute, nonché dell’I.S.P.R.A., mentre vengono compensate nei confronti delle Amministrazioni non costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti con esso impugnati, nei termini specificati in motivazione.

Condanna indivisamente i Ministeri dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico, della Salute, nonché l’I.S.P.R.A. al pagamento, in favore della ricorrente, di spese ed onorari di causa, che liquida in via forfettaria in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila/00), più gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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