Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-11-2011, n. 24480 Previdenza integrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’avv. V.F., già dipendente del disciolto Inam, trasferito al SSN, chiedeva il ricalcolo della pensione erogata dall’Inps, Gestione speciale Fondo Integrativo ex Inam, dal primo ottobre 1998 in applicazione dell’art. 30, comma 1, del regolamento del personale I.N.A.M. il quale prevedeva che le variazioni delle retribuzioni pensionabili del personale in servizio comportavano una riliquidazione delle pensioni sulla base della nuova retribuzione stabilita per "la qualifica e la posizione in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione del servizio" (cosiddetta clausola oro); La domanda, nel contraddittorio con l’Inps veniva respinta dal Tribunale di Velletri e la statuizione veniva confermata dalla Corte d’appello di Roma, facendo applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 59.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre l’Avv. V. con tre complessi motivi. Resiste l’Inps con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si assume violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere la sentenza impugnata affermato che le argomentazioni del primo Giudice erano assorbenti rispetto a tutte le argomentazioni svolte da esso ricorrente, senza spiegare però quali fossero dette motivazioni. Con il secondo motivo, denunziando violazione della L. n. 449 del 1997, art. 59, si chiede alla Corte se la sentenza impugnata, anche in relazione all’art. 117 Cost., violi l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificato con L. n. 848 del 1955, stante il pregiudizio della tutela del cittadino alìaffidamento.

Con il terzo mezzo, denunciando ancora violazione della L. n. 449 del 1997, art. 59 si chiede alla Corte se detto articolo, come applicato dai Giudici di merito violi gli artt. 3, 36 e 38 Cost. in materia di tutela delle prestazioni pensionistiche. Il ricorso è infondato.

1. Quanto al primo motivo, correttamente la Corte territoriale ha osservato che la L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 4, collegata alla legge finanziaria per l’anno 1998, ha stabilito che a decorrere dal 1.1.1998 l’adeguamento delle prestazioni pensionistiche a carico delle forme pensionistiche di cui ai precedenti tre commi trova applicazione esclusivamente il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 11, con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio. Tale disposizione ha determinato l’abolizione della clausola di aggancio del trattamento integrativo agli aumenti per i dipendenti in servizio (cosiddetta "clausola oro") ed ha reso obbligatorio ed inderogabile, con effetto dal 1.1.1998, il sistema di adeguamento collegato alle variazioni del costo della vita.

In proposito questa Corte (Cass., sez. lav., 22 aprile 2008, n. 10346) ha affermato che la disposizione di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 4, che comporta la soppressione, a decorrere dal 1 gennaio 1998, di meccanismi di adeguamento diversi da quello previsto dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11, anche se collegati all’evoluzione delle retribuzioni del personale in servizio, impedisce, a partire dalla suddetta data, la riliquidazione automatica, ai sensi dell’art. 30 del Regolamento I.N.A.M., della pensione dei dipendenti dell’Istituto (cfr. anche Cass., 28 ottobre 2003, n. 16221, e Cass., sez., lav., 11 maggio 2002, n. 6804, che parimenti hanno ritenuto che la cit, disposizione di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 4, comporta la soppressione di diversi meccanismi di adeguamento e trova applicazione anche nei confronti dei regimi aziendali integrativi, atteso che la disposizione si riferisce alle prestazioni pensionistiche previste dal citato art. 59, comma 4, che espressamente ricomprende le prestazioni pensionistiche complementari di cui al D.Lgs. n. 563 del 1996, D.Lgs. n. 124 del 1993 e D.Lgs. n. 357 del 1990). Si è precisato "nè tale estensione autorizza dubbi di legittimità costituzionale, atteso che essa si inquadra nella scelta del legislatore di armonizzare i regimi previdenziali complementari preesistenti al citato D.Lgs. n. 124 del 1993, con quelli di nuova costituzione. La Corte territoriale ha quindi risposto in punto di diritto rigettando la pretesa fatta valere dal ricorrente, onde non è prospettabile alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e non è necessario che il giudice risponda a tutte le argomentazioni fatte valere a sostegno della pretesa. 2. Quanto alle questioni di legittimità costituzionale di cui al terzo motivo, la Corte Costituzionale con ordinanza n. 202 del 2006 ha ritenuto: E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 8 agosto 1991, n. 265, art. 2, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 11, L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 34 e L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 69, sollevata in riferimento agli artt. 36, 38 e 53 Cost.".

In detta sentenza così si è argomentato: "la Corte, in questioni analoghe, ha già avuto modo di affermare che il principio di proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato non impone affatto il necessario adeguamento del trattamento pensionistico agli stipendi, spettando alla discrezionalità del legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’art. 38 Cost., sicchè non sussiste vulnus dei canoni costituzionali evocati il fatto che il legislatore abbia previsto un meccanismo di adeguamento delle retribuzioni solo per il personale in servizio e non abbia esteso analogo adeguamento ai trattamenti pensionistici della medesima categoria. Peraltro, lo scostamento tra trattamenti pensionistici maturati in tempi diversi è giustificato dal diverso trattamento economico di cui i lavoratori hanno goduto durante il rapporto di servizio e che era vìgente nei diversi momenti in cui i relativi trattamenti pensionistici sono maturati". 3. Quanto alla violazione del Protocollo addizionale della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo, la verifica della conformità a Costituzione di questa norma va compiuta alla luce dei principi enunciati dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 257/2011 in tema di legge interpretativa, concernente anche in quel caso la materia pensionistica (si trattava della L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 153, che interpretava autenticamente la L. n. 457 del 1972, art. 3 in tema di pensioni degli operai agricoli a tempo determinato). Nella specie peraltro non trattasi di legge interpretativa, ma del venir meno dal primo gennaio 1998 della cd. clausola oro, che è rimasta in vigore dalla originaria decorrenza della pensione integrativa per cui è causa, fino alla data suddetta.

La Corte Costituzionale ha negato la fondatezza della questione di legittimità costituzionale di quella disposizione interpretativa, sollevata con riferimento all’art. 111 Cost. (interpretato alla luce dell’art. 6 CEDU, in quanto la previsione della sua applicabilità ai giudizi in corso violerebbe il principio del giusto processo, in particolare sotto il profilo della parità delle parti, da ritenere leso a causa di un intervento del legislatore diretto ad imporre una determinata soluzione ad una circoscritta, e specifica categoria di controversie.) e art. 117 Cost., comma 1, (per violazione degli obblighi internazionali dello Stato e, in particolare, dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo). La Corte ha così deciso "In premessa, si deve ricordare che questa Corte, con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007, ha chiarito i rapporti tra il citato art. 117 Cost., comma 1, e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. I principi illustrati nelle menzionate sentenze devono ritenersi in questa sede richiamati. Alla luce di essi si deve, dunque, verificare: a) se vi sia contrasto, non suscettibile di essere risolto in via interpretativa, tra la disciplina censurata e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed assunte quali fonti integratrici dell’indicato parametro costituzionale; b) se le norme della CEDU, invocate come integrazione del parametro (cosiddette norme interposte), nell’interpretazione ad esse data dalla medesima Corte, siano compatibili con l’ordinamento costituzionale italiano (sentenza n. 348 del 2007, citata). Orbene, con riguardo all’art. 6 della CEDU, si deve osservare che la Corte di Strasburgo, pur censurando in numerose occasioni indebite ingerenze del potere legislativo degli Stati sull’amministrazione della giustizia (per una ricognizione dei casi trattati, sentenza di questa Corte n. 311 del 2009), non ha inteso enunciare un divieto assoluto d’ingerenza del legislatore, dal momento che in varie occasioni ha ritenuto non contrari al menzionato art. 6 particolari interventi retroattivi dei legislatori nazionali. La regola di diritto, affermata anche di recente con sentenza della seconda sezione in data 7 giugno 2011, in causa Agrati ed altri c/ Italia, e1 che "Se, in linea di principio, il legislatore può regolamentare in materia civile, mediante nuove disposizioni retroattive, ì diritti derivanti da leggi già vigenti, il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo sancito dall’art. 6 ostano, salvo che per ragioni imperative d’interesse generale, all’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia. L’esigenza della parità delle armi comporta l’obbligo di offrire ad ogni parte una ragionevole possibilità di presentare il suo caso, in condizioni che non comportino un sostanziale svantaggio rispetto alla controparte".

Anche secondo la detta regola, dunque, sussiste lo spazio per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.). Diversamente, se ogni intervento del genere fosse considerato come indebita ingerenza allo scopo d’influenzare la risoluzione di una controversia, la regola stessa sarebbe destinata a rimanere una mera enunciazione priva di significato concreto". Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese ex art. 152 disp. att. c.p.c. in cui rientrano anche le controversie in materia di previdenza integrativa, facendo la norma riferimento in via generale "ai giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali".

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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