Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-06-2011) 04-07-2011, n. 26102 Cognizione del giudice d’appello capi della sentenza e punti della decisione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di I.A. propone ricorso avverso l’ordinanza del 20/11/2010 con la quale il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto l’appello avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di scarcerazione per decorrenza termini, pronunciato dal primo giudice.

Si ricostruisce in fatto che I. è stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere il 5/2/2007 per numerosi reati;

successivamente, a seguito delle acquisizioni delle accuse della parte lesa F., ricevette l’avviso di conclusioni indagini, contenente ulteriori contestazioni rispetto a quelle originarie, che venivano offerte alla conoscenza della difesa solo parzialmente, contenendo gli atti elementi omissati, cui è seguita la decisione di rinvio a giudizio intervenuta nel febbraio dell’anno successivo.

In data 5/2/2010 veniva emessa ordinanza di custodia cautelare sulla base delle dichiarazioni di F., contenute nelle parti omissate.

Ciò premesso in fatto si lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione alle disposizioni di agli artt. 297, 310 e 597 c.p.p..

Il Gip aveva concluso per la legittima emissione di plurime ordinanze, pur in presenza di connessione qualificata, nel presupposto della sopravvenienza degli elementi di fatto, costituiti dalla necessaria ricerca dei riscontri alle dichiarazioni accusatorie di F..

L’appello successivamente proposto si era incentrato sulla contestazione della sopravvenienza di elementi nuovi, non impugnando l’accertamento positivo della sussistenza della connessione, la cui inesistenza era stata invece posta a base, illegittimamente, della decisione di rigetto del gravame.

Richiamato il rilievo giuridico dell’accertamento di connessione, nel concreto si contesta sia l’elemento di novità e ed autonomia dei fatti contestati, di fatto escluso dallo stesso P.m. procedente, che provvide ad inserire le dichiarazioni di F. su episodi estorsivi subiti nel medesimo procedimento già instaurato, sia la possibilità giuridica per il giudice d’appello di intervenire con nuova valutazione su punto della decisione non oggetto di impugnazione.

Si contesta l’elemento di fatto della novità, posto dal Gip a sostegno della misura, osservando che quanto dichiarato da F. nelle parti omissate era stato già riferito dal coimputato T. dopo l’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., sicchè i riscontri alle dichiarazioni accusatorie erano sopraggiunti oltre un anno prima dell’emissione della nuova misura. In particolare si rileva lo sfasamento temporale tra la data indicata dai redattori della nota del 29/2/2008, coincidente con il deposito, che collocherebbe al medesimo momento l’approfondimento istruttorie e la data di effettivo accertamento che risulta dal verbale collocabile il 27/2/2008, data di redazione della medesima nota.

Si ritiene pertanto strumentale la discrasia emergente da tali date poichè il 28 si colloca il rinvio a giudizio di I. per le precedenti imputazioni. Analogamente doveva concludersi per l’intempestiva delega di indagine, rilasciata un anno dopo, sia pure su fatti già emersi; peraltro si osserva che nel primo procedimento vennero contestati reati sulla base delle dichiarazioni in chiaro di F., senza ricercare riscontri alle medesime. Richiamata la giurisprudenza di legittimità sul punto, si conclude per la strumentale separazione dei procedimenti e per l’errata individuazione di insorgenza della gravità indiziaria.

Inoltre, secondo la prospettazione difensiva, la gravità indiziaria non poteva connettersi esclusivamente alla ricezione dell’informativa, dovendo il Gip giustificare il quid pluris delle risultanze desumibili da tale atto, per giustificare il novum legittimante l’emissione del più recente provvedimento cautelare. Al contrario nella misura disposta successivamente il Gip non ha indicato i riscontri alle dichiarazioni di F. tra gli elementi indiziari, richiamando solo le sue affermazioni originarie, addirittura valorizzando a conforto delle dichiarazioni accusatorie riscontri preesistenti alle medesime. Ad analoghe conclusioni doveva giungersi per il capo L) in cui l’ipotesi d’accusa si fonda sulle dichiarazioni convergenti di T., intervenute nel gennaio 2008.

In ragione dei richiamati vizi si sollecita l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato. Preliminarmente deve osservarsi che la pronuncia non risulta viziata in rito, perchè emessa al di fuori dall’ambito del devoluto, per avere il giudice dell’appello diversamente concluso, rispetto a quanto articolato dal primo giudice, in ordine alla sussistenza di connessione oggettiva tra i reati contestati nei due provvedimenti restrittivi.

Costituisce principio interpretativo costante, autorevolmente sostenuto in passato (Sez. U, Sentenza n. 8 del 25/06/1997, dep. 03/10/1997 im. Gibilras. Rv. 208313), e ribadito anche in recenti pronunce (Sez. 3, Sentenza n. 28253 del 09/06/2010,dep.20/07/2010, imp. B., Rv. 248135) che la limitazione derivante dal principio devolutivo del gravame riguarda i punti della decisione impugnati, non l’articolazione motivazionale, rispetto alla quale il giudice d’appello conserva la sua ampiezza valutativa.

Ne consegue che nella specie sia stato rimesso al giudice, con il ricorso difensivo proposto ex art. 310 c.p.p., l’accertamento dell’intervenuta maturazione dei termini massimi di custodia cautelare, che devono essere computati sulla base della libera determinazione del giudice in ordine alla sussistenza concreta delle condizioni di cui all’art. 297 c.p.p. in punto di retrodatazione della decorrenza del termine iniziale; a ciò consegue che anche ove, come nella specie, il primo giudice abbia accertato la presenza di una sola delle due condizioni legittimanti, la retrodatazione del termine di decorrenza della carcerazione preventiva, non possa rimettersi al giudice d’appello solo l’accertamento della condizione ritenuta mancante in primo grado, ma l’intera applicabilità della disciplina invocata, con ampia possibilità per il giudice investito di rivalutare complessivamente gli elementi che permettono l’applicazione della disciplina invocata.

L’ampiezza della vantazione costituisce elemento connaturato al potere del giudice d’appello, per come definito dall’art. 597 c.p.p., ove in via generale è consentito al giudice del gravame dare una definizione giuridica più grave al fatto su cui viene sollecitata la sua cognizione, anche nell’ipotesi di impugnazione proposta dall’imputato, con l’unica conseguenza del divieto di reformatio in peius, che incide solo sulla parte dispositiva.

Pertanto deve considerarsi corretta la valutazione operata dal giudice d’appello in ordine all’insussistenza della connessione tra l’attività associativa contestata nella prima ordinanza e gli episodi estorsivi oggetto nella seconda, risultando evidente che ove, come nella specie, non risulti che le estorsioni costituiscano reati-fine del gruppo, già preveduti e voluti all’atto della composizione della compagine illecita, non possa sicuramente ravvisarsi il collegamento ideativo richiesto dall’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b).

Nè risulta fondata l’eccezione difensiva in forza della quale, essendo contenuti nell’avviso di conclusione delle indagini del precedente procedimento anche episodi di estorsione, ed essendo stata contestata in relazione alle estorsioni oggetto della seconda ordinanza, l’aggravante di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7, dovrebbe desumersi la connessione oggettiva richiesta dalla legge, poichè essa presuppone la prova della previa programmazione dell’attività estorsiva all’atto della costituzione dell’associazione illecita nella sua articolazione fattuale, laddove invece non solo ciò non risulta dedotto dalla difesa istante, che fa richiamo solo al dato, scarsamente significativo, dell’astratto titolo del reato, ma risulta correttamente essere stato escluso in fatto, poichè emerge evidente, dalla complessità del rapporto economico intercorso tra I. e la parte lesa, la natura sopravvenuta della complessa attività estorsiva realizzata tramite l’imposizione di illecita assunzione di personale extracomunitario, in ragione della sopraggiunta difficoltà di F. di far fronte agli impegni economici assunti con il ricorrente. La deduzione di insufficienza di motivazione sul punto risulta quindi infondata.

Il provvedimento impugnato motiva, in maniera articolata ed aderente alle risultanze, anche in relazione alla sopravvenienza degli elementi a carico di I. rispetto all’esecuzione della prima misura, poichè, se è pur vero che gran parte delle indicazioni fornite dalla parte lesa che hanno dato origine agli approfondimenti erano già acquisiti all’emissione del primo provvedimento restrittivo, risulta del tutto chiaramente che ad essi si siano aggiunte nuove sopravvenienze, costituite dalla ricerca dei necessari riscontri a tali accuse, e dall’intervento di nuove acquisizioni di prova.

Il dato risulta dall’ordinanza di primo grado, e può desumersi logicamente dalla complessità degli elementi di reato riferiti da F., che esigevano prima della configurazione di un’ipotesi di accusa idonea sorreggere una misura cautelare lo svolgimento di controlli su vaste attività economiche, della più varia natura, e di controlli amministrativi, approfondimenti che risultano tutti svolti in epoca successiva all’emissione della prima misura, ed i cui tempi di esecuzione non sono in alcun modo sindacabili ex post dal giudice, essendo correlato lo spazio temporale di loro esecuzione ai mezzi ed all’entità degli incarichi da cui risulta gravata l’autorità delegata agli accertamenti.

In argomento i giudici di merito hanno articolatamente esposto, e le loro affermazioni trovano conferma nell’oggettiva ampiezza e difficoltà degli approfondimenti richiesti, che spaziavano sulla ricostruzione di un pluralità di attività economiche riconducibili a F., e da quest’ultimo denunciate come indotte con la costrizione.

La circostanza che la data dell’informativa di reato sia antecedente di un giorno alla richiesta di rinvio a giudizio per l’altro procedimento non dimostra la strumentante della frammentazione, essendo stata, per ammissione dello stesso impugnante, portata a conoscenza dell’autorità delegante proprio il giorno successivo a tale adempimento e non risultando, al di là della supposizione difensiva, alcuna strumentale preordinazione di tale scansione.

Nè, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa nel corso dell’odierna udienza, emerge dall’ordinanza impositiva della misura una contraddizione argomentativa, dove si richiamano elementi indiziari già completamente acquisiti nel precedete procedimento, poichè dal complesso esame dell’atto impugnato si ricava che, indubbia la presenza di alcuni spunti di indagine precedente, tali elementi abbiano avuto necessità di concretizzarsi con attività investigativa successiva, cui è stato fatto espresso richiamo, circostanza che palesa quindi l’assenza della condizione legittimante la sollecitata decorrenza anticipata.

Il ricorso deve quindi essere respinto, avendo il Tribunale adito congruamente motivato, in maniera che non risulta contraddittoria con le emergenze richiamante dall’impugnante, sull’insussistenza delle condizioni che legittimano la retroazione del termine di decorrenza della seconda misura cautelare.

Il rigetto del ricorso impone, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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