T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 06-07-2011, n. 1150 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 24 novembre 2009 e depositato il successivo 2 dicembre, la D. spa chiedeva l’annullamento, previe misure cautelari e conseguente risarcimento del danno, dei provvedimenti indicati in epigrafe, con i quali, da parte del Comune di Terricciola, era stata disposta Regolamento di Igiene concernente la disciplina per l’utilizzo dei fanghi in agricoltura nonché era stato pronunciato il diniego al transito in deroga per automezzi superiori a 10 t. su via delle Colline.

La ricorrente, specificando di essere primaria azienda nell’attività di spandimento fanghi in agricoltura e di effettuarla anche in una azienda agricola sita nel territorio di detto Comune, in piena conformità con la normativa nazionale e regionale vigente nonché con la relativa autorizzazione provinciale del 13 dicembre 2006, evidenziava che il Consiglio Comunale, con la impugnata delibera n. 13/2009, aveva imposto delle prescrizioni gravose, imponendo limiti non previsti nell’atto autorizzativo vigente, e che, il Settore Tecnico comunale, con l’altro provvedimento impugnato, aveva comunicato il diniego alla deroga di divieto di transito sulla strada, unica, che i mezzi della ricorrente dovevano percorrere per raggiungere l’azienda agricola su cui dava luogo allo spargimento.

La ricorrente, quindi, lamentava, in sintesi, quanto segue.

"I) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 99/92. Violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 l.r.t. 25/98. Violazione e falsa applicazione degli artt. 912 del DGPR 25.2.2004 n. 14/R. Violazione e falsa applicazione dell’art. 344, R.D. 1265/1934 – Incompetenza – Eccesso di potere. Sviamento. Difetto dei presupposti. Carenza di motivazione".

La deliberazione del Consiglio Comunale impugnata era relativa a materia sui cui il Comune era privo di potere provvedimentale, sia in base alla normativa primaria, di cui al d.lgs. n. 99/92 (di attuazione della direttiva comunitaria 86/278/CEE) ed alla l.r.t. n. 25/98, che individuavano la competenza esclusiva della Regione e/o delle Provincie., sia in base alla normativa secondaria, di cui al decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana n. 14/R del 2004, che confermava la competenza (per delega) alle Provincie.

Le prescrizioni contenute nella delibera comunale, quindi, andavano oltre quanto già regolamentato dall’ente competente e privavano, di fatto, l’efficacia dell’autorizzazione provinciale da ultimo rilasciata alla ricorrente nel 2006. Né poteva ritenersi che il Comune di Terricciola fosse intervenuto in materia di "igiene", perché, in realtà, esso aveva dettato norme in materia "ambientale", materia pure esclusa dalla sua competenze, nel solco di un tentativo di influire negativamente sull’attività di spandimento in questione che durava da tempo.

"II) Violazione dell’art. 5 l.r.t. 16/2000. Violazione del corretto procedimento. Violazione dei principi di efficienza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa ( art. 97 della Costituzione). Eccesso di potere per difetto di istruttoria per difetto dei presupposti e travisamento dei fatti".

In subordine, se pure fosse riconosciuta la competenza del Comune, la norma regionale imponeva che in materia di igiene e ambientale l’adozione di regolamenti locali dovesse essere obbligatoriamente preceduta dal parere dell’ASL competente, nel caso di specie non acquisito prima del riconoscimento di efficacia della delibera impugnata, in violazione anche dei principi di efficacia e buon andamento della p.a., limitando la consultazione degli organi tecnici ad un momento successivo e non specificando sotto quale profilo, nel territorio comunale, era rilevabile un delicato equilibrio ecologicoambientale tale da non tollerare lo spandimento di fanghi in agricoltura al fine di preservare la salute pubblica, in assenza anche di contestazioni da parte della popolazione locale.

"III. Violazione dell’art. 10 bis l. 241/90. Violazione del corretto procedimento. Motivazione illogica ed incongrua. Difetto dei presupposti. Violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata. Eccesso di potere per sviamento."

Il secondo provvedimento di divieto di transito era contraddistinto dalla violazione della norma procedimentale che impone la previa comunicazione dei motivi ostativi al fine di una completa partecipazione procedimentale dell’interessato. Inoltre era immotivata la decisione in quanto in precedenza la ricorrente aveva sempre usufruito del transito in questione provvedendo anche, ove necessario, alla manutenzione della strada medesima.

L’illogicità del diniego evidenziava, per la ricorrente, anche lo sviamento di potere, poiché in realtà lo stesso appariva dettato al fine di non consentire lo spandimento in questione.

In merito alla richiesta risarcitoria, infine, la ricorrente evidenziava il danno causato dal dover smaltire in altro modo, più oneroso, i fanghi in questione già in suo possesso.

Con l’ordinanza cautelare indicata in epigrafe, questa Sezione accoglieva la domanda cautelare.

In prossimità della pubblica udienza la ricorrente depositava una memoria ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 31 marzo 2011 la causa era trattenuta in decisione.

Con l’ordinanza collegiale pure indicata in epigrafe, questa Sezione concedeva a parte ricorrente un termine di trenta giorni, ai sensi dell’art. 73, comma 3, cpa, per depositare una memoria in ordine alla questione rilevata d’ufficio alla camera di consiglio decisoria dello stesso 31 marzo 2011, relativa alla tempestività dell’impugnazione della delibera comunale n. 13/2009, pubblicata all’Albo Pretorio comunale per trenta giorni consecutivi, dal 12 maggio 2009, in relazione alla data di notificazione del ricorso, del 24 novembre 2009.

La ricorrente provvedeva, depositando una memoria in data 12 maggio 2011.

Alla camera di consiglio decisoria del 17 maggio 2011 la questione era definitivamente delibata.

Motivi della decisione

Il Collegio, anche all’esame più approfondito della fase di merito, ritiene di confermare l’orientamento cautelare e di ritenere la fondatezza del ricorso, per quanto dedotto con i tre motivi di ricorso.

Preliminarmente, il Collegio ritiene di condividere il contenuto della memoria depositata ex art. 73, comma 3, cpa in ordine alla tempestività dell’impugnativa avverso la deliberazione di C.C. n. 13/2009. Il Consiglio Comunale ha infatti adottato il Regolamento di IgieneParte Ia Stralcio, il cui art. 2 precisa che lo scopo è anche quello di disciplinare in generale l’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura, ritenendolo concernente attività di recupero rifiuti. La deliberazione in questione, poi, specificava che il medesimo Regolamento non era stato dettato per vietare tale attività ma per disciplinarla in maniera più restrittiva e specificava, nelle premesse, che sarebbe stata avviata "…consultazione con la autorità competenti nel settore, nell’intesa che se dalle stesse, ed in particolare dall’Azienda U.S.L., non perverranno osservazioni configuranti dissenso nel termine di mesi quattro dalla notifica del presente provvedimento, il regolamento in parola si intenderà adottato in via definitiva, senza necessità di nuova sottoposizione al Consiglio Comunale".

Ebbene, il Collegio rileva che nei quattro mesi successivi la deliberazione poteva essere ancora modificata e quindi, che – in disparte ogni considerazione sulla legittimità di tale procedura, oggetto anche di specifica doglianza della ricorrente – la sua definitività non era ancora sancita, per cui solo un eventuale atto applicativo poteva essere considerato all’origine di una lesione alla sfera giuridica di una azienda interessata. Ciò è accaduto solo con l’impugnata nota del Responsabile del Settore Tecnico di diniego di permesso di transito in deroga in via delle Colline, che da quel momento ha impedito concretamente lo spandimento dei fanghi sull’azienda interessata.

Passando all’esame del merito del ricorso, quindi, il Collegio ne rileva la fondatezza.

Per quanto riguarda il primo motivo, orientato avverso la suddetta deliberazione di C.C., il Collegio concorda con le conclusioni giurisprudenziali richiamate anche dalla ricorrente, evidenziando che, in tema di protezione dell’ambiente, non sussiste alcuna competenza comunale in materia di disciplina dello spandimento di fanghi di depurazione in agricoltura, ai sensi del d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 99, ove la Regione abbia riservato a sé la materia e l’abbia ampiamente e compiutamente disciplinata, con la conseguenza, pertanto, che devono essere annullati gli strumenti di pianificazione regolamentare comunale, quali essi siano, nella parte in cui disciplinano il predetto profilo (TAR Lombardia, Mi, Sez. IV, 10.6.10, n. 1773 e 29.5.09, n. 3848, TAR Friuli, 3.5.10, n.299).

Nel caso di specie, quindi, il Comune di Terricciola non aveva alcuna competenza, ai sensi degli artt. 6, 7 e 8 d.lgs. n. 99/1992 e dell’art. 6, comma 1, lett. b), l.r. Toscana n. 25/1998, ad intervenire in materia

Né può condividersi quanto precisato all’art. 2 del Regolamento in questione, secondo cui lo spargimento dei fanghi costituirebbe "…attività di recupero di rifiuti, in ossequio al principio di cui all’art. 178 c.2 del D.Lgs 152/06, il quale prescrive che i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e senza causare inconvenienti da rumore o odore, senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, al fine di tutelare la salubrità dei luoghi e dell’aria", dato che la Regione Toscana, nell’ambito della sua potestà legislativa, con la l.r.25/1998, al relativo art. 7, non ha attribuito ai Comuni alcuna competenza in materia di rifiuti diversa dal servizio di gestione dei rifiuti urbani.

Né è indicata alcuna motivazione, sorretta da adeguata istruttoria, in ordine ad elementi oggettivi che facevano ritenere lo spandimento in questione come concretamente pericoloso per la salute degli abitanti sul territorio comunale, tanto che il coinvolgimento degli organi competenti, in particolare dell’ASL (ed eventualmente dell’ARPAT), è stato riservato ad un periodo successivo, con procedura alquanto singolare di concessione di un termine di quattro mesi per presentare eventuali "osservazioni".

Il Regolamento in questione, quindi, pur facendo formale riferimento a presupposti in materia di "igiene e sicurezza" specificava che lo stesso è dettato anche per evitare metodi che "potrebbero" (senza specificare se in concreto ciò accade) recare pregiudizio all’ambiente e causare inconvenienti da rumore o odori che potrebbero danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, al fine di tutelare la salubrità dei luoghi e dell’aria ma anche tale conclusione – in disparte ogni considerazione su come lo spandimento in questione possa danneggiare il paesaggio (rurale) di riferimento – non risulta sorretta da specifica istruttoria sulla eventuale insalubrità specifica dei luoghi. Sotto tale profilo, quindi, la delibera appare dettata più a tutela del turismo, laddove evidenzia il richiamo a "rumore o odori", senza così effettuare il dovuto bilanciamento degli interessi delle altre imprese, meramente agricole, pure presenti sul medesimo territorio comunale.

La carenza di istruttoria, quindi, rende il provvedimento comunale impugnato illegittimo anche per tale motivo.

Fondati sono, poi, anche il secondo e il terzo motivo di ricorso.

Infatti, in relazione al secondo, il Collegio rileva che il Regolamento non risulta preceduto dal parere obbligatorio dell’ASL competente, relegato ad iniziativa del Comune solo ad una fase successiva, meramente eventuale che non può essere considerata integrativa della necessaria istruttoria, data l’immediata efficacia della delibera di C.C. impugnata al termine della sua pubblicazione all’Albo Pretorio. Né la delibera in questione contiene motivazione in ordine a ragioni di particolare urgenza che avrebbero imposto una simile procedura, con acquisizione solo postuma del parere dell’ASL.

In relazione al terzo motivo, il Collegio rileva che, in effetti, non risultano comunicati i motivi ostativi che avrebbero permesso all’interessata un’efficacia partecipazione procedimentale, non potendo certo rientrare la decisione del Responsabile del Settore Tecnico tra gli atti vincolati che consentirebbero il richiamo all’art. 21 octies l.n. 241/90.

Inoltre, il provvedimento di diniego impugnato non appare sorretto da idonea motivazione, in quanto non è specificato – né risulta preso in considerazione – che finora la via delle Colline era sempre stata transitata dai mezzi della ricorrente, che provvedeva anche alla manutenzione della medesima, ove necessario (come attestato dalla relativa fatturazione depositata in giudizio).

La motivazione adottata, quindi, legata alle caratteristiche di "sottofondazione" del terreno argilloso ritenuto non idoneo a supportare carichi superiori alle dieci tonnellate, per possibile cedimento del terreno stesse e ostruzione delle fosse laterali, non tiene nel dovuto conto – e forse la comunicazione dei motivi ostativi avrebbe consentito all’interessata di ricordarlo e rappresentarlo nuovamente – che in precedenza la strada è sempre stata oggetto del passaggio dei mezzi della ricorrente, che la ricorrente si era sempre impegnata alla manutenzione, che tale ostruzione di fosse laterali non risultava verificatasi e, soprattutto, che il passaggio dei mezzi in questione, come da relative richieste di ottenere la deroga, non erano continui ma si limitavano ad un lasso di tempo normalmente di "circa 20 giorni", per cui la motivazione del provvedimento impugnato avrebbe dovuto anche specificare per quale ragione un passaggio limitato a circa 20 giorni poteva essere foriero delle paventate conseguenze, comunque su strada non soggetta a pubblico utilizzo costante ma diretta verso l’azienda agricola indicata.

Per quanto dedotto, quindi, la domanda di annullamento deve essere accolta.

In relazione alla domanda risarcitoria, il Collegio rileva che la ricorrente individua il suo fondamento nei danni originatisi nel periodo tra l’adozione di detto provvedimento dirigenziale, il 25 settembre 2009, e la pronuncia cautelare di questa Sezione che ne sospendeva l’esecuzione, del 16 dicembre 2009, ove la medesima ha dovuto sostenere maggiori oneri economici per il trasporto dei fanghi ed il relativo smaltimento.

Il Collegio rileva che sussistono i presupposti per l’individuazione dei presupposti necessari al riconoscimento del fondamento della pretesa della ricorrente, in quanto risulta che l’illegittimità del provvedimento fonte di danno non può trovare esimente, sotto il profilo soggettivo, da specifica difficoltà oggettiva di interpretazione della norma o da contrasti giurisprudenziali pendenti o da particolare complessità dei presupposti di fatto derivante anche da attività del danneggiato, per cui si individua la colpa della p.a. nell’adottare tale provvedimento palesemente illegittimo. Così pure è evidente il nesso causale tra il provvedimento e il danno subito.

Residua, quindi, la valutazione dell’entità del danno, il Collegio rileva che lo stesso, secondo la ricostruzione della ricorrente, ammonta ad euro 30.544,92, pari alla differenza tra il totale delle fatture di trasporto emesse nel periodo indicato e il costo che la D. spa avrebbe sostenuto per gli stessi carichi se il trasporto fosse stato effettuato per lo spandimento in Terriciola.

Sul punto, però, il Collegio osserva che asserisce di avere subito danni immediati, dalla stessa data del provvedimento impugnato, del 25 settembre 2009, ma rileva anche che la notificazione del ricorso è avvenuta solo in data 24 novembre 2009, evidentemente nel rispetto del termine di decadenza, in assenza di prova contraria offerta dalla parte intimata, ma ben lontano dalla immediata esecutività del provvedimento lesivo, che ben poteva essere eventualmente sospesa, anche con richiesta di decreto cautelare presidenziale monocratico.

In sostanza, il Collegio rileva che l’interessata ben poteva porre in essere iniziative consentite dall’ordinamento che le avrebbero permesso di evitare il danno paventato, o quantomeno ridurlo di molto.

Questa Sezione, in proposito, ha avuto modo di precisare che anche nel giudizio amministrativo può comunque ritenersi applicabile – d’ufficio e senza specifica eccezione di parte (Cons. Stato, Sez. VI, 17.3.10, n. 1555) – quanto previsto dall’art. 1227, comma 2, c.c., secondo cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (da ult.:Tar Toscana, Sez. II, 16.6.11, n. 1072; v. anche TAR Puglia, Ba, Sez. III, 14.1.11, n. 75; TAR Lazio, Sez. II ter, 6.5.09, n. 4743; Cons. Stato, Sez. VI, 9.6.08, n.2751).

Ebbene, appare evidente che se il danno lamentato dalla ricorrente è legato esclusivamente allo scorrere del tempo dopo la ricezione del provvedimento impugnato, quest’ultima avrebbe dovuto porre in essere tutte le cautele per far sì che il danno potenziale fosse immediatamente evitato, in particolare attuando la tutela cautelare che, già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104/10, prevedeva la possibilità di intervento immediato, anche "inaudita altera parte".

Infatti, in tema di risarcimento dei danni, la giurisprudenza ha evidenziato di recente che, anche ai sensi dell’art. 74 Cod. proc. amm., il dovere di evitare con l’ordinaria diligenza il verificarsi o il consolidarsi delle conseguenze dannose di una determinata condotta ingiusta è parte dei doveri di solidarietà sociale che informano il sistema ( art. 2 Cost.) e che impongono di valutare complessivamente la condotta tenuta dalle parti private nei confronti dell’Amministrazione al fine di evitare che le azioni risarcitorie siano fondate su danni riconducibili, nella sostanza, alla condotta del soggetto inciso da un provvedimento illegittimo (Cons. Stato, Sez. IV, 27.11.10, n. 8291; Sez. V, 19.10.09, n. 6395; TAR Lazio, Sez. II ter, 6.5.09, n. 4743).

Né può sostenersi che l’attivazione della tutela giurisdizionale è potenzialmente onerosa e, quindi, non rientra nell’ordinaria diligenza auspicabile in capo al danneggiato, in quanto è stato riconosciuto, con motivazione che il Collegio condivide, che l’orientamento secondo il quale l’onere di limitare il danno che incombe sul danneggiato ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c. non può estendersi fino all’esperimento di un’iniziativa costosa come l’avvio di una controversia giurisdizionale non appare adattabile alla connotazione dei rapporti amministrativi, tenendo presente che mentre nell’ambito dei rapporti privatistici chi ha provocato il danno ha l’obbligo di attivarsi per rimuovere le conseguenze del suo comportamento, per cui è ragionevole affermare che di norma la proposizione dell’azione da parte del danneggiato ha la sola funzione di evidenziare l’obbligo del danneggiante, in quello dei rapporti amministrativi – connotato dall’esecutorietà del provvedimento e, in forza della suddetta caratteristica, avendo l’Amministrazione l’obbligo di dare esecuzione agli atti dotati di tale forza giuridica – l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi non costituisce un obbligo, e anzi presuppone la valutazione discrezionale dei diversi interessi implicati; pertanto, è caratteristica propria del rapporto amministrativo il fatto che solo l’iniziativa del danneggiato possa far cessare l’effetto pregiudizievole e, quanto all’eccessiva onerosità dell’adempimento, occorre osservare che i provvedimenti amministrativi possono essere impugnati anche mediante lo strumento del ricorso straordinario, che non presuppone la necessaria assistenza di un avvocato ed è esperibile con adempimenti tributari di minore impegno, con possibilità di chiedere anche la tutela cautelare (Cons. Stato, Sez. IV, n. 8991/10 cit.).

Quindi, se nel caso di specie è individuabile, in astratto, dall’illegittimità del provvedimento dirigenziale impugnato una lesione della posizione giuridica soggettiva della ricorrente, in assenza dell’esimente generale dell’errore scusabile in ordine al requisito soggettivo almeno della colpa, neanche invocato dall’amministrazione intimata (sulla necessità, Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.06, n. 6607), quali giurisprudenza oscillante sul punto di diritto, difficoltà e non univocità dell’interpretazione del testo normativo o dei dati di fatto (C.G.A.R.S., 4.9.07, n.717), in concreto si rileva che in base agli elementi di fatto valutabili dal Collegio, risulta che la ricorrente avrebbe potuto evitare la maggior parte delle conseguenze dannose lamentate se solo si fosse attivata al più presto per ottenere almeno la tutela cautelare che l’ordinamento consentiva.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, poiché il ricorso risulta notificato solo in data 24 novembre 2009 e il provvedimento impugnato risulta conosciuto già dal 28 settembre 2009, il Collegio ritiene che la ricorrente non si sia attivata, pur nel rispetto del termine di decadenza, in maniera tempestiva per limitare il danno che dice di aver subito.

Inoltre, il Collegio constata che nella relativa documentazione depositata in giudizio si rinviene la fattura n. 147 del 31.12.09 con scadenza 15 marzo 2010, posteriore quindi, alla pronuncia cautelare di questa Sezione. Residuano, quindi, gli importi delle fatture n. 99, del 30.9.09, e n. 131, del 30.11.09, per un totale di euro 34.439,23, cui detrarre il costo che la D. spa assume sostenuto in precedenza per gli stessi carichi di euro 14.400,00, per un totale di euro 20.039,23, secondo la ricostruzione della ricorrente.

Dato però che tale cifra di euro 14.400,00 non si rileva dall’esame della documentazione depositata in giudizio, generica e non dettagliata sullo specifico onere di trasporto, e considerato quanto sopra dedotto in ordine all’applicazione dell’art. 1227, comma 2, c.c., il Collegio ritiene equo pervenire ad una liquidazione del danno patito pari ad euro 10.000,00.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto in relazione alla domanda di annullamento e parzialmente accolto in relazione alla domanda di risarcimento.

Le spese seguono la soccombenza del Comune intimato e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) accoglie la domanda di annullamento e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;

2) accoglie in parte la domanda risarcitoria e condanna il Comune di Terricciola a corrispondere alla ricorrente i danni patiti per euro 10.000,00.

Condanna il Comune di Terricciola a corrispondere alla ricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in euro 3.000,00, oltre accessori di legge e quanto versato a titolo di contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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