Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-11-2011, n. 24514 Garanzia per i vizi della cosa venduta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che C.A. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la s.r.l. Cormoran Design e C.I. F., chiedendo, nei confronti della prima, la riduzione del prezzo dell’imbarcazione Kingfisher 1000 per vizi al motore e allo scafo e, nei confronti di entrambi i convenuti, dichiarata la responsabilità aquiliana del C.I., la condanna al rimborso delle spese sostenute per le riparazioni necessaria ed al risarcimento dei danni alla persona e alle cose anche per il mancato uso del natante; infine, nei confronti del solo C.I., la condanna al pagamento del prezzo pattuito per la cessione ad esso convenuto di altra imbarcazione;

che i convenuti si costituirono, resistendo;

che su istanza dell’attore venne autorizzata la chiamata in causa della s.r.l. Motormare;

che il Tribunale di Roma, con sentenza in data 13 febbraio 2003, respinse tutte le domande;

che la Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 18 gennaio 2009, pronunciando sul gravame del C., ha cosi provveduto:

– ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della s.r.l.

Motormare;

– in parziale accoglimento del gravame, ha condannato la curatela del Fallimento della s.r.l. Cormoran Design a pagare al C. la somma di Euro 3.413,34, oltre rivalutazione monetaria ed interessi;

ed ha condannato il C.I. a pagare all’appellante la somma capitale di Euro 13.944,34, oltre interessi;

– ha regolato le spese di giudizio;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso il C.I., con atto notificato il 23 febbraio 2010, sulla base di un motivo;

che ha resistito, con controricorso, il C.;

che gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede;

che in prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dei principi vigenti in tema di ammissione e valutazione delle prove, violazione e falsa applicazione dei principi vigenti in tema di qualificazione e interpretazione del contratto, violazione e falsa applicazione dei principi vigenti in tema di onere della prova ex art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per l’omessa e/o insufficiente e/o erronea valutazione da parte della Corte di appello di Roma delle risultanze processuali emerse a seguito dell’istruttoria e della c.t.u. espletata nel giudizio di primo grado e delle regole vigenti in tema di ripartizione e attribuzione dell’onere della prova con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5;

che a conclusione della censura di violazione e falsa applicazione di legge, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "vero che non può essere pronunciata la condanna al pagamento di un prezzo di una cessione di un bene allorquando non siano stati provati dall’attore nè la natura nè l’oggetto del contratto, nè la determinazione del prezzo";

che a conclusione della censura di vizio di motivazione, il ricorrente prospetta il seguente momento di sintesi: "se sia carente o difettosa la motivazione espressa dal giudice di appello in ordine all’accoglimento della domanda di pagamento di un preteso corrispettivo per una vendita di un bene senza che sia stata fornita la prova degli elementi costitutivi della vendita e attribuendo al convenuto l’onere della prova negativa della infondatezza ed insussistenza di una pretesa creditoria non risultante da detto contratto";

che la complessiva censura è inammissibile;

che il motivo di ricorso è privo di un idoneo quesito di diritto, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c., rations temporis applicabile;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2363; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che nella specie il quesito di diritto formulato dal ricorrente è assolutamente generico, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie, tenuto conto che la Corte d’appello, lungi dall’invertire l’onere della prova, ha ritenuto raggiunta la dimostrazione che il C. avesse ceduto al C.I. l’imbarcazione Concorde al prezzo di lire 27.000.000, non avendo il convenuto contestato che tale fosse il corrispettivo della cessione, ma avendo dedotto, chiedendo di provare per testi la circostanza, di avere eseguito la prestazione mediante parziale pagamento in contanti e fornitura di accessori ed arredi per la barca (OMISSIS) acquistata dal C.;

che anche il quesito di sintesi, con cui si conclude la deduzione del vizio di motivazione, non coglie la ratio decidendi, perchè muove dalla premessa che non sia stata fornita la prova degli elementi costitutivi della vendita, laddove la Corte d’appello, con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, ha ritenuto che tale prova sia stata raggiunta attraverso lo stesso comportamento processuale del C.I.;

che pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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