T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 06-07-2011, n. 1148 Annullamento dell’atto in sede giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 30 settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre, la D. di S.M. & C. Snc chiedeva l’annullamento, previe misure cautelari, oltre al conseguente risarcimento del danno, dei provvedimenti indicati in epigrafe.

La ricorrente ricordava di essere proprietaria di un area sita nel territorio del Comune di Pienza ove possedeva e gestiva, da decenni, un impianto di frantumazione, attivato giusto assenso edilizio del 14 agosto 1970, nella cui prossimità non sono presenti edifici di civile abitazione o a destinazione commerciale o artigianale. Su specifica domanda in cui era precisato che non si dava luogo all’installazione di nuove attrezzature o manufatti per dare luogo all’avvio dell’attività di recupero di inerti, risultava poi iscritta nell’Albo Regionale Gestori Rifiuti, ai sensi della normativa vigente, a partire dal 29 gennaio 2007.

La ricorrente ricordava anche che, in data 1 marzo 2008, il Comune di Pienza approvava il progetto di Piano Comunale di Classificazione Acustica, ove l’area di sua proprietà era collocata in parte in Classe V (aree prevalentemente industriali) e in parte in Classe IV (aree di intensa attività umana) nonché che il medesimo Comune, con delibera di C.C. n. 26 del 17 giugno 2008, approvava anche il Piano Strutturale comunale il quale, anziché recepire le indicazioni di cui alla classificazione acustica, classava l’intera area quale "Area Rurale", in Sottosistema degli Insediamenti Rurali, all’interno dell’UTOE n. 8Insediamenti Rurali, pur riconoscendo la sua destinazione di "Area estrattiva".

Tale (ritenuta) illegittima classificazione urbanistica – contestata con ricorso a questo Tribunale avverso la suddetta deliberazione di C.C. n. 26/08 – si rifletteva anche sulla continuazione dell’attività imprenditoriale. Infatti, su richiesta della Provincia di Siena, il Comune di Pienza comunicava di non poter esprimere parere di conformità urbanistico- edilizia già in data 24 dicembre 2007, in quanto, a suo dire, non risultava assentito alcun manufatto finalizzato all’attività di recupero rifiuti, anche perché tali attività erano ammissibili solo in zona artigianale- industriale. Seguiva una specifica diffida della Provincia all’interessata, riscontrata da questa con note procedimentali e, in assenza di riscontri da parte del Comune sollecitati dalla stessa Provincia, quest’ultima, previa comunicazione di avvio, dava luogo al procedimento di cancellazione dal registro di cui all’art. 216 d.lgs. n. 152/06 che culminava nella impugnata determina dirigenziale provinciale n. 106855 del 19 giugno 2009, ove si vietava il proseguimento delle attività di recupero di cui al provvedimento di iscrizione, per carenza di uno dei requisiti tecnici essenziali "…in quanto l’impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi non risulta realizzato nel rispetto delle norme urbanistiche ed edilizie di cui al parere del comune di Pienza…in data 24/12/2007;" e si comunicava che, con la medesima decorrenza, si procedeva alla cancellazione d’ufficio dell’azienda dal Registro di cui agli artt. 214216 d.lgs. n. 152/06, salva successiva nuova iscrizione a domanda nell’ipotesi di modifica e/o integrazione delle norme urbanistiche vigenti.

La ricorrente, quindi, lamentava, in sintesi, quanto segue.

"I. Violazione di legge. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 214 e 216 del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 4 della l.r. Toscana 1.12.1998 n. 89 come integrati dalla delibera del Consiglio Regionale n. 77/2000". Eccesso di potere per omessa, insufficiente e carente istruttoria. Errore sui fatti a base del provvedimento. Contraddittorietà ed illogicità dell’azione amministrativa

La circostanza per la quale l’impianto non era considerato realizzato nel rispetto delle norme urbanistiche ed edilizie, di cui al parere del Comune del Pienza del 24 dicembre 2007, non era condivisa dalla ricorrente, la quale ricordava che l’impianto di trasformazione inerti era stato assentito sin dal 1970 e che l’attività di recupero di rifiuti inerti non necessitava di alcun titolo autorizzatorio edilizio, essendo sufficiente una mera comunicazione di avvio attività. Inoltre, nel richiedere l’iscrizione ex artt. 214216 citt., la medesima aveva specificato di non avere dato luogo ad alcuna variante strutturale e/o infrastrutturale al preesistente impianto, come era stato d’altronde pure da lei specificato nella memoria procedimentale fatta pervenire alla Provincia dopo la comunicazione di avvio del procedimento.

La ricorrente, inoltre, riscontrava la contraddittorietà della nota comunale del 24 dicembre 2007 con altra del 14 novembre 2007, ove si esprimeva parere favorevole all’attività di frantumazione inerti, sia pure con riserva in ordine allo stoccaggio e recupero, e con il Piano di Classificazione Acustica comunale che individuava l’area in zone a destinazione industriale o prevalentemente industriale e/o artigianale, con prescrizione cui il medesimo Comune aveva l’obbligo di conformarsi, ai sensi dell’art. 7 l.r. n. 89/98, e secondo la destinazione dell’attività riconosciuta anche dall’art. 216 d.lgs. n. 152/06, che prende in considerazione non tanto la destinazione urbanistica, valida sotto un profilo meramente edilizio, ma quella funzionale, come riconosciuta anche dal Piano di Classificazione Acustica.

"II.Violazione di legge. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 e 6 della l. n. 447/1995 e s.m.i. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 4 della l.r. Toscana 1.12.1998 n. 89 come integrati dalla delibera del Consiglio Regionale n. 77/2000. Eccesso di potere per omessa, insufficiente e carente istruttoria. Errore sui fatti a base del provvedimento. Contraddittorietà ed illogicità dell’azione amministrativa ".

La ricorrente lamentava, in subordine, l’illegittimità del Piano Strutturale approvato dal Comune di Pienza, dato che non risultava l’obbligatorio adeguamento al Piano di Classificazione Acustica ed alle sue destinazioni. Inoltre, la destinazione interamente rurale dell’area della ricorrente appariva del tutto immotivata e illogica nonché priva di adeguata istruttoria.

La ricorrente concludeva la sua esposizione formulando anche una generica domanda di risarcimento del danno, con riserva di quantificazione in corso di causa.

Si costituiva in giudizio la Provincia di Siena, che chiedeva la reiezione del ricorso rilevandone l’infondatezza, come illustrato in una successiva memoria per la camera di consiglio.

Con l’ordinanza cautelare indicata in epigrafe questa Sezione disponeva la sospensione dell’esecuzione della nota dirigenziale del 19 giugno 2009.

In prossimità della pubblica udienza, entrambe le parti costituite depositavano memorie, anche di replica, ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi difensive. In particolare, la ricorrente, ai fini della quantificazione del danno asseritamente patito, faceva riferimento ad una perizia di parte depositata in giudizio, che individuava in euro 35.956,00 la somma da liquidare in suo favore.

Alla pubblica udienza del 31 marzo 2011 la causa era trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il Collegio, dopo l’esame delle memorie e dell’ulteriore documentazione depositata dalle parti, ritiene di confermare l’orientamento della fase cautelare, rilevando la fondatezza della domanda di annullamento.

Il Collegio osserva che la nota provinciale del 19 giugno 2009 fonda la sua determinazione, ai sensi dell’art. 216, comma 4, d.lgs. n. 152/06, richiamando la comunicazione del Comune di Pienza del 24 dicembre 2007 e la successiva corrispondenza tra la ricorrente, la medesima Provincia e il Comune di Pienza, laddove quest’ultimo però non aggiungeva ulteriori elementi, tanto che era concluso in detto provvedimento provinciale impugnato che "…ad oggi, non vi sono stati ulteriori sviluppi in merito e che "persistè la situazione di incompatibilità urbanistica dell’area su cui insiste l’impianto di recupero rifiuti".

In sostanza, quindi, la determinazione provinciale è stata assunta esclusivamente sulla base di quanto disposto dall’art. 216, comma 4, d.lgs. n. 152/06 richiamato nel provvedimento impugnato, il quale prevede quanto segue: "La provincia, qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall’amministrazione". A sua volta, il comma 1 ivi richiamato dispone che "A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3, l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti può essere intrapreso decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente…". L’art. 214, commi 2 e 3, poi, prescrivono e richiamano determinate indicazioni tecniche, il cui mancato rispetto nel caso di specie non risulta contestato. Residua, quindi, come confermato anche nelle difese dell’Amministrazione intimata, che il dirigente provinciale abbia ritenuto la dedotta non conformità urbanistica come mancata garanzia di "elevato livello di protezione ambientale", secondo la generica formula di cui all’art. 214, comma 1, d.lgs. cit.

Se così è, però, il Collegio concorda con quanto dedotto dalla ricorrente con il primo motivo di ricorso.

Infatti, nella nota del 24 dicembre 2007 – indicata come "parere" nel provvedimento provinciale impugnato ma preso a riferimento come presupposto vincolante del provvedere – è affermato che "…A questo Ufficio non risulta assentito alcun manufatto finalizzato all’attività di recupero rifiuti a qualsiasi titolo…", che "…l’area per quanto è stato possibile accertare dalla documentazione e pratiche e dai dati catastali in atti è in Zona Agricola "E3/A324’…è sottoposta ai seguenti vincoli e relative procedure…Si ritiene che le attività di recupero rifiuti siano ammissibili esclusivamente in zona artigianale/industriale e non agricola…".

Ebbene, il Collegio osserva che sul sito risultava però autorizzato un "impianto per escavazione materiali fluviali sul fiume Orcia", con nulla osta edilizio del 14 agosto 1970, e che la ricorrente, nel comunicare l’avvio dell’attività di recupero di inerti, aveva individuato questo come manufatto di riferimento, specificando di non apportare alcuna variante e/o infrastrutturale al preesistente impianto di frantumazione autorizzato a suo tempo nel 1970. Quindi l’assenso edilizio del Comune c’era stato a suo tempo né risulta che il medesimo Comune di Pienza abbia adottato alcun provvedimento, né tantomeno avviato alcun procedimento, nell’ambito dei poteri di vigilanza edilizia di cui al d.p.r. n. 380/01 e, prima, della l.n. 47/85, in ordine alla rilevata abusività di realizzazioni edilizie che, se pure – per quanto richiamato nelle sue difese dalla Provincia intimata – non sono soggetti a limiti temporali secondo la conclusione anche di questo Tribunale (Sez. II, n. 4883/10), devono pur essere esercitati se si vogliono porre alla base di una dedotta abusività.

Sostiene la Provincia nei suoi scritti difensivi che la realizzazione di un impianto di recupero di rifiuti rappresenta un’attività non sovrapponibile, sul piano urbanistico, all’attività di frantumazione di inerti ma tale affermazione – a parte ogni considerazione, per quanto sarà detto in prosieguo, in ordine alla confutazione delle osservazioni della ricorrente in corso di procedimento – non appare sorretta da alcun elemento specifico né risulta che il Comune di Pienza abbia mai concluso in tal senso. Ne deriva, quindi, che la conclusione cui è pervenuto il Comune, accolta dalla Provincia senza alcun ulteriore approfondimento istruttorio, è solo quella fondata sul ricordato comma 1 dell’art. 214, in ordine alla necessità di garantire un adeguato livello di protezione ambientale.

Tale livello di protezione ambientale, però, non può essere collegato automaticamente – ai fini di cui agli artt. 214 e 216 citt. – alla presenza di una modifica dello strumento urbanistico – tra l’altro contrastante con le conclusioni di cui al Piano acustico comunale – intervenuta dopo la realizzazione dell’impianto, regolarmente assentito a suo tempo e non oggetto di procedimenti di ingiunzione di demolizione, e l’avvio dell’attività di recupero, ai sensi del suddetto art. 216.

Nel caso di specie, quindi, e in tutti i casi in cui la realizzazioni di manufatti o la presenza di impianti sia regolarmente assentita secondo le norme "pro tempore" – a differenza dell’ipotesi di realizzazione posteriore – non può essere invocata la "tutela ambientale" di cui all’art. 214, comma 1, cit. come parametro astratto di legittimità (insito invece nell’ipotesi di realizzazione posteriore all’adozione di strumenti pianificatori contrastanti con detta realizzazione) ma deve essere svolta una approfondita attività istruttoria che dia conto, nella relativa motivazione in concreto – da far confluire nella precedente diffida e nel provvedimento finale – sulla lesione ambientale che si riscontra.

Nel caso di specie tale attività istruttoria e, conseguentemente, motivazionale, è mancata, essendosi limitato il dirigente provinciale a richiamare il "parere" del Comune di Pienza e ad affermare l’incompatibilità urbanistica senza indicare in concreto, visto che il manufatto esistente risultava regolarmente assentito e la modifica allo strumento urbanistico era intervenuta dopo l’avvio dell’attività ex artt. 214 e 216 citt., quale lesione ambientale si riscontrava, considerato che nella zona non sussistono civili abitazioni e zone a destinazione commerciale/artigianale, tanto che lo stesso strumento di pianificazione acustica aveva colto tale peculiarità, classificando le aree in Classe IV e V, e che la stessa ricorrente aveva comunicato alla Provincia, in sede di iscrizione nel Registro ex art. 216 cit., di non avere apportato alcuna ulteriore realizzazione.

In sostanza, come già anticipato in sede cautelare, anche sul piano sostanziale invocato dalla Provincia di Siena nella sua memoria per l’udienza pubblica, se l’incompatibilità urbanistica dell’impianto – mai sfociata comunque in provvedimenti inibitori comunali sul piano edilizio – non può legittimare l’esercizio dell’attività di recupero dei rifiuti ciò accade quando tale attività è iniziata (o il cui inizio è comunicato) posteriormente all’adozione dei relativi strumenti urbanistici.

Nel caso di specie invece, ove l’adozione/approvazione è stata posteriore, l’incompatibilità urbanistica doveva essere motivata in ordine alla specifica destinazione del territorio, collegata anche alla classificazione acustica che concludeva in senso contrario, ed alle conseguenze sulla salute umana e l’integrità dell’ambiente specifico.

L’assenza di tale approfondimento istruttorio e motivazionale, quindi, ha pregiudicato la legittimità del provvedimento dirigenziale provinciale impugnato, sotto il profilo dedotto con il primo motivo di ricorso.

Il Collegio ritiene comunque fondato il ricorso anche sotto il profilo della carenza di motivazione in relazione alla partecipazione procedimentale riconosciuta all’interessata, ai sensi dell’art. 10 e 10 bis l.n. 241/90.

La determina impugnata, infatti, si limita a richiamare le comunicazioni della ricorrente del 5 maggio 2008 e del 1 settembre 2008 in risposta alla "diffida" del 5 febbraio 2008, senza null’altro aggiungere in merito al loro contenuto ed alla loro eventuale confutazione.

Si ricorda, in argomento, che le norme contenute nell’art. 7 e ss. l. cit., in materia di partecipazione al procedimento da parte del cittadino, non devono essere applicate in modo meccanico e formalistico, non potendo la partecipazione stessa limitarsi a un mero simulacro, essendo invece necessario che, nello spirito che ha ispirato le disposizioni della legge n. 241 cit., le memorie, le osservazioni, i documenti e/o le audizioni dei cittadini incisi dall’adottando provvedimento siano stati valutati dall’Amministrazione e che di tale valutazione è necessario che vi sia traccia nel provvedimento finale, atteso che il giusto provvedimento cui tende la cultura della partecipazione non è quello che accontenti il privato, ma quello che assicuri l’effettivo conseguimento dell’interesse pubblico, motivando in ordine alle scelte effettuate anche in ragione degli interessi privati in gioco, per cui la partecipazione rifluisce necessariamente nell’obbligo di motivazione, fissato all’art. 3 stessa legge (Tar Campania, Na, Sez. I, 17.12.04, n. 19311; C.G.A.R.S., 27.4.98, n. 283).

La proposizione, solo in via subordinata, del secondo motivo di ricorso esime il Collegio dalla sua trattazione, vista la fondatezza, assorbente, del primo. Per mero tuziorismo, comunque, se ne rileva la tardività, in quanto tendente a contestare il contenuto (e a chiedere l’annullamento) del Piano Strutturale di cui alla delibera di Consiglio Comunale n. 26/2008, che risulta già pubblicata all’Albo Pretorio nei termini di legge, salvo l’esito del relativo ricorso pendente avanti alla Prima Sezione di questo Tribunale (ricorso n. 2190/2008).

Passando all’esame della domanda di risarcimento, il Collegio ne rileva invece l’infondatezza.

La ricorrente fonda la sua richiesta prendendo in considerazione il periodo di sospensione dell’attività di recupero, tra la ricezione del relativo provvedimento e la data di pronuncia cautelare di questa Sezione, secondo quanto indicato in una perizia di stima a firma di un Ragioniere Commercialista depositata in atti.

Nello specifico, si evidenzia l’errore nell’indicazione delle date di raffronto, ivi individuate dal Perito nel periodo tra il 19 giugno 2008 e il 6 novembre 2008, laddove l’indicazione esatta sarebbe quella del 19 giugno 2009 (data di adozione del provvedimento impugnato, anche se il medesimo faceva decorrere il divieto dalla data di suo ricevimento – non precisata dalle parti costituite – e non di sua adozione) e del 6 novembre 2009 (data della pronuncia cautelare).

Inoltre, il Collegio rileva che il metodo usato per chiedere la liquidazione dei danni, secondo quanto indicato in perizia, ha preso in considerazione "…i ricavi del periodo dal 19.06.2008 al 6.11.2008, pari ad euro 31.509,71 (periodo precedente) e i ricavi del periodo dal 19.06.2010 al 06.11.2010 per euro 27.646,69 (periodo successivo)". La perizia, comunque, concludeva in seguito richiamando correttamente le date del 19.06.2009 e del 6.11.2009 e individuando una media ponderata di ricavi pari ad euro 29.578,20, cui aggiungere spese per euro 3.878,00, secondo fatture depositate in copia, ed euro 2.500,00 per "risarcimento danni", inteso quale mancato sviluppo di investimenti dalla data del "5.2.2008" di ricezione alla diffida all’esercizio (nuovamente indicata in maniera erronea, in quanto la data era quella del "5.2.2009").

In ordine alle fatture allegate, il Collegio osserva che le fatture n. 233 e n. 290 della Soluzione Ambiente srl sono del 15 e del 30 maggio 2008, quindi anteriori alla data di adozione del provvedimento impugnato. Analogamente deve concludersi per la fattura n. 440 dello Studio Legale Associato, che fa generico riferimento a "Recupero rifiuti inerti Provincia di Siena" la quale è del 10 luglio 2008, così come del 31 ottobre 2008 è la fattura n. 610 della Soluzione Ambiente srl, entrambe date anteriori al provvedimento impugnato.

Residua la fattura n. 512 del 1 ottobre 2009, che fa riferimento generico a "Consulenze diverse effettuate dai ns. tecnici nel periodo lugliosettembre Contatti diversi con Provincia di Siena; incontro del 22/7 c/o Provincia con Sindaco; Ferrigno per ricorso; 29/7 incontro a Pienza con Comune; comunicazioni per avvocato; bozza protocollo; verifica requisiti minimi impianto inerti; contatti e comunicazioni per riapertura".

Sul punto, però, il Collegio rileva che la ricorrente asserisce di avere subito danni immediati, dalla stessa data del provvedimento impugnato, del 19 giugno 2009, ma rileva anche che la notificazione del ricorso è avvenuta solo in data 30 settembre 2009, evidentemente nel rispetto del termine di decadenza, in assenza di prova contraria offerta dalla parte intimata, ma ben lontano dalla immediata esecutività del provvedimento lesivo, che ben poteva essere eventualmente sospesa, anche con richiesta di decreto cautelare presidenziale monocratico.

In sostanza, il Collegio rileva che l’interessata ben poteva porre in essere iniziative consentite dall’ordinamento che le avrebbero permesso di evitare il danno paventato, o quantomeno ridurlo di molto, comunque evidenziato con formula equitativa data dalla media dei ricavi ponderati tra il 2008 e il 2010 per il medesimo periodo che appare alquanto empirica.

Questa Sezione, in proposito, ha avuto modo di precisare che anche nel giudizio amministrativo può comunque ritenersi applicabile – d’ufficio e senza specifica eccezione di parte (Cons. Stato, Sez. VI, 17.3.10, n. 1555) – quanto previsto dall’art. 1227, comma 2, c.c., secondo cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (da ult.:Tar Toscana, Sez. II, 16.6.11, n. 1072; v. anche TAR Puglia, Ba, Sez. III, 14.1.11, n. 75; TAR Lazio, Sez. II ter, 6.5.09, n. 4743; Cons. Stato, Sez. VI, 9.6.08, n.2751).

Ebbene, appare evidente che se il danno lamentato dalla ricorrente è legato esclusivamente allo scorrere del tempo dopo la ricezione del provvedimento impugnato, quest’ultima avrebbe dovuto porre in essere tutte le cautele per far sì che il danno potenziale fosse evitato, in particolare attuando la tutela cautelare che, già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104/10, prevedeva la possibilità di intervento immediato, anche "inaudita altera parte".

Infatti, in tema di risarcimento dei danni, la giurisprudenza ha evidenziato di recente che, anche ai sensi dell’art. 74 Cod. proc. amm., il dovere di evitare con l’ordinaria diligenza il verificarsi o il consolidarsi delle conseguenze dannose di una determinata condotta ingiusta è parte dei doveri di solidarietà sociale che informano il sistema ( art. 2 Cost.) e che impongono di valutare complessivamente la condotta tenuta dalle parti private nei confronti dell’Amministrazione al fine di evitare che le azioni risarcitorie siano fondate su danni riconducibili, nella sostanza, alla condotta del soggetto inciso da un provvedimento illegittimo (Cons. Stato, Sez. IV, 27.11.10, n. 8291; Sez. V, 19.10.09, n. 6395; TAR Lazio, Sez. II ter, 6.5.09, n. 4743).

Né può sostenersi che l’attivazione della tutela giurisdizionale è potenzialmente onerosa e, quindi, non rientra nell’ordinaria diligenza auspicabile in capo al danneggiato, in quanto è stato riconosciuto, con motivazione che il Collegio condivide, che l’orientamento secondo il quale l’onere di limitare il danno che incombe sul danneggiato ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c. non può estendersi fino all’esperimento di un’iniziativa costosa come l’avvio di una controversia giurisdizionale non appare adattabile alla connotazione dei rapporti amministrativi, tenendo presente che mentre nell’ambito dei rapporti privatistici chi ha provocato il danno ha l’obbligo di attivarsi per rimuovere le conseguenze del suo comportamento, per cui è ragionevole affermare che di norma la proposizione dell’azione da parte del danneggiato ha la sola funzione di evidenziare l’obbligo del danneggiante, in quello dei rapporti amministrativi – connotato dall’esecutorietà del provvedimento e, in forza della suddetta caratteristica, avendo l’Amministrazione l’obbligo di dare esecuzione agli atti dotati di tale forza giuridica – l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi non costituisce un obbligo, e anzi presuppone la valutazione discrezionale dei diversi interessi implicati; pertanto, è caratteristica propria del rapporto amministrativo il fatto che solo l’iniziativa del danneggiato possa far cessare l’effetto pregiudizievole e, quanto all’eccessiva onerosità dell’adempimento, occorre osservare che i provvedimenti amministrativi possono essere impugnati anche mediante lo strumento del ricorso straordinario, che non presuppone la necessaria assistenza di un avvocato ed è esperibile con adempimenti tributari di minore impegno, con possibilità di chiedere anche la tutela cautelare (Cons. Stato, Sez. IV, n. 8991/10 cit.).

Quindi, se nel caso di specie è individuabile, in astratto, dall’illegittimità del provvedimento provinciale impugnato una lesione della posizione giuridica soggettiva della ricorrente, in assenza dell’esimente generale dell’errore scusabile in ordine al requisito soggettivo almeno della colpa, neanche invocato dall’amministrazione resistente (sulla necessità, Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.06, n. 6607), quali giurisprudenza oscillante sul punto di diritto, difficoltà e non univocità dell’interpretazione del testo normativo (C.G.A.R.S., 4.9.07, n.717), in concreto si rileva che in base agli elementi di fatto valutabili dal Collegio, risulta che la ricorrente avrebbe potuto evitare le conseguenze dannose lamentate se solo si fosse attivata al più presto per ottenere la tutela cautelare che l’ordinamento consentiva.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, poiché il ricorso risulta notificato solo in data 30 settembre 2009, la documentazione depositata in giudizio riguarda fatture, tranne una, comunque generica, del 2008 e la nota di credito del 15 settembre 2010 fa riferimento a consegna di rifiuti avvenuta nel gennaio 2010 e non dal periodo immediatamente posteriore alla data di pronuncia cautelare di questa Sezione (6 novembre 2009), il Collegio non ritiene fondata la domanda risarcitoria per assenza dei necessari presupposti probatori, dato che – si evidenzia – il giudizio risarcitorio a seguito di lesione di interessi legittimi postula il superamento dei principi processuali classici modellati sullo schema del giudizio di impugnazione di un atto amministrativo; pertanto, al privato non basta la deduzione, in base al principio dispositivo con metodo acquisitivo, dell’illegittimità dell’atto, essendo necessaria, in base al principio dispositivo, la dimostrazione, ai sensi degli artt. 2697 Cod. civ. e 115 comma 1 Cod. proc. civ., degli elementi che consentano di concludere in senso a lui favorevole il giudizio sulla spettanza del risarcimento (Tar Lazio, Sez. II ter, n. 4743/09 cit.).

Per quanto dedotto, quindi, la domanda di annullamento deve essere accolta e, per l’effetto deve essere annullata la determina dirigenziale del 19 giugno 2009. Non devono annullarsi invece gli altri provvedimenti impugnati, in quanto la nota comunale del 24 dicembre 2007 è un mero "parere", come definito dalla stessa amministrazione provinciale nel suddetto provvedimento e come tale non lesivo, l’altra nota dirigenziale è una mera comunicazione di avvio del procedimento, pure non lesiva, e la delibera di C.C. di Pienza risulta già impugnata con altro ricorso pendente presso altra Sezione di questo Tribunale, come sopra evidenziato.

La domanda risarcitoria deve essere invece rigettata.

Le spese seguono la soccombenza sulla domanda di annullamento e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie in relazione alla domanda di annullamento e, per l’effetto, annulla la nota provinciale impugnata del 19 giugno 2009.

Rigetta la domanda risarcitoria.

Condanna la Provincia di Siena a corrispondere alla ricorrente le spese di lite, che liquida in euro 3.000,00, oltre accessori di legge e quanto versato a titolo di contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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