Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-02-2011) 01-07-2011, n. 25882

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza in data 12.2.2010, depositata il 28.4.2010, la Corte di appello di Perugia pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione sulla causa di revisione nei confronti di T.W. condannata, con sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno del 22.5.2005, irrevocabile il 21.9.2005, alla pena, sospesa condizionalmente, di mesi 2 e giorni 20 di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte offesa siccome riconosciuta colpevole dei reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 614, 581, 594 e 582 c.p., commessi in danno della sorella T.E., rigettava la richiesta revisione.

In precedenza la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza 23.1.2008, aveva accolto l’istanza di revisione proposta dalla condannata e, per l’effetto, aveva mandato assolta T.W. da tutti i reati ascritti per non aver commesso il fatto; la decisione, impugnata dalla parte civile e dal Procuratore Generale, era stata annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame con sentenza 13.1.2009 della Sezione 5^ della Corte di Cassazione.

La Corte di Appello di Perugia motivava la decisione di rigetto con richiamo al criterio indicato dalla corte di legittimità nella sentenza di annullamento, in base al quale dovevano essere valutate tutte le prove raccolte, sia in sede di revisione che di primo giudizio, ivi comprese le dichiarazioni, essenziali, della parte lesa e le stesse dichiarazioni della imputata.

2.- Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di T.W., avvocato Gianfilippo Elti Di Rodeano, adducendo a ragione la violazione dell’art. 192 c.p., comma 1, nonchè il vizio di motivazione per mancanza e/o manifesta illogicità e travisamento del fatto. Sostiene il ricorrente che le ragioni del rigetto della richiesta revisione, secondo l’elaborato argomentativo della Corte di appello di Perugia, si fondano su quanto dichiarato dalla persona offesa e, perciò stesso, non su tutte le prove raccolte in sede di revisione e nel corso dell’originario giudizio, come pure indicato dalla corte di Cassazione. Una disamina puntuale ed attenta avrebbe, infatti, portato ad evidenziare che non era tanto decisivo stabilire se T.W. era stata a casa della sorella quanto, piuttosto, accertare quando vi era stata, posto che la parte offesa aveva sostenuto di essere stata aggredita alle ore 11,15 del mattino, orario assolutamente incompatibile con quanto affermato dai testi nuovi, escussi in sede di revisione i quali, intervenuti come agenti di polizia sul luogo a causa dell’episodio di alterazione psichica di T.A., dichiaravano di aver sostato davanti alla abitazione di T.E., sul pianerottolo o ballatoio, dalle 10,35 sino alle 12,45 e che in quel lasso di tempo nessuno era entrato o uscito nella casa, tanto meno T.W.. Inoltre la non attendibilità della persona offesa palesemente evidenziata dalla ulteriore circostanza riferita dai nuovi testi i quali non sentirono l’urlo di dolore che T.E. affermò di aver lanciato nel corso dell’aggressione che, secondo quanto da lei riferito in dibattimento, sarebbe durata 8 o 9 minuti; riferì, inoltre, di essere uscita dall’abitazione dopo essere stata aggredita e di avere detto ai poliziotti che la sorella le aveva fatto male con la porta, circostanza questa pacificamente esclusa da quanto dichiarato dai due poliziotti che affermano, in sede di revisione, che la stessa uscì dalla abitazione senza dire loro niente e andò via tranquilla. Infine riguardo alle riscontrate lesioni della persona offesa, quali certificate in atti, e ritenute solido riscontro, la corte di appello disattende superficialmente qualunque possibile collegamento tra la causazione delle stesse e il grave stato di alterazione psicofisica nel quale si trovava il giorno in esame il fratello convivente di T.E..

3.- La parte civile, costituta a ministero del difensore avvocato Sergio Liberati, chiedeva il rigetto del ricorso.

4.- Il Procuratore Generale presso questa Corte, Dott. Giuseppe Volpe, ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

Motivi della decisione

5.- Il ricorso è inammissibile.

Con esso infatti sono proposte censure che solo apparentemente attengono a motivi di legittimità ed hanno, invece, essenzialmente natura di doglianze di merito perchè prospettano una rivisitazione delle risultanze probatorie già congruamente e compiutamente valutate dai giudici di merito.

Invero, la ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p., comma 1, non critica, in realtà, la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia – come nella specie – una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio univocamente indicative della fondatezza dell’originario giudizio di colpevolezza formulato nei confronti della ricorrente. Inoltre, mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, pure denunciate in ricorso unitamente alla violazione dell’art. 192 c.p.p., secondo la previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) devono risultare dal testo della sentenzio del provvedimento impugnati, per cui dedurre tale vizio significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione o palesemente illogico e non contrapporre alla logica valutazione degli atti, già effettuata dal giudice di merito, una diversa ricostruzione degli stessi.

Secondo la previsione normativa il controllo di legittimità riguarda la coerenza strutturale interna della decisione di cui deve verificare l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, pertanto, una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento del provvedimento, la cui valutazione spetta in via esclusiva al giudice di merito, non è consentita e non può, quindi, integrare vizio di legittimità la prospettazione da parte del ricorrente di una diversa valutazione delle risultanze processuali e probatorie ritenuta più aderente alla realtà (Cass. Sez. 4, Sent.

28 settembre 2004, n. 47891, Rv. 230568; Cass Sez. 6, sent 15 marzo 2006 n. 10951, Rv. 233708; Cass. Sez. 6, Sent. 16 gennaio 2008, Rv.

240056, Cass. Sez. 2, Sent. 25 settembre 2009 n. 40685).

E’, pertanto, esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito.

6.- Nel caso di specie la Corte di appello di Perugia ha motivato la decisione di rigetto della richiesta revisione con richiamo al criterio indicato dalla corte di legittimità nella sentenza di annullamento, in base al quale dovevano essere valutate tutte le prove raccolte sia in sede di revisione che di primo giudizio, ivi comprese le dichiarazioni, essenziali, della parte lesa e le stesse dichiarazioni della imputata.

Ha, quindi, congruamente proceduto alla analisi di quanto riferito dalla persona offesa che aveva affermato di essere stata colpita con un calcio dalla sorella, entrata in camera mentre ella era intenta a sistemare il letto, di essere stata oggetto di frasi ingiuriose da parte della medesima, la quale era, poi, uscita dalla camera chiudendo e trattenendo la porta in modo da impedirle di uscire a sua volta, per fare ciò T.W. strattonava più volte l’uscio, provocando a T.E., con l’ultimo e più violento strattone, le lesioni certificate in atti.

Secondo i giudici di merito le dichiarazioni dalla parte offesa sono credibili sia per il contesto nel quale i fatti erano collocati – l’accorrere di T.W. nella casa della sorella mentre il comune fratello, convivente con E. ed affetto da problemi psichiatrici, aveva un rumoroso diverbio con un vicino – sia perchè la vicenda si inquadrava nell’ambito degli annosi dissidi e rancori tra le due risultanti dagli atti.

Costituivano riscontro alle suddette affermazioni il tipo di lesioni refertate alla parte offesa, infrazione dello sterno e distrazione muscolare, e le dichiarazioni dei testi che notarono la presenza di T.W. sul posto, in particolare la teste S., e, soprattutto, le ammissioni dell’imputata nelle prime fasi della vicenda processuale, quando il 18.6.1999 nel corso di interrogatorio delegato, aveva riferito di essere andata presso l’abitazione della sorella E. – perchè attirata dalla voce del fratello, sofferente di esaurimento nervoso, che litigava con un vicino -, di essere entrata nell’abitazione perchè la porta era aperta e di aver visto la congiunta che stava tranquilla in camera senza intervenire a calmare il fratello. Queste prime dichiarazioni, con le quali T. W. ammise di essere entrata nella casa della sorella e aver avuto accesso alla camera di questa, secondo il logico argomentare della corte di appello, sono da ritenere più genuine rispetto a quelle rese successivamente al dibattimento, quando affermò di essersi limitata ad accedere al pianerottolo senza fare ingresso al domicilio della parte offesa. Si tratta poi, argomentano i giudici di merito, di dichiarazioni utilizzabili a fini di prova perchè acquisite agli atti ex art. 513 c.p.p., in quanto allegate al fascicolo del dibattimento all’udienza del 25.5.2001, quando T.W. si avvalse della facoltà di non rispondere, e poi confermate nella loro utilizzabilità allorchè, a seguito del mutamento del giudice, all’udienza del giorno 11.3.2005 le parti prestarono il loro consenso all’utilizzo di tutti gi atti precedentemente espletati.

La specifica valenza di riscontro delle dichiarazioni rese dall’imputata circa la sua presenza nell’abitazione della persona offesa e del loro comune fratello, era stata sottolineata dalla Corte di Cassazione, che aveva altresì evidenziato la non consistenza delle nuove prove addotte e, comunque, la non decisività delle dichiarazioni dei testi chiamati a riferire sul non rilevato, da loro, ingresso della T.W. nella casa della sorella nell’arco temporale nel quale i reati si sono consumati.

La Corte di appello di Perugia concludeva, quindi, con assoluta coerenza ed in aderenza al principio di diritto in tema di valutazione delle prove stabilito dalla sentenza di annullamento con rinvio della sezione 5^ di questa Corte, che le nuove prove proposte a sostegno della domandata revisione, raffrontate e soppesate unitamente all’altro materiale probatorio, non consentivano di rivedere l’originario giudizio di colpevolezza formulato in capo a T.W. con la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno del 22.5.2005. 7.- Per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida nella somma complessiva di Euro millecinquecento oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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