T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 06-07-2011, n. 1142Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. L’abbazia di Santa Maria di Praglia giace in un avvallamento, contiguo alle propaggini dei Colli Euganei, nel cui Parco regionale è compresa, insieme a buona parte del territorio del Comune di Teolo, in cui essa si trova.

B. In vista dall’Abbazia, ma già soprelevata rispetto a questa, e distante alcune centinaia di metri, è la proprietà di G.S. e R.B. (foglio 8, mapp. 60), imprenditori agricoli, i quali ottennero dal Comune di Teolo la concessione edilizia 3 maggio 2000, n. 61, e, ancor prima, il relativo nulla osta paesaggistico dell’Ente parco Colli Euganei, rilasciato il 19 gennaio 2000, costì realizzando poi, l’anno seguente, una costruzione su due piani destinata alla lavorazione ed alla vendita del vino, dopo aver demolito alcuni manufatti preesistenti, già impiegati come ricovero di animali e deposito per attrezzi.

C. L’Abbazia ha impugnato con il ricorso in esame sia la concessione che il nulla osta, affermando principalmente il loro contrasto con l’art. 33 delle norme tecniche d’attuazione del Parco dei Colli Euganei, adottato con deliberazione del consiglio dell’Ente parco dei colli euganei 6 maggio 1994, n. 1, ed approvato con deliberazione del consiglio regionale veneto, 7 ottobre 1998, n. 74: disposizione la quale prevedrebbe un divieto assoluto degli interventi di nuova costruzione e di ampliamento negli "intorni" delle "emergenze architettoniche" (questa la locuzione impiegata), tra cui va inclusa l’abbazia di Praglia.

D. Il ricorso è stato deciso una prima volta con la sentenza 17 dicembre 2008, n. 3877, che lo ha accolto, riconoscendo appunto tale contrasto.

E. Peraltro, l’atto introduttivo era stato notificato al solo G.S., e non anche a R.B., sebbene questa fosse cointestataria del permesso di costruire.

L’interessata ha allora presentato opposizione di terzo innanzi al Consiglio di Stato che l’ha accolta con la sentenza 15 luglio 2010, n. 4576, riconoscendo alla Boaretto la qualità di controinteressata pretermessa: per conseguenza, annullata la decisione opposta, la causa è stata rinviava al primo giudice, ricorrendo una fattispecie di difetto di procedura del giudizio di primo grado, ex art. 35, I comma, l. 1034/71.

F. A questo punto, fissata d’ufficio la nuova pubblica udienza davanti a questo Tribunale, l’Abbazia ha provveduto all’integrazione del contraddittorio nei confronti della Boaretto, con atto a questa notificato il 2 ottobre 2010.

L’interessata si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso principale; contemporaneamente, ha notificato alle parti già in causa ed alla Regione Veneto, un ricorso incidentale, avverso il ripetuto art. 33 e anche contro l’art. 28 delle n.t.a. del piano regolatore generale di Teolo, nel testo definitivamente approvato con d.g.r. 11 aprile 2000, n. 1621, che aveva recepito la prima disposizione.

G. L’Abbazia ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e la reiezione di quello incidentale, rilevandone comunque l’irricevibilità; il Comune e l’Ente Parco per la reiezione di entrambi i ricorsi; la Regione ha chiesto la reiezione del ricorso incidentale.

A sua volta, i controinteressati hanno preliminarmente eccepito la tardività del ricorso principale, ed hanno concluso per il suo rigetto, previo eventuale accoglimento del ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1.1. Nell’ordine, va anzitutto esaminata l’eccezione d’irricevibilità per tardività del ricorso principale.

I consorti Sgarabottolo – Boaretto rappresentano che i lavori approvati con la concessione edilizia 61/00 sarebbe iniziati il 27 aprile 2001, con la contestuale affissione del cartello di cantiere.

Il successivo 13 novembre un rappresentante dell’Abbazia chiese l’accesso agli atti del procedimento edilizio al Comune di Teolo.

Ne seguì il ricorso in esame, consegnato per la notificazione il giorno 11 gennaio 2002, e, dunque, entro il termine di legge, in scadenza il giorno seguente se fatto decorrere dalla data del primo accesso.

1.2. Peraltro, secondo i controinteressati, alla data del 13 novembre 2001, l’Abbazia di Praglia era da tempo a conoscenza dell’intervento edilizio eseguito dai signori Sgarabottolo, sia per l’avvenuta affissione, dal mese di aprile del 2001, del cartello di inizio lavori, sia per il fatto che i lavori stessi, all’epoca dell’accesso agli atti, si trovavano in fase di avanzata realizzazione e, comunque, già sicuramente ultimati all’esterno, nel mese di ottobre 2001, con la posa della copertura.

1.3. Questo, essendo nell’area interdetto qualsiasi intervento edilizio, avrebbe consentito di acquisire piena conoscenza dell’intervento e fatto già decorrere il termine per l’impugnazione, senza necessità d’attendere la conclusione dei lavori e conoscerne puntualmente le caratteristiche.

Anche l’affidamento ad un tecnico di fiducia dell’accesso agli atti confermerebbe definitivamente che l’Abbazia aveva da tempo percepito la potenziale lesività dell’intervento.

2.1. Orbene, la precedente sentenza, poi annullata in grado d’appello, si è già occupata dell’eccezione, osservando che "la prova della piena ed effettiva conoscenza della concessione edilizia rilasciata ad un terzo (e, quindi, anche delle corrispondenti autorizzazioni paesaggistiche) – da dimostrarsi in modo rigoroso da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione – deve intendersi concretata, in assenza di inequivoci elementi di segno contrario, non con il mero inizio dei lavori (o con l’apposizione delle prescritte insegne), ma solo con la loro ultimazione o, almeno, quando i lavori stessi siano giunti ad uno stato di avanzamento tale che non si possa avere più alcun dubbio in ordine alla consistenza, all’entità e alla reale portata dell’intervento edilizio assentito (giurisprudenza pacifica: cfr., ex pluribus, CdS, VI, 12.2.2007 n. 540)".

Nel caso, il controinteressato non avrebbe fornito "la prova rigorosa della piena conoscenza, da parte della ricorrente, del titolo edilizio in un momento antecedente a quello dedotto dall’interessata".

2.2. Questo Collegio condivide, in linea di principio, le precedenti considerazioni, ma deve peraltro tenere conto delle ulteriori argomentazioni e degli elementi istruttori introdotti dai controinteressati nella nuova fase del giudizio di I grado.

2.3. Anzitutto, invero, è bensì vero che, per la decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia rilasciata a terzi, l’effettiva conoscenza dell’atto si verifica quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera.

Cò normalmente accade al completamento dei lavori: vi fa peraltro eccezione il caso che venga provata una conoscenza anticipata o si deducano censure di assoluta inedificabilità dell’area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell’iniziativa in corso" (così, ex multis, C.d.S., IV, 10 dicembre 2007, n. 6342).

2.4. Il ricorso andrebbe dunque dichiarato tardivo, qualora i controinteressati fossero in grado di dimostrare che l’Abbazia – o, più propriamente, l’abate che la governa – aveva conoscenza dell’intervento, o poteva averla con l’ordinaria diligenza, anteriormente ai sessanta giorni precedenti la notificazione del ricorso: e non pare tale dimostrazione sia stata fornita, o possa essere fornita, anche nella nuova fase del giudizio.

2.5. Anzitutto, nulla prova una conoscenza effettiva dell’attività di edificazione, neppure l’affidamento dell’incarico per l’accesso, che resta comunque nel termine, ed attesta, al più, un dubbio sull’esistenza dell’intervento.

2.6. Quanto poi alla conoscibilità, non vi sono elementi univoci, i quali permettano di affermare che, ponendosi nell’area dell’Abbazia, un normale osservatore, prima del 13 novembre 2001, sarebbe stato in grado di percepire un intervento di "nuova costruzione ed ampliamento di strutture esistenti" sulla proprietà interessata: ad esempio, poiché costì preeesistevano dei manufatti, un’attività edilizia, anche se rilevabile, avrebbe potuto essere interpretata come di manutenzione o risanamento di quelli.

2.7.1. La stessa prova testimoniale capitolata dai comntrointeressati, del resto, non si riferisce alla percepibilità dell’intervento dall’abbazia, ma all’epoca in cui i lavori di costruzione del nuovo fabbricato erano in corso.

Circostanza questa, peraltro, non determinante, per quanto si è appena detto: ciò che basta a non ammettere la prova, perché irrilevante.

2.7.2. Vi è anche da aggiungere che, comunque, mediante la prova testimoniale in questione si vorrebbe appunto dimostrare che l’edificio era stato completato al grezzo nell’ottobre 2001, con un’approssimazione di pochi giorni rispetto al termine di ricevibilità del ricorso.

Invero, a distanza di dieci anni dagli accadimenti, senza mettere in questione la buona fede dei testimoni indicati, si possono ragionevolmente ritenere ex ante del tutto inaffidabili, secondo il prudente apprezzamento del giudice, le dichiarazioni che fossero rese sul punto, proprio per l’inconciliabilità tra il decennio intercorso ed i notori limiti della memoria umana.

3.1. Sempre in via preliminare, i controinteressati eccepiscono l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, rilevando come i provvedimenti impugnati non arrecherebbero alcun concreto pregiudizio alla ricorrente, la quale non indicherebbe la natura o la consistenza della lesione derivante dall’intervento: la vicinanza dell’Abbazia all’opera contestata dimostrerebbe, al più, la sussistenza della legittimazione ad agire, ma non quella di un concreto ed attuale interesse a ricorrere.

3.2. L’eccezione è infondata.

Invero, la situazione emergente nella fattispecie de qua, corrisponde a quella per cui, secondo la giurisprudenza prevalente, e comunque condivisa da questo Collegio, "il terzo ha titolo ad adire il giudice amministrativo quando esista una situazione soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con la zona coinvolta da una costruzione che, se illegittimamente assentita, sia idonea ad arrecare pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima, onde la qualifica giuridica di proprietario di un bene immobile confinante deve di per sé ritenersi idonea a radicare la legittimazione e l’interesse al ricorso, non occorrendo altresì la verifica della concreta lesione di un qualsiasi altro interesse giuridicamente rilevante" (così C.d.S., IV, 29 luglio 2009, n. 4756; conf., ex multis, IV, 31 maggio 2007, n. 2849).

3.3. Non ritiene dunque il Collegio di discostarsi sul punto dalla precedente decisione della Sezione, per cui "ferma ed incontestata… la legittimazione ad impugnare della ricorrente (derivante dalla vicinitas dei due fondi), il concreto interesse all’impugnazione deriva dal pregiudizio, oggettivamente sussistente – è, peraltro, oggetto della presente causa la ricomprensione o meno del denunciato pregiudizio entro i limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vincolistiche che tutelano la specifica zona – che la costruzione concessionata comporta al paesaggio".

4. Si deve ora esaminare il primo motivo del ricorso principale: e, ancora una volta, potrebbe essere sufficiente riprodurre la motivazione, favorevole alla ricorrente, contenuta nella sentenza 3877/08.

Vi si legge, invero, essere "fondato, invero, il primo motivo con cui la ricorrente afferma che il contestato intervento edilizio non poteva essere concessionato in quanto, ai sensi dell’art. 33, II comma del Piano ambientale Parco Colli Euganei, nell’area interessata dall’intervento stesso, ricompresa dal Piano negli "intorni delle emergenze architettoniche" (l’Abbazia di Praglia), sono inibiti, in particolare, "gli interventi edilizi….di nuova costruzione od ampliamento di strutture esistenti". Orbene, l’intervento assentito riguarda la realizzazione di un "nuovo annesso rustico" (cfr. la rilasciata concessione edilizia) disposto su due livelli, "a pianta rettangolare da ml 15.00×10.00 per un’altezza fuori terra di ml 6.00", previa demolizione di due manufatti monopiano aventi una superficie coperta di complessivi mq 118,72 (cfr. la relazione tecnicodescrittiva 29.9.1999 allegata alla richiesta di concessione: doc. 1 della ricorrente): evidente, dunque, che l’edificio concessionato si configura non solo come nuova costruzione, ma anche come costruzione in ampliamento (sia in termini di superficie che di volumetria) rispetto ai manufatti preesistenti, interdetta sotto entrambi i profili. Né potrebbe dubitarsi della prevalenza delle prescrizioni del Piano ambientale sulle norme urbanistiche del Comune: l’art. 6, I comma della LR n. 38/89, istitutiva del Parco Regionale Colli Euganei, ha stabilito, infatti, che il Piano ha valenza paesistica e "la sua approvazione comporta, quando si tratti di prescrizioni e vincoli, l’automatica variazione degli strumenti urbanistici, generali ed attuativi, in corrispondenza alle prescrizioni e ai vincoli approvati". Ciò significa, dunque, che il Comune di Teolo doveva valutare la conformità urbanistica dell’intervento in questione in relazione non già alle NTA del PRG vigente ed alle NTA della variante in corso di approvazione, ma all’art. 33 del Piano ambientale che esclude sia i nuovi interventi edilizi, sia gli ampliamenti degli edifici esistenti. (…) Analogamente viziato sotto il medesimo profilo della violazione dell’art. 33 delle NTA del Piano ambientale è anche il nulla osta paesaggistico rilasciato dall’Ente Parco: come si è detto, l’area interessata dall’intervento edilizio ricade all’interno del perimetro degli "intorni delle emergenze architettoniche" ove sono inibite le nuove edificazioni e gli ampliamenti delle costruzioni esistenti, sicchè è evidente il contrasto del predetto nulla osta con la richiamata norma urbanisticoambientale".

4.1. È evidente dalla motivazione che l’accoglimento della censura discende dalla previsione del ripetuto art. 33: avverso il quale, peraltro, la controinteressata Boaretto ha proposto ricorso incidentale sul cui interesse non v’è evidentemente, a questo punto, alcun dubbio.

4.2. La ricorrente principale, per vero, ne eccepisce la tardività, e la prova sarebbe costituita dal giudizio di opposizione di terzo, proposto dalla Boaretto innanzi al Consiglio di Stato ed accolto, come già si è detto, dal giudice d’appello, con rinvio al primo giudice, ex art. 35 l. 1034/71: disposizione, quest’ultima, secondo cui, tra l’altro, il giudice ad quem doveva fissare d’ufficio l’udienza pubblica, da tenere entro trenta giorni dalla comunicazione della sentenza con la quale si dispone il rinvio.

In specie, seguita l’Abbazia, l’udienza pubblica è stata fissata per il 16 dicembre 2010, ma "la conoscenza della pendenza di detto giudizio da parte della controinteressata Boaretto Renata deve farsi risalire quanto meno alla data del deposito della sentenza del Consiglio di Stato", avvenuta il 17 luglio 2010: da quel momento sarebbe sorto allora in capo alla controinteressata l’onere di proporre ricorso incidentale avverso il ripetuto art. 33 (oltre che, ma il profilo è subordinato, avverso l’art. 28 delle n.t.a. comunali).

4.3. L’eccezione non può essere condivisa.

Invero, la Boaretto ha proposto l’impugnazione nel giudizio d’appello ed in questo soltanto era conseguentemente parte, quale opponente e nei limiti della domanda di annullamento della prima decisione.

Essa non ha cioè così acquistato la qualità processuale di controinteressata ritualmente evocata in giudizio, ciò che avrebbe richiesto, ex art. 21, I comma, l. 1034/71, ovvero ex art. 27, II comma, c.p.a., l’integrazione del contraddittorio, innanzi al giudice di I grado, e previa autorizzazione di questo.

4.4. In questo processo, invero, tale integrazione è avvenuta con atto notificato il 2 ottobre 2010, e solo da quel momento la Boaretto è divenuta parte del giudizio pendente davanti al T.A.R., e sono cominciati a decorrere per lei tutti i termini processuali, incluso evidentemente quello per proporre il ricorso incidentale, secondo quanto previsto dall’art. 42, I comma, del c.p.a., e cioè entro sessanta giorni dalla ricevuta notificazione del ricorso principale; e poiché il ricorso incidentale è stato notificato a partire dal 1 dicembre 2010, il termine è stato senz’altro osservato.

5. Stabilito dunque che il ricorso incidentale è ammissibile e tempestivo, lo stesso va esaminato nel merito.

5.1. Invero, il ripetuto art. 33, prevede che "negli intorni delle emergenze architettoniche, riconosciuti nella tavola di piano, è escluso ogni intervento che possa pregiudicare la loro leggibilità e riconoscibilità o il loro apprezzamento paesistico. In particolare ciò comporta la conservazione dei grandi connotati naturali, delle masse arboree e degli spazi aperti, e l’esclusione di interventi edilizi e infrastrutturali di nuova costruzione od ampliamento di strutture esistenti, nonché di ogni intervento, anche agroforestale, che modifichi significativamente l’aspetto visibile dei luoghi o il loro rapporto con le emergenze interessate".

5.2. Ora, ritiene il Collegio come l’interpretazione letterale e logica della disposizione, conduca ad affermare che, per assicurare la leggibilità, riconoscibilità o lo "apprezzamento paesistico" per gli intorni delle emergenze architettoniche, siano costì esclusi, con presunzione assoluta, tutti gli interventi edilizi e infrastrutturali di nuova costruzione od ampliamento di strutture esistenti. La locuzione "che modifichi significativamente l’aspetto visibile dei luoghi o il loro rapporto con le emergenze interessate", per l’uso del verbo alla terza persona singolare, deve necessariamente essere riferita soltanto ad ogni intervento modificativo, anche edilizio, ma che non sia qualificabile come nuova costruzione ovvero come ampliamento.

5.3. Così confermata dunque la lesività della disposizione, si può procedere all’esame del secondo motivo del ricorso incidentale – il primo vorrebbe escludere, ma impropriamente e contro l’evidenza, la rilevanza paesaggistica della disposizione – rubricato nell’eccesso di potere per violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

La norma, secondo la ricorrente, violerebbe il principio di proporzionalità, per cui le prescrizioni imposte, pur potendo essere anche particolarmente penetranti, sono legittime solo nei limiti in cui tanto occorra per scongiurare una lesione dei valori oggetto di salvaguardia, siano adeguatamente motivate e venga dato conto dell’impossibilità di scelte alternative meno onerose per il privato.

L’imposizione di un vincolo di inedificabilità assoluta impedirebbe una valutazione in concreto dell’impatto dell’intervento sul territorio, così da vietare sia le opere che non incidono significativamente sull’intorno dell’emergenza architettonica, sia quelle che potrebbero addirittura migliorare il contesto ambientale, come nel caso in esame, dove a due preesistenti costruzioni degradate sarebbe stato sostituito un unico edificio perfettamente adeguato.

5.4. È inoltre da osservare, prosegue la ricorrente, come, di norma, l’esistenza di un vincolo paesaggistico non determini ex se l’inedificabilità assoluta dell’area, ma richieda soltanto che gli interventi siano preventivamente valutati e, se convenienti, autorizzati dall’autorità competente ai sensi dell’art. 146 d. lgs. 42/2004: né si potrebbe sostenere che gli interventi di nuova costruzione e di ampliamento alterino sempre e comunque lo stato esteriore dei luoghi.

5.5. Rileva da ultimo la Boaretto che la disposizione detta un regime unitario per tutti gli intorni delle emergenze architettoniche – in cui sono inclusi castelli, ville, conventi, abbazie, pievi, siti chiesastici e ruderi significativi di importanti insediamenti storici – senza porre alcuna distinzione a seconda delle caratteristiche proprie di ogni singola area da tutelare.

Ma, in tali limiti, la previsione sarebbe irragionevole, poiché, se un vincolo assoluto di inedificabilità potrebbe essere giustificato per alcune tipologie di emergenze architettoniche, per altre potrebbe costituire una misura del tutto sproporzionata, ponendo a carico del privato un sacrificio che può essere eccessivo ove, per le caratteristiche della zona, non sia effettivamente necessaria una tale restrizione; che potrebbe essere addirittura controproducente, come già si è detto.

6.1. La censura è fondata.

Invero, in materia di tutela paesaggistica, la legge fissa il principio, attualmente contenuto nell’art. 142 del d. lgs. 42/04, ma egualmente presente nella precedente normativa, a partire dalla l. 1497/39, per cui chi disponga, a qualsiasi titolo, d’immobili ed aree soggette a vincolo paesaggistico, non può "distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione", ed ha invece l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intenda intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbia ottenuta l’autorizzazione.

La norma, dunque, consente di introdurre modificazioni nelle aree vincolate, purché non rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione, affidando all’amministrazione competente una concreta verifica sullo specifico intervento.

6.2. La previsione di un indiscriminato divieto assoluto per la realizzazione di nuovae costruzioni, e, ancor più, d’ampliamento di strutture esistenti, contrasta dunque con i principi ordinamentali in subiecta materia, e, comunque, non è conforme ai principi di ragionevolezza e di proporzionalità, per le ragioni illustrate dalla ricorrente incidentale, poiché non consente, come ben riassume la Boaretto, "di tenere conto del tipo di intervento, delle caratteristiche della zona in cui esso è effettuato e del suo reale impatto sull’ambiente e sul paesaggio", potendo giungere ad esiti paradossali, negando opere minime accessorie, ovvero ricomposizioni volumetriche, così precludendo anche variazioni migliorative.

6.3. Il ricorso incidentale va dunque accolto e conseguentemente soppressa dall’art. 33, II comma, perché illegittima, la proposizione "e l’esclusione di interventi edilizi e infrastrutturali di nuova costruzione od ampliamento di strutture esistenti".

Va egualmente annullato l’art. 28 delle n.t.a. del p.r.g. del Comune di Teolo, per la parte in cui, recependo lo stesso art. 33, ha introdotto la medesima previsione nella disciplina urbanistica dell’Ente territoriale.

6.4. L’annullamento, così disposto, naturalmente non fa venir meno il doveroso controllo sulla compatibilità dell’intervento con le emergenze architettoniche: semplicemente, la verifica andrà compiuta in relazione alle ulteriori prescrizioni recate dalla disposizione e così, in particolare, da quella che esclude l’approvazione di qualsiasi intervento "che modifichi significativamente l’aspetto visibile dei luoghi o il loro rapporto con le emergenze interessate".

Del resto, l’Ente Parco – sia pure interpretando erroneamente la norma – già aveva ritenuto possibile procedere a tale verifica, ed aveva conseguentemente rilasciato ai consorti Sgarabottolo il nulla osta paesaggistico 19 gennaio 2000.

6.5. L’annullamento in via incidentale, per la parte d’interesse, dell’art. 33, II comma, evidentemente conduce questo Collegio ad assumere sul primo motivo del ricorso principale una determinazione di tenore opposto a quella contenuta nella precedente decisione: infatti, venuta meno la norma regolamentare di riferimento, cade il profilo d’illegittimità dei provvedimenti gravati, posto a fondamento della censura che va conseguentemente respinta.

7. L’altro motivo di ricorso è riferito specificatamente al nulla osta paesaggistico, ed è compendiato, tra l’altro, nel difetto d’istruttoria e di motivazione.

Il ricorso introduttivo rileva come, in tale provvedimento, l’Ente Parco si sia riferito alle sole disposizioni per piano ambientale, senza verificare "se l’intervento risultasse compatibile con le esigenze di salvaguardia dell’area vincolata".

7.1. In particolare, seguita il ricorso, non si sarebbe tenuta presente la destinazione dell’immobile, che è diretto alla produzione ed alla vendita di vino, né si sono considerate le implicazioni che detta destinazione comportano; egualmente, non si sarebbe dato il dovuto rilievo alla dimensione e all’ubicazione dell’immobile, situato nelle immediate adiacenze dell’abbazia, e da questa visibile.

7.2. Ne sarebbe derivata una valutazione sommaria dell’intervento, del tutto inidonea a garantire un’adeguata protezione dell’ambiente in cui si inserisce la nuova costruzione: per effetto del nullaosta si è costruito un immobile a due piani "per un utilizzo destinato a travolgere l’eventuale l’attuale assetto della zona, anche dal punto di vista del traffico, destinato a incrementare con le conseguenti ripercussioni sulla tranquillità dei luoghi oltre che del paesaggio".

7.3.1. Orbene, in disparte le ultime considerazioni sulla tranquillità dei luoghi, che evidentemente nulla hanno a che vedere con una valutazione paesaggistica, deve intanto il Collegio ricordare nuovamente come, ancora negli anni novanta del secolo scorso, esistessero sulla proprietà Sgarabottolo alcuni manufatti: in particolare, un ricovero di animali ed un deposito attrezzi agricoli, oggetto di condono edilizio.

7.3.2. Nel 1995 venne presentata dai proprietari una prima istanza di concessione edilizia, e di nulla osta paesaggistico, per sostituire i manufatti esistenti con un unico edificio su due piani.

Iniziò così un articolato procedimento durante il quale, nel 1996 l’Ente Parco effettuò un sopralluogo per verificare la compatibilità paesaggistica dell’intervento, cui seguì un primo nulla osta con prescrizioni 22 gennaio 1996, nel cui preambolo viene espressamente richiamato il piano ambientale del Parco, sebbene all’epoca soltanto adottato (sarebbe stato approvato dal consiglio regionale circa due anni dopo).

7.3.3. Peraltro, il Comune negò inizialmente la concessione, ritenendo eccedente la volumetria della nuova costruzione rispetto a quanto assentibile.

Solo dopo l’approvazione di una nuova più favorevole disciplina edilizia comunale – contenuta nell’ art. 24 delle n.t.a. – i proprietari poterono ripresentare sostanzialmente il primo progetto, che fu accolto con i due provvedimenti qui impugnati: il nulla osta del 19 gennaio e la concessione edilizia del 3 maggio 2000.

7.4. Ora, il nulla osta, in effetti, si limita a qualificare come compatibile con il piano ambientale l’intervento in questione, senza ulteriori specificazioni: tuttavia, diversamente da quanto afferma la ricorrente, le peculiarità della fattispecie escludono che lo stesso nulla osta richiedesse ulteriori puntualizzazioni.

7.5. Ciò è indirettamente confermato dall’inerzia della competente Soprintendenza, la quale, ricevuto il nulla osta, non l’ha annullato nei termini prescritti.

Inerzia che, va soggiunto, non assume uno specifico valore provvedimentale: per cui si può qui incidentalmente rilevare che il ricorso principale è inammissibile, per la parte in cui afferma d’impugnare il silenzio, serbato per il termine di legge, dalla Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici del Veneto Orientale.

7.6.1. Tornando al nulla osta, non si vede, in effetti, quale rilievo abbia la destinazione della costruzione a produzione artigianale e vendita di vino, giacché ciò non influisce certamente sulle caratteristiche esterne del fabbricato, ed è comunque coerente con un territorio collinare in gran parte destinato a vigneto.

7.6.2. Ancora, le dimensioni del fabbricato, prima compendiate sub 4, nello specifico contesto sono contenute, così da non richiedere una specifica motivazione positiva. Nel complesso, l’edificio, di sobria ed anonima architettura rurale, non ha sicuramente pregiudicato – la documentazione fotografica e progettuale è in tal senso esaustiva -la leggibilità e riconoscibilità del contesto paesaggistico: esso si sostituisce, va rammentato, ad antiestetici manufatti preesistenti e condonati, realizzati con materiali eterogenei, anch’essi visibili dall’area dell’abbazia, da cui si scorgono peraltro svariate costruzioni prossime a quella in questione.

7.6.3. Va ancora ricordato, anche per quanto riguarda l’istruttoria, che, come già detto, un sopralluogo era stato costì effettuato già nel 1996, in relazione ad un progetto sostanzialmente identico, che l’Ente parco aveva approvato con prescrizioni, le quali non risultano essere state violate dall’edificio costruito, e confermano, d’altronde, la specifica attenzione dell’Ente all’armonizzazione dell’intervento con il contesto.

7.7. Gli elementi di fatto fin qui esposti costituiscono altrettante evidenze, che non era necessario esporre in una motivazione formale: sicché si può escludere, in relazione alle peculiarità della fattispecie, che il nulla osta sia affetto dal lamentato vizio di difetto di motivazione, la quale, in un provvedimento favorevole, sia pure di natura paesaggistica, va modulata in relazione alle concrete esigenze della fattispecie.

In conclusione, anche il secondo motivo di ricorso va respinto.

8. La complessità e l’incertezza delle questioni trattate conducono all’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul giudizio in epigrafe:

a) accoglie il ricorso incidentale, e, per l’effetto annulla parzialmente, secondo quanto precisato in motivazione, l’art. 33 delle n.t.a. del piano ambientale del parco regionale dei Colli euganei, e l’art. 28 delle n.t.a. del piano regolatore generale di Teolo;

b) rigetta il ricorso principale.

Spese integralmente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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