Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-06-2011) 04-07-2011, n. 26127

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 02.05.2011 il Tribunale di Napoli rigettava l’appello proposto nell’interesse di R.G., imputata dei delitti D.P.R. n. 309 del 1990, ex artt. 73 e 74 avverso l’ordinanza 09.02.2011 del Tribunale ordinario di Napoli, che ne aveva respinto l’istanza di scarcerazione per decorrenza, art. 303, comma 1, lett. b), ex n. 3, del termine triennale, in forza del raddoppio conseguente alla complessità del dibattimento di cui all’art. 304 c.p.p., commi 2 e 4 di durata della misura della custodia carceraria, decorrente dal rinvio a giudizio del 01.02.2008.

Rilevava in particolare il Tribunale che, pur essendo decorso il triennio, non erano maturati i presupposti per la cessazione di efficacia della misura non – come erroneamente ritenuto nella ordinanza reiettiva – per una sospensione disposta per una richiesta della difesa, sibbene in forza del periodo supplementare fino a sei mesi, applicabile nella specie in forza dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis e imputabile alla fase delle indagini preliminari.

Propone ricorso l’imputata a mezzo del difensore, deducendo che:

l’incremento di cui all’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis, non può comunque superare il limite di cui all’art. 304 c.p.p., comma 6;

nella specie era in ogni caso preclusa l’imputabilità del detto incremento alla fase delle indagini preliminari, in cui la custodia cautelare si era protratta dal 06.02.2007 al 31.01.2008.

Motivi della decisione

Il tema posto dal ricorso è quello della interpretazione da dare all’art. 304 c.p.p., comma 6, che, nella sua attuale formulazione, stabilisce: "La durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall’art. 303, commi 1, 2 e 3 senza tenere conto dell’ulteriore aumento previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis…".

Si tratta, in particolare, di stabilire se con l’espressione "senza tenere conto dell’ulteriore aumento previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis" il legislatore abbia inteso affermare che il "doppio dei termini" di custodia cautelare previsti dall’art. 303 c.p.p., commi 1, 2 e 3 costituisce una sorta di sbarramento finale della durata della custodia (comunque invalicabile ed insuscettibile di subire l’ulteriore aumento previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, n. 3 bis, lett. b) o se, invece, tale "ulteriore aumento" dei termini della custodia cautelare debba essere computato a parte ai fini della determinazione della durata massima dei termini di custodia cautelare e quindi possa essere aggiunto al raddoppio dei termini.

Le due interpretazioni antitetiche derivano dalla teorica possibilità di attribuire significati diametralmente opposti all’inciso "senza tener conto dell’ulteriore aumento previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis", come disposizione, cioè, intesa a precludere il computo, in aggiunta dei termini massimi di custodia, dell’ulteriore aumento previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis, ovvero come disposizione che legittima il computo a parte di tale ulteriore aumento, che può essere perciò aggiunto ai termini massimi di custodia.

L’esistenza di una situazione di obiettiva incertezza derivante dal lessico usato dal legislatore non vale a privare di significato e di valore altri dati testuali che devono, al contrario, essere oggetto di attenta considerazione per sciogliere le difficoltà interpretative poste dalla norma in esame.

In primo luogo va richiamata l’attenzione sulla formulazione rigorosa dell’incipit dell’art. 304 c.p.p., comma 6: "La durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall’art. 303 c.p.p., commi 1, 2 e 3", che sottolinea – attraverso l’uso dell’avverbio "comunque", chiaramente riferito alla durata complessiva della custodia cautelare – il carattere di limite e di insuperabile confine del "doppio" dei termini di custodia.

Si è qui di fronte ad una disposizione di ultima istanza, e perciò di chiusura del sistema, che – proprio perchè impiegata in un ambito delicatissimo come quello dei limiti temporali alla privazione della libertà personale – non può essere oggetto di letture riduttive da parte dell’interprete.

Ulteriore argomento in questa direzione si ricava, altresì, dal "contesto" e segnatamente dalla collocazione dell’inciso "senza tenere conto dell’ulteriore aumento previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis" nel corpo della frase, subito dopo l’enunciazione della "regola" in tema di durata massima della custodia, ove esso assume la funzione di chiarire che la regola stessa esclude l’adozione di ogni criterio di computo che (calcolando a parte l’ulteriore aumento derivante dal nuovo n. 3 bis) riduca la sua portata e la sua forza cogente.

Sul piano testuale, dunque, l’originaria incertezza collegata al lessico usato dal legislatore appare superabile mettendo in campo criteri e chiavi di lettura che inducono a interpretare la norma in questione come diretta a sterilizzare l’ulteriore aumento di custodia previsto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis ai fini del computo della durata della custodia disciplinata dall’art. 304 c.p.p., comma 6.

Sul diverso terreno del sistema e della ricostruzione delle finalità avute di mira dal legislatore, si può inoltre richiamare l’attenzione su di un dato di particolare rilievo.

Se è vero che il meccanismo di aumento dei termini di custodia – introdotto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis nei procedimenti per i reati indicati nell’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a) – è finalizzato ad incrementare, per tali gravi reati, i termini di custodia della fase che inizia con l’emissione del provvedimento che dispone il giudizio, non è meno importante evidenziare che tale risultato non è stato realizzato attraverso un aumento "assoluto" dei termini complessivi di custodia cautelare bensì grazie ad una tecnica di flessibilizzazione e bilanciata redistribuzione dell’aumento dei termini della fase centrale del processo tra gli altri termini di fase già vigenti.

Infatti l’aumento dei termini fino sei mesi di cui qui si discute deve essere imputato o ai termini della fase precedente, ove questi non siano stati completamente utilizzati, o ai termini di una fase successiva (quella di cui all’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. d) che risulteranno poi proporzionalmente ridotti.

Ciò implica che la ratio del "nuovo" art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis non risiede affatto (almeno in linea astratta e di principio) nel realizzare un incremento in assoluto del tempo della custodia cautelare per gravi reati ma solo nell’introdurre più flessibili condizioni di utilizzazione di un tempo di custodia complessivo che si è voluto mantenere invariato.

Se questa e la logica ispiratrice della nuova norma, è perfettamente coerente la "sterilizzazione" dei suoi effetti rispetto alla durata massima della custodia disciplinata dall’art. 304 c.p.p., comma 6.

In assenza di tale sterilizzazione, infatti, l’operazione di redistribuzione e di bilanciamento regolata dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b) n. 3 bis avrebbe rischiato di tradursi proprio in quell’incremento in termini assoluti del tempo di custodia che il legislatore ha accuratamente mirato ad evitare, adottando una tecnica di intervento improntata alla flessibilità.

Anche sotto questo diverso profilo, dunque emerge confermata l’interpretazione, ormai consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, che nega la possibilità di aggiungere il termine di sei mesi introdotto dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis a quelli complessivi e conseguentemente ribadisce che la durata massima della custodia ex art. 304 c.p.p., comma 6, non può superare in nessun caso il doppio dei termini stabiliti dall’art. 303 c.p.p., commi 1, 2 e 3 (cfr., fra le altre Cass. n. 34119 dell’8.8.2001; n. 8094 del 9.1.2002; n. 15879 del 2004, n. 34545 del 2007; n. 623 del 2010; n. 9990 del 2010).

Sulla base delle considerazioni sin qui svolte il ricorso deve essere accolto e bisogna annullare senza rinvio l’ordinanza impugnata e l’ordinanza del Tribunale ordinano di Napoli del 9 febbraio 2011 e ordinare l’immediata liberazione di R.G. se non detenuta per altra causa.

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, nonchè l’ordinanza del Tribunale ordinario di Napoli del 9 febbraio 2011, dichiarando cessata l’efficacia della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di R.G., della quale ordina l’immediata liberazione se non detenuta per altra causa.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p..

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