Cons. Stato Sez. IV, Sent., 07-07-2011, n. 4072 Competenze e procedure amministrative

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’attuale appellante, M. G. e c. s.r.l., con un primo ricorso proposto dinanzi al Tar Liguria agiva per l’annullamento del PUC di Genova, oggetto della deliberazione del consiglio comunale 16 luglio 1997 n.74, 7 luglio 1999 n.85, del decreto del Presidente della Giunta Regionale 10 marzo 2000 n.44, della deliberazione del consiglio comunale 10 luglio 2000, n.90.

Tale strumento urbanistico interessava un immobile di proprietà del ricorrente, per la futura riorganizzazione degli impianti ferroviari di Voltri, limitandone gli interventi alla sola manutenzione.

Il giudice di primo grado, con la sentenza n.879 del 2004, considerato che nelle more del giudizio il CIPE aveva approvato il progetto preliminare delle opere ferroviarie di Voltri secondo la procedura stabilita dal Decreto Legislativo n.190 del 2002, con automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti, e considerato che i provvedimenti impugnati erano stati sostituiti dal progetto strategico di potenziamento ferroviario, dichiarava la improcedibilità parziale del ricorso originario, il quale veniva dichiarato invece inammissibile quanto alla proposta domanda risarcitoria.

Avverso tale sentenza viene proposto l’appello r.g.n.8129 del 2004, nel quale in sostanza si lamenta la erroneità della sentenza impugnata, nel punto in cui avrebbe ritenuto improcedibile il ricorso perché superato dai nuovi provvedimenti di approvazione, senza tenere conto che (pagina 8 dell’appello), essendo ancora pendente il termine per impugnare i nuovi provvedimenti, non verrebbe meno l’interesse alla caducazione dei precedenti atti, ritenuti sostituiti dai successivi.

Con altro motivo di appello viene dedotta la erroneità del capo di sentenza che ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria, in quanto il giudice avrebbe dovuto provvedere alla condanna adottando i criteri di cui all’art.35 comma 2 d.lgs.80 del 1998.

Si sono costituiti il Comune di Genova e la Regione Liguria, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Con tre distinti ricorsi proposti dinanzi al Tar Liguria la medesima parte ricorrente, proprietaria di un immobile insistente su area destinata dal progetto di riorganizzazione e potenziamento degli impianti ferroviari alla esecuzione dei lavori, impugnava: 1) la delibera Cipe avente ad oggetto ai sensi della legge 443 del 2001 il "Primo programma opere strategiche- Potenziamento infrastrutturale tratta ferroviaria Genova VoltriGenova Brignole" e gli atti antecedenti e connessi; (in sostanza il progetto preliminare) 2) la nota del Ministero dell’Ambiente che ha escluso la competenza statale sulla VIA relativa al progetto preliminare di tale opera; 3) la variante al PUC del Comune di Genova relativa al territorio urbano interessato dal progetto.

Il giudice di primo grado rigettava il ricorso con la sentenza n.347 del 2006, ritenendolo infondato.

Tale sentenza è stata fatta oggetto di appello r.g.n.8095 del 2006.

Con altro ricorso proposto dinanzi al Tar Liguria la medesima società ha agito per l’annullamento della deliberazione del 29 marzo 2006 con cui il CIPE ha approvato il progetto definitivo dei lavori da eseguire per il potenziamento della tratta ferroviaria Genova VoltriGenova Brignole, il cui tracciato attraversa il sedime di proprietà della stessa, comportandone quindi l’ablazione.

Anche tale ricorso è stato rigettato dal primo giudice con la sentenza n.373 del 2008, a sua volta appellata con il ricorso r.g.n.3636 del 2008.

Con i due ultimi appelli menzionati – r.g.n.8095 del 2006 e r.g.n.3636 del 2008, proposti rispettivamente avverso la sentenza 347 del 2006 e la sentenza 373 del 2008 del TAR Liguria, corrispondenti a grandi linee alla approvazione del progetto preliminare e del progetto definitivo dell’opera de qua – vengono proposti i seguenti motivi di appello, che consistono in sostanza nella riproposizione delle censure già proposte e respinte in prime cure.

Con il primo appello (r.g.n.8095 del 2006) si lamentano i seguenti vizi: 1) la mancata adozione della comunicazione di avvio del procedimento che avrebbe dovuto precedere la adozione della variante al PUC di Genova e la violazione degli obblighi di partecipazione al procedimento; 2) la illegittimità della nota del Ministero dell’ambiente, che ha ritenuto competente la Regione ad effettuare la Via in luogo della amministrazione statale (da pagina 18 a pagina 26 dell’appello) con tutte le conseguenze procedimentali; 3) la irragionevolezza delle scelte progettuali rispetto al sacrificio imposto al privato, consistente tra l’altro nella imposizione di interventi di sola manutenzione (pagina 30 dell’appello); 4) l’ omessa pronuncia in merito ad altra censura, che viene riproposta, che lamenta, nel progetto preliminare approvato dal CIPE, la mancanza di un sufficiente livello di individuazione delle aree impegnate dall’intervento, delle eventuali fasce di rispetto e delle occorrenti misure di salvaguardia.

In tale giudizio si sono costituiti R. F. I. spa, il Comune di Genova, la Regione Liguria, le amministrazioni statali (Ministero dell’ambiente, Ministero delle finanze, Ministero Infrastrutture e trasporti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, CIPE) chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato; le amministrazioni statali in via preliminare hanno dedotto la inammissibilità a causa delle modalità di proposizione delle censure, che si limitano a richiamare i motivi di primo grado.

Con l’altro appello (r.g.n.3636 del 2008 proposto avverso la sentenza n.373 del 2008) sono state proposte le seguenti censure: 1) illegittimità del provvedimento di approvazione del progetto definitivo, per violazione della regola (art. 4 D.Lgs.190 del 2002) che sancisce la inderogabile corrispondenza tra progetto preliminare e progetto definitivo; 2) viene lamentata la circostanza che siano state apportate numerose modifiche, che tra l’altro vengono elencate specificamente (pagina 12 dell’appello); 3) viene lamentata, oltre la mancanza di corrispondenza tra il progetto preliminare e il progetto definitivo, la mancanza delle garanzie partecipative, la consistenza degli aggiornamenti; 4) viene dedotta la illegittimità della nota del Ministero dell’ambiente, che ha ritenuto applicabile la VIA regionale in luogo di quella statale; 5) viene contestata la sentenza del primo giudice, laddove ha rigettato le censure proposte a causa delle adottate modifiche, in quanto esse riguardano il riassetto globale dell’opera, coinvolgono direttamente l’area dell’immobile di proprietà della parte appellante e quindi sussiste l’interesse a ricorrere; 6) viene riproposta la censura rigettata dal primo giudice, consistente nel difetto di comunicazione dell’avvio del procedimento, nel mancato rispetto del termine di trenta giorni tra la convocazione della Conferenza e lo svolgimento della medesima; 7) viene riproposta la censura di illegittimità della approvazione condizionata del progetto, in quanto non sono ammesse prescrizioni successive alla approvazione del medesimo; viene dedotto che almeno una parte delle inteferenze non è stata valutata ma demandata alla fase successiva del definitivo; ulteriore illegittimità consiste nel fatto che a sua volta il progetto definitivo rimanda al progetto esecutivo (pagina 26 dell’appello); 8) viene riproposta la censura con la quale si sostiene che non sussiste la indicazione degli elaborati nella delibera di approvazione del progetto definitivo; 9) viene riproposta la censura consistente nel sostenere la mancanza dello schema di contratto; 10) con altri motivi di appello (pagina 29 e seguenti) viene dedotta la invalidità derivata della approvazione del progetto definitivo in relazione alla invalidità degli atti presupposti (progetto preliminare, Via regionale e non statale, livello di definizione del progetto, difetto di comunicazione di avvio del procedimento sul progetto preliminare), la invalidità derivata della delibera del Consiglio Comunale di Genova n.64 del 2004, di recepimento in toto del progetto dell’opera ferroviaria approvato dal CIPE (pagina 33 dell’appello) e la illegittimità perché tale delibera comunale non è stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, non potendo sostenersi la natura ricognitoria dell’atto comunale, che comportava il vincolo preordinato all’esproprio; 11) viene lamentata la illegittimità delle scelte espropriative nel perseguimento dell’interesse pubblico; 12) con altro motivo di appello si sostiene la illegittimità della delibera comunale che decide che sono consentiti solo interventi di manutenzione senza cambio d’uso.

Con altri motivi (pagina 41 dell’appello) con richiami ai punti e ai numeri di cui alle censure proposte e rigettate in primo grado viene dedotta la illegittimità degli atti impugnati per mancato assenso della autorità portuale, trattandosi di demanio marittimo, la illegittimità degli atti ablativi, perché emergerebbe una carenza nella stima del valore (pagina 44 dell’appello) la inidoneità del valore di indennizzo (pagina47 dell’appello), la erroneità della condanna alle spese del giudizio.

Anche in tale giudizio si sono costituiti R. F. I. spa, il Comune di Genova, la Regione Liguria, le amministrazioni statali (Ministero dell’ambiente, Ministero delle finanze, Ministero Infrastrutture e trasporti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, CIPE) chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Alla udienza pubblica del 14 giugno 2011 le tre cause sono state trattenute in decisione.

Motivi della decisione

1.In via preliminare, vanno riuniti i tre appelli, per connessione sia soggettiva, trattandosi di cause tra le stesse parti, che di connessione oggettiva, essendo oggetto delle cause atti facenti parte di procedimenti amministrativi certamente connessi (piano urbanistico comunale comportante vincolo preordinato all’esproprio, approvazione di progetto preliminare e poi definitivo ad opera del CIPE, successiva variante comunale di recepimento).

2.E’ del tutto infondato e come tale da rigettare il primo appello (r.g.n.8129 del 2004), in relazione a entrambi i motivi proposti.

E’ infondato il primo motivo, con il quale si contesta il capo di sentenza che ha dichiarato improcedibile il ricorso originario, proposto avverso il Piano Urbanistico Comunale, nel frattempo sostituito dalla decisione relativa alle grandi opere e in particolare dalla approvazione in sede Cipe del progetto preliminare dell’opera in questione "tratta ferroviaria Genova VoltriGenova Brignole".

Parte appellante sostiene che la possibilità di impugnare per pendenza dei termini l’atto approvativo del progetto preliminare non elimina l’interesse a impugnare il precedente piano regolatore comunale.

Il rilievo è infondato.

Una volta che i precedenti atti siano stati superati da ulteriori atti e attività amministrative, che hanno avuto sostanzialmente una efficacia sostitutiva degli atti precedenti, la eventuale sentenza favorevole sarebbe "inutiliter data" perché riguardante atti oramai privi di efficacia lesiva.

Nella specie, l’interesse dell’appellante originario ricorrente, assoggettato ad atti ablativi a seguito della approvazione di un’opera pubblica, riguarda i soli atti che attualmente sono da ritenersi efficaci in relazione alla lesione del bene che lamenta.

I nuovi provvedimenti approvativi, che hanno sotto tale punto di vista – e cioè dei vincoli preordinati all’esproprio- completamente sostituito il precedente piano urbanistico comunale, escludono anche la possibilità di fare valere danni risarcibili in dipendenza del primo provvedimento sostituito (così Consiglio di Stato, V, 6 marzo 2006, n.1052).

L’appello è infondato anche in relazione al mezzo con il quale si sostiene la erroneità della sentenza, che anziché dichiarare la inammissibilità per genericità della domanda risarcitoria, avrebbe dovuto fare utilizzo degli strumenti processuali e dei criteri di cui all’art. 35 comma 2 del D.Lgs.80 del 1998, integrando in un certo senso la domanda attorea.

Infatti, la domanda risarcitoria era priva del benché minimo principio di prova ed era soltanto asserita in via del tutto generica, al di là della declaratoria di improcedibilità rispetto alla domanda di annullamento, che non consente di dimostrare la illegittimità dell’atto impugnato.

Costituisce principio pacifico di questo Consesso (così Consiglio Stato, V, 6 aprile 2009, n. 2143; V, 13 giugno 2008, n.2967) che in materia risarcitoria valga pienamente il principio dispositivo e la regola dell’onere della prova ( art. 2697 codice civile).

Pertanto, è inammissibile e comunque infondata la domanda risarcitoria formulata in maniera del tutto generica, senza alcuna allegazione dei fatti costitutivi (così Consiglio di Stato, V, 6 aprile 2009 su citato).

Quando il soggetto onerato della allegazione e prova dei fatti non vi adempie, per esempio, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone la impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito.

La medesima considerazione deve valere per la applicazione dell’invocato art. 35 comma 2, (che consente al giudice di indicare i criteri per la quantificazione da parte dell’autorità procedente) che non può certo elidere il principio dell’onere della prova.

3.Vanno ora esaminate le censure proposte con il secondo appello, che sono le seguenti: 1) la mancata adozione della comunicazione di avvio del procedimento che avrebbe dovuto precedere la adozione della variante al PUC di Genova e in sostanza la violazione degli obblighi procedimentali di partecipazione; 2) la illegittimità della VIA regionale in luogo di quella statale; 3) la irragionevolezza delle scelte progettuali rispetto al sacrificio imposto al privato, consistente tra l’altro nella imposizione di interventi di sola manutenzione; 4) l’omessa pronuncia in merito ad altra censura, che viene riproposta, che lamenta nel progetto preliminare approvato dal CIPE, la mancanza di un sufficiente livello di individuazione delle aree impegnate dall’intervento, delle eventuali fasce di rispetto e delle occorrenti misure di salvaguardia.

I motivi sono tutti infondati.

La tratta ferroviaria Genova Voltri – Genova Brignole, facente parte dell’asse ferroviario Ventimiglia – Genova – Milano è stata inserita nel primo programma delle opere pubbliche di carattere strategico per lo sviluppo del paese.

Il relativo progetto preliminare, redatto dalla R. F. I. s.p.a., è stato sottoposto ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 190 del 2002 all’esame della Regione Liguria e del Comune di Genova, ottenendo in entrambi i casi positivo riscontro.

Il Ministero dell’Ambiente ha escluso che per caratteristiche e incidenza dell’opera sul territorio, circoscritto entro i confini di quello urbano e metropolitano, la progettazione dovesse essere sottoposta a VIA statale.

Con deliberazione del 29 settembre 2003 il CIPE, a conclusione del procedimento, ha approvato il progetto preliminare.

Ai sensi dell’art. 3, comma 7, d. lgs. n. 190 del 2002 l’approvazione del progetto comporta "automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti ed adottati".

Quindi, la variante al PUC, adottata dal comune di Genova, per il territorio interessato dalla realizzazione delle opere, ed oggetto di specifica impugnazione, è (era) confermativa di un effetto giuridico (già) prodottosi ex lege.

Inoltre la Giunta del comune di Genova con deliberazione (n. 1361/03) dava atto che l’adozione della variante era finalizzata ad "una più completa partecipazione" degli interessati in ragione delle forme di pubblicità previste dall’art. 44 l.r. n. 36/97 per gli atti che comportano variante agli strumenti urbanistici vigenti.

In linea di principio ai sensi dell’art. 3 comma 3 d.lgs.190 del 2002 attuativo della legge n.443 del 2001, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, ai fini della approvazione del progetto preliminare, non è richiesta la comunicazione agli interessati alle attività espropriative prevista dall’art. 11 D.P.R. n.327 del 2001.

Nonostante tale principio, l’amministrazione comunale ha adottato, sebbene non obbligata, le forme di pubblicità partecipative connesse alla variante, a sua volta a valenza soltanto confermativa, integrando così l’eventuale mancanza partecipativa che, come visto, per volontà di legge è connessa alla procedura speciale sulla realizzazione in tempi rapidi delle opere strategiche.

Con riguardo quindi alla doglianza di mancanza di adeguate forme di partecipazione, il Collegio non può non rilevare, come fatto già dal primo giudice, che i singoli procedimenti nei quali si è articolata la progettazione e poi la variante, vanno visti e considerati nel loro complesso e non singolarmente, in modo da ritenere completamente soddisfatte le esigenze partecipative invocate.

D’altronde, come detto, la variante comunale era invero superflua e comunque meramente confermativa di un effetto giuridico già prodottosi, se vale la regola di legge per cui (art. 3, comma 3, su citato) l’approvazione del progetto per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, comporta "l’automatica variazione degli strumenti urbanistici vigenti ed adottati".

E’ infondato anche il motivo con il quale si lamenta la illegittimità della VIA, perché regionale invece che statale.

Per stabilire, ai fini della individuazione dell’ente competente in materia di VIA, se una determinata opera pubblica sia di rilevanza regionale o statale, occorre verificare se tale opera incida o meno su un perimetro circoscritto del territorio.

Come correttamente ha osservato il primo giudice, nella disciplina previgente al testo unico (o codice) ambientale di cui al d.lgs.152 del 2006 e modifiche e quindi come tale valevole rationetemporis- che oggi rinvia agli allegati ai fini della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni (articolo 7 che rinvia agli allegati alla parte seconda) – sia la normativa nazionale (art. 1 DPCM 10 agosto 1988, n.377) che quella regionale, fanno (facevano) riferimento ad un criterio ontologico strutturale e non già funzionale per stabilire la competenza sulla VIA.

Nella specie, l’opera incide su un ambito definito quale lo snodo ferroviario di Genova anche se vi è connessione con l’intera R. ferroviaria.

La rilevanza regionale scaturisce dal dato strutturale dell’incidenza sul perimetro circoscritto del territorio, che coincide con quello di una singola regione (in tal senso, per esempio, Consiglio di Stato, VI, 13 maggio 2002, n.2572).

D’altronde, l’appellante non ha argomentato in alcun modo uno specifico interesse alla VIA statale in luogo di quella regionale, che pure vi era stata.

Non sono stati evidenziati specifici profili critici della VIA regionale.

Deve ritenersi infondato anche il motivo con il quale si contestano le scelte localizzative, essendo principio pacifico in materia che la dislocazione delle scelte delle opere ferroviarie scaturisce dalla progettazione tecnica e tale scelta è sottratta ad ogni valutazione e sindacato qualora non sia manifestamente illogica o arbitraria.

E’ infondato anche il motivo di appello con il quale si lamenta il fatto che il progetto preliminare sia eccessivamente generico e non dia conto della individuazione delle scelte effettive, in quanto si tratta soltanto di problematica connessa al livello di dettaglio dei progetti (preliminare, definitivo, esecutivo).

4.Va ora esaminato il terzo appello (r.g.n.3636 del 2008).

Il Collegio osserva che sono da ritenersi infondati tutti i motivi con i quali si propongono i vizi di invalidità derivata, susseguente alla asserita illegittimità, in relazione all’atto di approvazione del progetto definitivo, così come le illegittimità di cui agli atti presupposti, in quanto questo Collegio giudicante le ha ritenute insussistenti, ritenendo al contrario legittimo l’operato amministrativo.

Sono altresì infondati tutti i motivi che in sostanza ripropongono, sotto diversa forma o anche nella medesima formulazione, i vizi già ritenuti insussistenti relativamente ad atti già oggetto di altra causa, come nel caso della nota del Ministero dell’ambiente che sottopone a Via regionale, e non statale, la valutazione di impatto ambientale.

Sono pertanto infondati, sulla base di quanto già considerato, i motivi riguardanti: la mancanza delle garanzie partecipative, la sottoposizione a via regionale piuttosto che statale, il difetto di comunicazione, la illegittimità della delibera comunale che, come visto, era meramente confermativa di quanto approvato in sede di CIPE.

Per tutti tali aspetti è sufficiente quanto già osservato nell’esame dell’appello r.g.n.8095 del 2006.

In ogni caso va ribadito che in realtà, l’art. 4 del d.lgs. 20 agosto 2002, n.190, esplicitamente separa la fase dell’approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica di rilievo nazionale da quella della espropriazione dei sedimi necessari alla sua realizzazione.

Si tratta di una previsione che ha natura acceleratoria della fase di studio necessaria per la realizzazione di infrastrutture ritenute essenziali per lo sviluppo della comunità.

In tale contesto il legislatore ha apprezzato in tale legge speciale in modo non irragionevole la comparazione degli interessi operata nel senso sopra esposto, prevedendo una fase progettuale a contraddittorio limitato, e ammettendo la partecipazione degli interessati nel momento ablatorio.

Sono altresì infondate tutte le censure con le quali si lamenta una diversità di dettaglio, peraltro fisiologica, da parte dei tre diversi livelli progettuali.

Invero, le censure di parte appellante sono anche intrinsecamente contraddittorie: da un lato si appuntano a contrastare una pretesa genericità del primo livello di progettazione; dall’altro lato, stigmatizzano la integrazione successiva, ritenendola indebita.

Come ha correttamente osservato il primo giudice, tra i due elaborati di progettazione preliminare e definitiva è ragionevole che emerga una differenza nella parte in cui la progettazione definitiva raccoglie i suggerimenti emersi nel corso della conferenza di servizi; si tratta di una integrazione che la normativa (artt. 18 e 25 D.P.R. 554 del 1999) e le fasi dei diversi livelli di progetto considerano fisiologica.

Infatti, non avrebbe avuto significato la previsione di distinti momenti e livelli progettuali, ove fosse stato fin da subito prevedere tutta la conformazione possibile dell’opera.

La normativa successiva, in piena aderenza alla normativa comunitaria, ha previsto (con modifiche introdotte dal decreto legislativo n.113 del 31 luglio 2007 all’art. 185 codice dei contratti pubblici) che l’opera pubblica approvata con progetto preliminare debba essere nuovamente sottoposta a valutazione ambientale, ove vi sia stata in sede di approvazione del progetto definitivo una sensibile variazione rispetto alla valutazione effettuata al momento del progetto preliminare e vi sia stata una significativa modificazione dell’impatto globale del progetto sull’ambiente, in conformità con le direttive in materia (85/337CE e 97/11/CE) che prevede che la valutazione ambientale debba coincidere con l’atto che autorizza alla realizzazione dell’intervento.

Sono pertanto altresì infondati tutti i motivi di appello che riguardano i seguenti profili: corrispondenza tra livelli progettuali, l’apporto di modifiche tra un progetto e l’altro maggiormente specificativo, la consistenza degli aggiornamenti e delle modifiche, a prescindere dalla vicinanza e dall’interesse a ricorrere di parte appellante (i cui immobili si trovano a decine di chilometri dalle modifiche apportate, come osserva il primo giudice), il profilo di approvazione condizionata del progetto rispetto alle prescrizioni successive e la integrazione ad opera del progetto esecutivo, la valutazione successiva delle interferenze.

E’ infondata la censura con la quale si deduce l’eccesso di potere e la carenza di istruttoria nelle scelte progettuali sul luogo di dislocazione dell’opera ferroviaria, censurabile, come detto, solo in caso di macroscopica illogicità o erroneità, invero non riscontrabile nella specie.

Sono parimenti infondati gli altri motivi, che sono i seguenti.

Non sussiste la asserita violazione del termine di trenta giorni tra la convocazione e lo svolgimento della conferenza di servizi, in quanto, al di là della considerazione che la parte appellante non ha superato il rilievo di inammissibilità per tardività evidenziato dal primo giudice, (pagina 15 della sentenza, la conferenza si era tenuta dal luglio al settembre 2005, mentre l’impugnativa è dell’aprile 2007), l’appellante non fa derivare, da tale asserita carenza procedimentale e formale, alcuna sostanziale conseguenza.

Sono infondate le censure con le quali si sostiene la mancanza della indicazione degli elaborati nella delibera di approvazione del progetto definitivo e dello schema di contratto: infatti, al di là dello specifico interesse a impugnare su tali asserite mancanze, è da ritenere che, per come prospettate in relazione all’interesse di parte appellante, esse, anche ove esistenti, in relazione agli atti approvativi dell’opera e all’interesse del potenziale espropriato, non siano superiori a mere irregolarità.

Con altro motivo di appello viene lamentata la illegittimità della delibera comunale che decide che sono consentiti solo interventi di manutenzione senza cambio d’uso.

Il motivo è infondato.

Tale doglianza in sostanza replica quella con la quale si contesta la illogicità della scelta del tracciato e che non può essere accolta; trattandosi di opera di grande importanza per l’interesse pubblico, l’adozione del tracciato è stata la più rispondente, deve ritenersi, all’interesse pubblico.

Conseguentemente e logicamente, la misura di salvaguardia consistente nell’inibire ogni opera eccedente la mera manutenzione si spiega perché derivante dalla dislocazione del tracciato.

Né può ritenersi che la adottata misura di salvaguardia non sia logica e proporzionata.

E’ infondato il motivo con il quale si lamenta il mancato assenso dell’autorità portuale, in quanto – pur superando i rilievi di tardività della impugnazione del verbale della conferenza di servizi e a prescindere dal profilo dell’interesse effettivo a ricorrere – da un lato non è dimostrata la certezza dell’utilizzo del demanio marittimo, che attrarrebbe la competenza della invocata autorità e dall’altro canto tale autorità non è stata utilmente evocata in giudizio, né in primo grado né in secondo grado.

Con riguardo ai motivi con i quali si contesta la illegittimità degli atti ablativi perché emergerebbe una carenza nella stima del valore e la inidoneità del valore di indennizzo, il giudice di primo grado ha rigettato tali doglianze, osservando che tali censure rientrano nella cognizione del giudice amministrativo adito solo quando sono rivolte a denunciare la illegittimità del piano finanziario allegato al progetto in questione, dovendosi altrimenti ritenere che la domanda relativa alla adeguatezza della stima e dell’indennizzo vadano proposte dinanzi al giudice ordinario e quindi alla corte di appello competente.

In realtà, come ha osservato la Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n.7 del 24 maggio 2007) la previsione dell’indennizzo, a differenza di quanto affermato dalla Adunanza Plenaria n.24 del 1999 e in linea con la evoluzione normativa, è considerato aspetto non incidente, neppure "in partequa", sulla legittimità dell’atto, costituendo questione patrimoniale da regolarsi eventualmente dinanzi al giudice civile.

Naturalmente, alla luce del rigetto di tutti i motivi di appello, del tutto destituita di fondamento è la contestazione del capo di sentenza sulle spese, che ha seguito il principio processuale della soccombenza nella lite.

5.Per le considerazioni sopra svolte, i tre appelli, previa riunione dei medesimi, vanno respinti.

A causa della complessità delle questioni trattate, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sui tre ricorsi in appello indicati in epigrafe, così provvede:

previa riunione dei tre appelli, li rigetta, confermando le impugnate sentenze.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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