Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-06-2011) 04-07-2011, n. 26089 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A L. e S.T. erano contestati i delitti di concorso in appropriazione indebita, per essersi appropriati dell’attività commerciale di ingrosso di autoveicoli nuovi e usati, nonchè di quattro autovetture, alienate a terzi denunciando falsamente lo smarrimento delle relative carte di circolazione, e di altre due, occupando il piazzale dove erano state parcheggiate, appartenenti a S.V., al fine di trame profitto; e di concorso in calunnia, in relazione alla falsa denuncia di smarrimento.

Con sentenza del 25.6-31.7.2008 il Tribunale di Torre Annunziata dichiarava gli imputati responsabili di entrambi i fatti, tuttavia riqualificando il delitto ex art. 646 c.p. in quello di cui all’art. 393 c.p..

La Corte distrettuale di Napoli l’11.11.2009 confermava l’affermazione di colpevolezza e la qualificazione giuridica dei fatti, in conformità alla prima sentenza, rideterminando in senso favorevole il trattamento sanzionatorio di entrambi gli imputati. In particolare, S.L. veniva condannata alla pena di due anni di reclusione, con pena base per il delitto di calunnia determinata in due anni, riduzione per le attenuanti generiche a un anno otto mesi ed aumento di quattro mesi per il reato sub A; per S.T. la pena era determinata in due anni otto mesi di reclusione, con pena base di due anni quattro mesi per la calunnia e aumento di quattro mesi per la continuazione con il reato sub A. 2. Ricorrono personalmente gli imputati, con unico atto, deducendo i seguenti motivi:

1- violazione degli artt. 521 e 604 c.p.p., perchè la riqualificazione avrebbe determinato una radicale immutazione del fatto, comunque non essendosi i ricorrenti potuti difendere nel giudizio di merito sul punto;

2- violazione dell’art. 368 c.p. e "travisamento del fatto", difettando l’elemento soggettivo della contestata calunnia, l’intento degli imputati essendo stato solo quello di ottenere il duplicato dei certificati, posto che questi non avrebbero dovuto essere nel possesso di S.V., che non ne sarebbe stato il titolare reale; la motivazione sarebbe comunque stata "insufficiente";

3- violazione dell’art. 191 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3 in relazione alla deposizione di S.V., che avrebbe dovuto essere esaminato ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p., essendo stato iscritto nel registro degli indagati in relazione alla ritenuta falsità di un contratto da lui prodotto in sede di denuncia;

precisano i ricorrenti che ciò di cui si dolgono è l’inosservanza della regola di giudizio di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 non essendo stato indicato alcun elemento di riscontro a quelle dichiarazioni, tale non potendo essere l’atto di querela, ai sensi dell’art. 51 c.p.p., comma 5;

4- violazione delle norme sulla determinazione della pena, per entrambi gli imputati, per l’eccessività di quella irrogata, e "richiesta di applicazione delle attenuanti generiche e dei benefici se concedibili" per S.T..

3.1 Sono fondati il primo e il terzo motivo in relazione al capo A, nei termini che seguono.

La Corte distrettuale ha ritenuto che, in relazione all’andamento dell’istruttoria dibattimentale ed all’essere lì emerso che effettivamente S.V. era intestatario solo fittizio "della gran parte di autovetture" e che lo stesso era stato vittima di violenza fisica volta ad impedirne l’accesso all’azienda, gli imputati erano stati messi nelle condizioni di difendersi adeguatamente anche con riferimento al diverso reato.

Ma questa Corte suprema ha insegnato (Sez. 6, sent. 3430 del 12.12.2008-26.1.2009) che "il giudice ben può dare al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica, senza con ciò incorrere nella violazione dell’obbligo di correlazione tra sentenza e accusa, a condizione, però, che il fatto storico addebitato rimanga sostanzialmente identico negli elementi strutturali della condotta, dell’evento e della posizione psicologica dell’agente. In sostanza, il potere del giudice del dibattimento di attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica deve essere esercitato nel rispetto rigoroso delle esigenze del pieno contraddittorio, in applicazione del principio costituzionale del giusto processo. Tale potere deve essere escluso se tra il fatto-reato contestato e quello che il giudice, alla luce delle emergenze processuali, ritiene di individuare sub specie iuris vi sia un rapporto di piena e irriducibile diversità, senza una matrice di condotta unitaria. E’ vero, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio in esame non si esaurisce nel mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, ma deve tenere conto anche dell’intero percorso processuale e della concreta condizione di difesa dell’imputato in ordine all’oggetto dell’imputazione".

Nel caso in esame, sono ben diversi gli elementi strutturali delle due fattispecie, nella loro connotazione oggettiva e soggettiva. La contestazione formale indica un fatto di appropriazione di un’attività commerciale e di singoli beni a fine di profitto. Il reato ritenuto in sentenza presuppone una controversia che può trovare soluzione davanti all’autorità giudiziaria ed una condotta di violenza sulle persone. Si tratta, sul piano formale, di due fatti, e conseguentemente di due fattispecie di reato, non solo non sussumibili l’una nell’altra, ma del tutto strutturalmente diverse.

In tale contesto, ed in assenza di una modifica dell’imputazione ad opera della competente parte pubblica, l’emergenza nel dibattimento, sia pure nel contraddittorio, di elementi fattuali riconducibili alla fattispecie di diversa struttura non può, per ciò solo, ritenersi sanare ogni difetto o vizio di contraddittorio. Per l’assorbente ragione che altro è esser messi nella condizione di difendersi rispetto ad una diversa qualificazione giuridica comunque riconducibile all’essenza strutturale (oggettiva e soggettiva) della fattispecie originariamente contestata, altro è poter attivare tempestive difese in ordine alla prova dei fatti, strutturalmente differenti e peculiari, che fondano la "nuova" e diversa fattispecie.

Basti pensare, nel nostro caso, al "fatto" violenza sulla persona:

del tutto estraneo alla struttura della originaria imputazione, solo se tempestivamente conosciuto nell’accusa formale permette, ad esempio, di introdurre prove orali o documentali volte a contraddirne la stessa esistenza storica. Nè potrebbe affermarsi che gli imputati e la loro difesa, appresa nel contraddittorio dalle dichiarazioni della persona offesa del "fatto violenza", avrebbero avuto l’onere di chiedere termine a difesa per eventualmente introdurre ulteriori prove. A ben vedere, proprio una soluzione interpretativa che rendesse necessario il ricorso ad uno strumento processuale (la richiesta di termine a difesa) tipico dei casi di contestazione nuova o diversa, ex artt. 516, 517 e 518 c.p.p., attesterebbe la non riconducibilità del contesto alla mera riqualificazione giuridica di un fatto sostanzialmente omogeneo.

Si aggiunga, che ancor più dopo l’ormai già consolidato insegnamento che impone il contraddittorio preventivo nel caso di possibile modificazione della qualificazione giuridica del fatto contestato (Sez. 6, sent. 45807 del 12.11-11.12.2008; Sez. 6, sent.

36323 del 25.5-18.9.2009; Sez. 1^, sent. 9091 del 18.2-8.3.2010; Sez. 6, sent. 20500 del 19.2-28.5.2000), sia pure con modalità e contenuti che possono essere anche differenti nelle diverse fasi, è indubbio che anche l’interpretazione sulla sussistenza o meno dell’omogeneità strutturale del fatto, che sola consente la riqualificazione giuridica, debba mantenersi particolarmente rigorosa.

Sussiste pertanto la nullità tempestivamente dedotta, quanto al reato di cui al capo A, sicchè la sentenza deve essere annullata limitatamente allo stesso, con restituzione degli atti al pubblico ministero di Torre Annunziata per l’ulteriore corso.

Tale annullamento assorbe il motivo terzo, tuttavia allo stato fondato nei termini che seguono: il motivo era stato tempestivamente dedotto alla Corte d’appello, che in effetti ne ha dato pure atto in sentenza (lett. c – dell’elencazione dei motivi proposti), salvo non trattarlo nella parte della motivazione che ha spiegato la propria decisione. E poichè l’eccezione risulta ancorata ad un contesto di fatto (la pendenza di altro procedimento a carico di S. V.) che deve essere verificato per poter valutare l’ambito ed il fondamento eventuale dell’eccezione stessa, ove il procedimento pervenisse ad ulteriore fase processuale il punto dovrà essere espressamente trattato dal giudice competente.

E’ assorbito, per quanto si dirà sub 3.3, il motivo sul trattamento sanzionatorio per il reato sub A. 3.2 Il secondo motivo è inammissibile. Bene i Giudici del merito hanno argomentato l’irrilevanza delle intenzioni ultime della condotta di falsa denuncia, essendo sufficiente ad integrare il delitto la consapevolezza della falsità del fatto denunciato e della sua idoneità ad attivare indagini. Per il resto le censure sono del tutto generiche e di merito, risolvendosi nella sollecitazione a diversa valutazione del materiale probatorio acquisito, preclusa in questa fase di legittimità.

Va precisato che l’incidentalmente accertata fondatezza del terzo motivo non rileva per questo capo di imputazione, posto che le dichiarazioni di S.V. non sono state richiamate nelle motivazioni dei Giudici del merito su questo capo B, nè tantomeno ciò è stato dedotto in ricorso.

3.3 Il quarto motivo è:

– inammissibile in ordine all’entità della pena di ciascuno degli odierni ricorrenti per il delitto di calunnia ed alle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. per il solo T., proponendo censure di merito e generiche;

assorbito, in ordine all’entità dell’aumento, per entrambi, per la continuazione relativa al reato sub A, dal corrispondente annullamento.

3.4 Ai sensi dell’art. 624 c.p.p., al rigetto del ricorso quanto ai motivi relativi al delitto di calunnia consegue l’irrevocabilità della condanna di entrambi gli imputati per tale reato e in relazione alla pena a ciascuno di essi applicata in relazione a tale reato (quindi, un anno otto mesi per L. e due anni quattro mesi per T.).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nonchè la sentenza di primo grado limitatamente al capo A e ordina la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica di Torre Annunziata per l’ulteriore corso.

Rigetta nel resto i ricorsi.
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